Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Qaradawi il "liberal" e la fatwa approvata dai sauditi che concilierebbe "islam e globalizzazione"
Testata: Corriere della Sera Data: 08 ottobre 2007 Pagina: 13 Autore: Cecilia Zecchinelli - Guido Santevecchi Titolo: «La fatwa viaggia su Internet Un sito per quelle «legittime» - E l'obiezione di coscienza islamica mette in crisi l'Inghilterra»
C'è una gran confusione nell'islam a causa delle "fatwa fai da te". Per fortuna, l'Arabia Saudita corre a i ripari, con un sito che raccoglierà le fatwa autorizzate, dei veri esperti che sanno conciliare "la religione con la globalizzazione" e "automobili e ruolo della donna". Anche l'università Al Azhar del Cairo ha un progetto simile, che utilizzerà però la televisione e non internet.
Queste novità sono annunciate con soddisfazione da Cecilia Zecchinelli sul CORRIERE della SERA dell'8 ottobre 2007. Da parte nostra, ci permettiamo qualche scetticismo. L'Arabia Saudita, il paese islamico più repressivo e più minuzioso nel controllare la conformità dei comportamenti individuali alla sharia farà da guida alla conciliazione tra islam e modernità ? Rivaleggiando con l'Università Al Azhar, i cui giuristi hanno giustificato gli attentati suicidi in Israele ? Confessiamo una forte perplessità.
Un particolare però, ci viene in soccorso. Per l'autrice del pezzo il predicatore Yusef Qaradawi apologeta del terrorismo suicida, sarebbe "considerato fondamentalista da molti in Europa, ma" sarebbe "in realtà troppo soft per i sauditi e gli integralisti musulmani: liberal con le donne (le sue fatwa permettono loro il voto, ad esempio) e soprattutto con gli sciiti, odiati da molti wahhabiti. " Qaradawi il "liberal". Se si crede a questo, bisogna ammetterlo, si può credere anche alla via wahhabita alla conciliazione tra islam e modernità.
Ecco il testo: È scoppiata la guerra delle fatwa. In Occidente, perché quella parola che evoca editti dal sapore medievale, sentenze d'ispirazione divina e inappellabili, è diventata il simbolo di un Islam che spesso impone atti terribili, per lo meno poco democratici. Come la condanna a morte dello scrittore «blasfemo » Salman Rushdie ordinata nel 1989 dall'imam Khomeini in persona, o la proibizione alle donne saudite di guidare, sancita due anni dopo dall'allora Gran Mufti del regno, Sheikh Abdel Aziz Bin Baz. Una guerra, quella dell'Occidente, in realtà «contro» le fatwa. Ma anche nei Paesi musulmani, ormai, dietro questo termine di per sé innocente (significa l'interpretazione, vincolante per l'individuo o per tutti, dei complessi testi di diritto islamico da parte di un esperto autorizzato) si nasconde un conflitto. Perché la rinascita religiosa iniziata nei primi Anni Ottanta, accentuata e distorta dal terrorismo in nome di Allah, si è riversata su Internet, tv satellitari e giornali, con milioni di responsi emessi non solo da veri teologi e giuristi, ma da sempre più numerosi personaggi che solo sostengono di essere tali. Con conseguenze a volte drammatiche, a partire dal caso di Ayman Zawahiri, numero due di Osama, che con «fatwa» riconosciute come tali solo da se stesso e dai suoi (Bin Laden evita di usare il termine) da anni ordina la jihad. O con esiti grotteschi. Come nella recente vicenda di un (ex) dirigente della prestigiosa Università islamica di Al Azhar, al Cairo, che per risolvere il problema della convivenza in uffici o altri ambienti tra donne e uomini adulti non «haram» (consanguinei) sancì di far «allattare» l'estraneo dalla signora (dieci succhiate di seno), rendendo così lecita la vicinanza. Un'idea respinta a gran voce da tutti (l'«esperto» ha perso faccia e posto di lavoro), originata da un'interpretazione maldestra dei testi antichi. È soprattutto per arginare questo caos di fatwa fai-da-te, per mettere fine alla guerra tra giuristi veri o falsi o comunque di diversa dottrina, che l'Arabia Saudita — il Paese che dichiara «la nostra Costituzione è il Corano» e in cui l'Islam segue la rigidissima interpretazione wahhabita — ha deciso di lanciare un sito web ufficiale con i responsi originali emessi da studiosi doc, tali per studi compiuti e ruolo riconosciuto, ma anche perché politicamente e religiosamente in linea con Riad. A partire da quelle del Gran Mufti Bin Baz che meglio di altri, sostengono i wahhabiti, seppe conciliare fino alla sua morte nel 1999 la religione con la globalizzazione. Automobili e ruolo della donna, appunto. Il sito (www.alifta.com) non fornisce solo una collezione di sentenze già sperimentate, vuole essere interattivo. E infatti invita i credenti a scrivere, esprimendo i loro dubbi. Riceveranno una risposta «rapida e corretta» da parte del Consiglio degli Ulema che gestisce l'istituto Dar Al Ifta a Riad e l'omonimo sito. E potranno così smettere di rivolgersi a simili servizi forniti da anni su Internet o altri media da sheikh non «ortodossi». Come il religioso estremista Salman Al Awdah, sospettato di aver autorizzato (con fatwa, ovviamente) alcuni terroristi a suicidarsi negli attentati del marzo 2004 a Madrid, che continua a gestire il suo sito Islamonline. O Yusef Qaradawi, ancor più noto per il suo programma settimanale su Al Jazeera, considerato fondamentalista da molti in Europa, ma in realtà troppo soft per i sauditi e gli integralisti musulmani: liberal con le donne (le sue fatwa permettono loro il voto, ad esempio) e