sabato 23 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto Rassegna Stampa
09.10.2007 Il nucleare di Ahmadinejad ? Non è un problema degli iraniani
l'opinione di un "dissidente" più antiamericano e antisraeliano che anti-regime

Testata: Il Manifesto
Data: 09 ottobre 2007
Pagina: 11
Autore: Marina Forti
Titolo: «Le minacce all'Iran colpiscono il dissenso»
Le ipotesi di guerra, ma anche le sanzioni, colpiscono il dissenso.
Il pericolo nucleare " dal punto di vista degli iraniani non esiste".
Non è difficile trovare "dissidenti" iraniani che sostengono questo genere di tesi, anteponendo la diffidenza e talvolta l'ostilità per l'occidente al senso critico verso il regime.
E al semplice senso della realtà: il pericolo nucleare è ovviamente un problema per i vicini dell'Iran (Europa compresa). Ed'è un problema anche per gli iraniani, visto che i loro dirigenti, per loro stessa ammissioneì sarebbero pronti a sacrificarli a milioni in una guerra apocalittica.

Questo genere di cecità, è però molto utile alla propaganda. sia a quella iraniana che a quella di quanti in occidente continuano, per motivi ideologici, a vedere negli Stati Uniti il nemico principale, tanto da essere solidali, o neutrali, nei confronti di qualsiasi tirannia si opponga a Washington.

Sul MANIFESTO del 9 ottobre 2007, un'esemplificazione di questa regola: l'intervista di Marina Forti ad  Hassan Youssef Eshkevari:

