Ogni volta che dalla complessità della scena mediorientale mi affaccio sull’opinione pubblica italiana, resto come interdetta, senza parole, muta dallo stupore di tanto semplicismo e tanta malignità insieme. Venerdì della scorsa settimana il TG3 della sera, momento di grande ascolto, presentava un servizio in cui si mostrava la folla palestinese intorno alla Moschea di Al-Aqsa, desiderosa di partecipare alla funzione religiosa, e impedita nel farlo dai perfidi soldati israeliani. Era presentata, montata, commentata proprio così: uno a uno a uno, con un montaggio semplicistico ma molto espressivo, si vedevano i giovani israeliani armati che spintonavano la folla che si accalcava loro addosso e i fedeli musulmani venivano descritti come popolo inerme, donne e bambini, fedeli delusi nella loro aspettativa spirituale. I soldati apparivano come sadici energumeni tutti protesi in una specie di partita di rugby, in un crudele gioco volto a reprimere la più nobile fra le aspirazioni umane: la preghiera. Intanto, a Teheran e a Damasco rispettivamente, Ahmadinejad e Nasrallah nel “Giorno di Gerusalemme” esortavano tutto il mondo arabo alla guerra e alla distruzione di Israele. Non c’è stata una parola sul potenziale esplosivo che i venerdì di Al-Aqsa, e in particolare quello dedicato ad Al-Quds, hanno sempre contenuto; sul fatto che in un mese sono stati sventati otto attentati suicidi di grandi dimensioni più una quantità di altri attentati minori; sulle cellule terroriste sia di Hamas che di Fatah che, secondo tutti i servizi di informazione, hanno sempre scelto, per colpire, le feste ebraiche e quelle musulmane (la fine del Ramadan), e stavolta, alla vigilia del summit di pace del Maryland, hanno tutto l’interesse a stravolgere le cose. Non è stata sprecata una parola sulla quantità di agenti stranieri, primo fra tutti l’Iran seguito dai suoi amici Hezbollah, che danno fuoco alle polveri proprio in questi giorni; né sullo scatenarsi di una grande pioggia di missili da Gaza negli ultimi giorni, di cui l’ultimo un vero missile Grad con 20 chilometri di gittata sulla città di Netivot. Invece, il cronista, con il tono degli annunci oggettivi e ufficiali, ha detto, cito a memoria e quindi con qualche imprecisione, che in quel giorno “il presidente iraniano Ahmadinejad ha ribadito la sua opinione sul fatto che Israele sia stata fondata come risposta all’Olocausto, occupando la terra dei palestinesi che con l’Olocausto non hanno niente a che fare, e ha suggerito che un loro stato avrebbe potuto essere costruito altrove, forse in Alaska”. Così si concludeva il servizio, e il finale avrebbe potuto essere ritenuto ironico, così secco e senza commenti, se la parte precedente, quella sulla Spianata, non fosse invece stata satura di orripilato stupore nei confronti di quei disgraziati soldati. Che, si vedeva benissimo, si limitavano a spintonare indietro una folla minacciosa che si faceva loro addosso, cercando di non arrecare danno fisico a nessuno. Ma l’atmosfera è questa: criminalizzazione, diffamazione gratuita, ignoranza dello sfondo degli avvenimenti, che invece è determinante. Se qualcuno ha dato un’occhiata all’ultimo numero della rivista Limes, intitolato "La Palestina Impossibile", si sarà reso conto di come sullo sfondo del popolaresco festival di diffamazione in corso, c’è invece una robusta intelaiatura intellettuale, in cui la ridondanza del linguaggio è pari solo alla povertà dell’informazione e alla chiarezza di un messaggio ripetuto e incomprensibile a una mente normale: riconoscete Hamas, parlate con Hamas, fors’anche apprezzatelo. Già nelle prime cinque righe Hamas viene definita “vincitore delle ultime elezioni palestinesi, ma battezzato terrorista dalle potenze che contano”. Battezzato terrorista! E la pioggia di kassam “razzi di latta sparacchiati dalle milizie palestinesi” cui Israele replica con “infiltrazioni mirate e bombardamenti dall’aria”. In più, si sa, Israele “non teme di usare la violenza, lo fa senza complessi fin dalla nascita quando un’eteroclita coalizione araba tentò di strangolarlo nella culla”. Che il sottinteso sia che era meglio se se si faceva strangolare, è ovvio. E altrettanto ovvio per chi conosce la storia e la realtà, è che l’esercito cerca di usare meno violenza possibile, fino al sacrificio dei suoi soldati in questa impossibile guerra asimmetrica; semmai Israele ha tentato invece ripetutamente di consegnare terra ai palestinesi, di cercare un accordo di pace in cui, alzandosi dal tavolo, era palesemente l’unico a pagare. Ma tutto questo è obliterato in quel calderone di malevolenza che nei tempi di Ahmadinejad si trasforma sempre di più in complicità irresponsabile.
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