soprattutto con gli sciiti, odiati da molti wahhabiti. Nel 2006, ai tempi della guerra in Libano, lo sheikh saudita Bin Jibreen proibì di pregare per Hezbollah permotivi religiosi. Qaradawi reagì con una contro-fatwa: sciiti o sunniti, siamo tutti musulmani. Si preghi per loro. La scelta di Riad sarà seguita presto da Al Azhar. Anche perché timorosa dell'influenza wahhabita, oltre che di quella ovviamente jihadista, la più grande università islamica del mondo lancerà il suo programma di fatwa, privilegiando però la tv: «Abbiamo chiesto uno speciale canale via satellite che sarà affidato a veri studiosi che non cercano fama o denaro ma siano veri guardiani della scienza dell'emissione delle fatwa», ha dichiarato il rettore Ahmad Al Tayeb. Insistendo molto su quel termine «vero» e lasciando prevedere che la guerra delle fatwa, comunque, continuerà
Il CORRIERE pubblica anche un interessante articolo di Guido Santevecchi sui problemi posti in Gran Bretagna dall' "obiezione di coscienza" islamica:
LONDRA — La polemica è cominciata in una catena di supermercati che permette ai suoi dipendenti di fede musulmana di non toccare prodotti che possano offendere il loro senso religioso. Ma ora in Gran Bretagna l'obiezione di coscienza islamica è arrivata nelle facoltà di medicina e negli ospedali. Un'inchiesta del Sunday Times ha scoperto studenti che rifiutano di frequentare corsi o di rispondere a domande d'esame su patologie connesse all'uso di alcol o trasmesse per via sessuale. Il motivo è che l'Islam vieta l'uso di alcol e la promiscuità: quindi i malati che soffrono per questi motivi sarebbero impuri. Sono stati segnalati anche casi di medici praticanti appena laureati che si astengono dall'intervento su pazienti del sesso opposto. E di uno studente all'ultima prova prima della laurea che si è ritirato quando i professori gli hanno chiesto di eseguire un semplice esame esterno di una paziente donna. Racconta la dottoressa Shazia Ovaisi, medico di base a Londra: «Ricordo benissimo quel mio compagno, era uno dei migliori del corso, ma è entrato in contatto con alcuni gruppi islamici e ha cominciato a radicalizzarsi, a cambiare personalità. E alla fine, quando stava per laurearsi, ha rifiutato di compiere una normalissima visita di una paziente che non implicava alcunché di intrusivo. Fu bocciato e per me fu uno choc e una delusione personale, perché io sono donna e musulmana e non vedo niente nella nostra religione che ci proibisca di trattare malati di sesso maschile o femminile». Alcune università hanno chiesto alla British Medical Association «se su basi religiose possa essere consentito a studenti di omettere parti del corso» e accedere comunque alla professione. La «correttezza politica» dettata dal multiculturalismo sta creando nel Regno Unito situazioni paradossali. Ci sono un milione e ottocentomila cittadini britannici di religione musulmana e i casi si stanno moltiplicando. L'anno scorso un poliziotto di Scotland Yard si è rifiutato di montare di guardia di fronte all'ambasciata di Israele, spiegando che la sua coscienza di musulmano si ribellava di fronte all'invasione del Libano da parte dell'esercito israeliano. I superiori lo hanno semplicemente spostato. La settimana scorsa i supermercati Sainsbury's hanno consentito al personale di cassa di passare le consegne a un collega «non obiettore» quando si presenta un cliente con bottiglie di vino o birra. Da Sainsbury's c'è anche un servizio di farmacia e la catena accetta che i suoi farmacisti musulmani si astengano dal vendere la pillola del giorno dopo. Si sono levate voci critiche anche dalla comunità islamica. Dice il dottor Abdul Majid Katme, della Islamic Medical Association: «Studiare gli effetti dell'abuso di alcolici, conoscere le malattie veneree, ricevere lezioni sulle pratiche abortive dà al buon musulmano nozioni per proseguire la campagna contro. C'è una differenza tra imparare e praticare: il profeta diceva "studia la stregoneria, non praticarla" ». Un sondaggio ha rilevato che il 40% dei musulmani britannici tra i 16 e i 24 anni vorrebbe vivere sotto la sharia, il sistema legale basato sull'interpretazione stretta del Corano. Un'aspirazione condivisa solo dal 17% dei cittadini oltre i 55 anni. Il 36% dei giovani risponde che il musulmano convertito a un'altra fede merita la morte. Tra gli adulti la percentuale scende a 19. E ancora: il 40% dei ragazzi pensa che manderà i figli in scuole islamiche, mentre i loro genitori con la stessa idea sono il 20%. Il rapporto «Living Together Apart: British Muslims and the Paradox of Multiculturalism », elaborato da un centro ricerche conservatore, conclude: «L'emergere di una forte identità musulmana in Gran Bretagna è, in parte, il risultato delle politiche multiculturali introdotte dagli anni Ottanta, che hanno enfatizzato le differenze, indebolendo l'identità nazionale condivisa». A questo malessere sta cercando di rimediare il primo ministro Gordon Brown che ora predica la Britishness, l'unità nazionale intorno a un nucleo forte di valori di democrazia e cultura che debbono essere accettati da tutti i cittadini britannici. Si avvicina Natale e una buona parte delle aziende e degli enti pubblici si preparano a inviare biglietti di «auguri di stagione », senza riferimento alla festa cristiana: per non turbare chi li riceve.
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