Hassan Youssef Eshkevari è una di quelle figure di intellettuale, come se ne incontrano in Iran, che considerano inseparabili le idee e la battaglia politica. E' della generazione che ha partecipato alla Rivoluzione islamica; religioso (era un hojatoleslam), subito dopo la rivoluzione è stato eletto deputato: poi però è caduto in disgrazia per aver publicamente chiesto la separazione tra religione e stato. Più tardi, nel 2000, è stato a Berlino a una conferenza sul futuro delle riforme in Iran organizzata dalla fondazione Heinrich Boell: al ritorno è stato arrestato, come altri partecipanti, e processato per empietà e attentato alla sicurezza. Ha fatto quattro anni e mezzo di galera ed è anche stato «spretato» per ordine del Tribunale del clero.
Era allora presidente Mohamad Khatami e quegli arresti fecero clamore: furono processate femministe, avvocati, giornalisti. E' stato un atto del braccio di ferro tra il presidente riformista e i poteri forti dello stato (il «sistema», come lo definiscono gli iraniani): e sono questi che hanno vinto, anche se Khatami è stato rieletto per un secondo termine.
Oggi Youssef Eshkevari è uno degli intellettuali di maggior prestigio in Iran, continua a battersi per la riforma dell'islam e della Repubblica islamica. Dice che il dissenso non è zittito, anche se nei due anni di presidenza di Mahmoud Ahmadi Nejad «gran parte di ciò che era stato ottenuto con Khatami, sia sul piano delle libertà che sul piano politico, ora è vanificato». Dice però che le minacce di attacco a Tehran non favoriscono certo il dissenso. Di passaggio a Roma Youssef Eshkevari ha incontrato un piccolo gruppo di giornalisti italiani e non.
L'Iran, sostiene Eshkevari, «vive un momento di grande insicurezza. Ahmadi Nejad si era presentato con la promessa di migliorare la vita materiale degli iraniani, ma dopo due anni la disoccupazione è aumentata e c'è un massiccio disinvestimento e fuga di capitali dall'economia nazionale. E' aumentata la pressione su università, scrittori, intellettuali. La stampa è dominata dalla censura e dall'autocensura. Sul piano esterno, la politica di distensione inaugurata da Khatami è finita, ora l'Iran è al centro di una escalation di tensione tale che si parla di un attacco militare contro il nostro paese. All'interno la vecchia questione delle minoranze etniche è peggiorata, come mostrano le notizie dal Khuzestan con la minoranza araba, dal Baluchistan, l'Azerbaijan: ed è una tensione che potrebbe in ogni momento sfociare in rivolta».
Che effetto hanno in Iran le minacce di sanzioni o di attacco militare sul vostro paese?
Dal punto di vista degli iraniani, il pericolo nucleare non esiste. I problemi sono la mancanza di libertà da un lato, la crisi dell'economia dall'altro: l'iraniano medio ha il problema di quadrare il bilancio familiareteme per il futuro dei figli. Se è un intellettuale teme di essere censurato o cacciato dall'università. Il pericolo atomico non esiste. Le minacce di attacco militare, o anche di sanzioni economiche, per ora hanno un solo effetto: aumentare la repressione delle forze che si battono per la democrazia. Più la Repubblica Islamica si sente minacciata militarmente, più la reazione sarà chiudere gli spazi al dissenso interno, e allontanare le chances di apertura democratica. Negli ultimi due anni tutte le istanze degli iraniani in tema di libertà sono state schiacciate dal clima di aggressione esterna.
Il presidente Ahmadi Nejad a volte sembra vanificare di proposito tutti gli spiragli di dialogo: come quando in settembre il capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, Mohammed el Baradei, ha annunciato un accordo con l'Iran per chiarire i problemi aperti, e subito il presidente ha detto che l'Iran ha installato 3000 centrifughe per arricchire l'uranio e ha i missili puntati su Israele: come a smentirlo. Sono uscite maldestre, o affermazioni fatte di proposito?
Entrambe le cose. Ahmadi Nejad ha delle sparate tutte sue, e però si fa anche portavoce delle tendenze più radicali e fondamentaliste del sistema, che in passato avevano meno voce e con il suo governo hanno preso il sopravvento. La personalità di Ahmadi Nejad andrebbe analizzata con gli strumenti della psicoanalisi, più che della politica. Vuole sempre essere sulla bocca di tutti, avere i titoli della stampa internazionale, il prime time delle tv. Non avrebbero senso altrimenti le sparate sull'Olocausto o su Israele: non sono nell'interesse politico dell'Iran. Il sistema della Repubblica islamica nel suo complesso non ha alcun interesse a distruggere Israele né a una guerra con l'occidente.
All'estero però le sue parole hanno peso.
E' vero: le parole di Ahmadi Nejad fanno poca presa in Iran, ma parlano all'opinione pubblica dei paesi arabi: ne fanno una sorta di eroe della causa palestinese. Penso che questo sia strumentale, ma una cosa è certa: questo può avvenire perché la questione palestinese resta una ferita aperta. Se fossero stati applicati gli accordi di Oslo, cioè il miglior compromesso finora raggiunto, avreste tolto a persone come Ahmadi Nejad e a tutti i fondamentalisti il loro argomento principale. Il conflitto israelo-palestinese è radice e simbolo di tutti i conflitti in Medio Oriente. Se lo fa apposta? Ahmadi Nejad vuole lo scontro con l'Occidente: e l'Occidente è caduto nella sua trappola. Vuole lo scontro perché gli serve a mantenere il suo potere all'interno. Ma, se posso dire, voi date troppa importanza a Ahmadi Nejad. In Iran non è il presidente a prendere le decisioni che contano. Tenete presente che né Ahmadi Nejad e neppure la Guida suprema, Ali Khamenei, rappresentano da soli la Repubblica islamica. Il sistema politico della Repubblica Islamica è complesso: diversi poteri concorrono a formare le decisioni. Di recente l'ex presidente Hashemi Rafsanjani è stato nominato capo dell'Assemblea degli esperti ndr]. Lo stesso Rafsanjani continua a presiedere il Consiglio per il discernimento dello stato ndr]. L'atteggiamento di scontro con la comunità internazionale tenuto da Ahmadi Nejad non è condiviso dal Consiglio per il discernimento, né dagli Esperti, e neppure dalla scuola teologica di Qom o dal negoziatore nucleare Ali Larijani. Se Khamenei spende delle parole a difesa del presidente è perché non ritiene opportuno farlo cadere: aspetta che si chiuda la parentesi della sua presidenza.
E come si chiuderà?
Noi in Iran ci battiamo per la democrazia. Ma la democrazia non si esporta nello zaino dei soldati. Ogni paese la costruisce con le sue forze e i suoi tempi. In Iran c'è un movimento di donne, ci sono movimenti di studenti, di lavoratori, ci sono proteste. I giornali iraniani non ne dano notizia per la censura, ma neppure all'estero ricevono grande attenzione. Il movimento delle donne, ad esempio, ora è molto organizzato. Negli anni di Khatami gli iraniani hanno conosciuto alcuni diritti e ora continuano a battersi con rivendicazioni anche più forti di prima. La repressione è aumentata, le pressioni sulle associazioni indipendenti e organizzazioni non governative sono forti, continuano gli arresti e le limitazioni a studenti e professori nelle università: ma questo dimostra che la società civile resiste e non vuole farsi ricacciare nel silenzio.
E' vero che il presidente Ahmadi Nejad ha perso molto consenso tra gli strati popolari che sono la sua base sociale?
Ahmadi Nejad è stato votato grossomodo da due gruppi di persone: quelli che come lui appartengono alla tendenza radicale del sistema, e lo hanno voluto come espressione del proprio blocco di potere: questi lo sostengono ancora. Poi ci sono le molte persone che lo hanno votato convinte dalle sue promesse economiche, o quelli che al ballottaggio l'hanno votato perché non gli andava giù votare per Rafsanjani. Questo ora sono elettori pentiti. Se si ripetesse oggi il ballottaggio del giugno 2005, Rafsanjani vincerebbe senza dubbio.
In Iran si sono sviluppate correnti di pensiero che sostengono la necessità di riformare l'Islam. Che ruolo ha oggi questo dibattito?
Fin da tempi pre-islamici in Iran la religione influenza tutte le sfere della vita delle persone, personale e pubblica. La Repubblica islamica, con tutti i suoi aspetti fondamentalisti, ha portato il seme della novità. Forse un po' come la Riforma protestante in Europa: i 25 anni di governo di Calvino a Ginevra erano fondamentalisti, ma la Riforma ha partorito la libertà di pensiero. La Repubblica islamica in Iran è nata fondamentalista ma per sopravvivere deve evolversi, e perdere pezzi di fondamentalismo. Oggi ancor più che al tempo di Khatami si sente la necessità di rinnovamento, anche se il dibattito teorico che allora era pubblico ora è più sotterraneo, nelle università, nei circoli culturali, oltre che nell'azione sul campo: le ong, le spinte a riformare le istituzioni.
Tra le idee di riforma entra quella della separazione tra la chiesa e lo stato?
La separazione tra la chiesa e lo stato è il punto centrale, ed è il principio si cui sono d'accordo tutti i sostenitori della riforma dell'Islam.
Questo significa mettere in questione il Velayat-e faqih, supremazia del giureconsulto, l'autorità suprema del clero: cioè il principio che fonda la Repubblica Islamica.
Già. Infatti sono contrario al Velayat-e faqih. E posso dirle che anche molti esponenti del clero in Iran ormai lo mettono in questione.

Per inviare una e-mail alla redazione del Manifesto cliccare sul link sottostante

redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT