Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
In principio ci fu il rifiuto arabo Benny Morris lo ricorda a chi fa finta di non saperlo
Testata: Corriere della Sera Data: 07 ottobre 2007 Pagina: 37 Autore: Benny Morris Titolo: «Guerra santa per i palestinesi. Le radici risalgono al 1948»
Dopo Luzzatto arriva Benny Morris, è questo il pregio del CORRIERE DELLA SERA rispetto agli altri giornali. Oggi, 7/10/2007, pubblica a pag.37 un articolo dello storico israeliano Benny Morris. E' prossima l' uscita del suo libro LA PRIMA GUERRA DI ISRAELE da Rizzoli.
REVISIONI Uno storico rilegge il periodo cruciale del Medio Oriente. E scopre una continuità con i fanatismi di oggi Guerra santa per i palestinesi Le radici risalgono al 1948 Così gli arabi bocciarono la risoluzione Onu sulla coabitazione con Israele
I l 15 settembre 1947 due diplomatici sionisti, Abba Eban e David Horowitz, si incontrarono in segreto a Londra con il segretario generale della Lega Araba, Abdul Rahman Azzam Pasha. L'assemblea generale dell'Onu stava per adottare la soluzione dei due Stati per il problema palestinese, cioè la divisione del Paese in uno Stato per gli ebrei e uno per gli arabi. I diplomatici dissero ad Azzam: la comunità sionista in Palestina (che allora contava circa 600.000 anime) è «un fatto assodato», e gli arabi «devono essere tanto realisti da prenderne atto». Azzam, «sorpreso», rispose: «Voi potreste essere un dato di fatto per me, ma (per le popolazioni arabe) non lo siete, siete un fenomeno temporaneo. Secoli fa, i crociati si insediarono fra di noi contro la nostra volontà, e dopo duecento anni li abbiamo cacciati. Questo perché non abbiamo mai fatto l'errore di accettarli come un dato di fatto». Due mesi dopo, arabi ed ebrei erano in guerra, la loro prima guerra, il culmine di un conflitto iniziato nel 1880, quando i primi coloni sionisti cominciarono a stabilirsi in Terra Santa, e con la crescita della loro presenza crearono sempre più avversione nella popolazione araba. All'inizio vi furono atti di violenza isolati, poi assalti in stile pogrom contro le comunità ebraiche, infine, nel 1947-48, si giunse all'attacco generale in due fasi, prima da parte degli arabi palestinesi, poi degli eserciti degli Stati arabi vicini. I sionisti consideravano la loro impresa e le loro aspirazioni non solo legittime, ma anche sommamente morali: il popolo ebraico, oppresso e massacrato per duemila anni nel mondo cristiano e nei Paesi islamici, era intenzionato a trovare la salvezza ritornando nella sua terra d'origine e ristabilendovi la sua sovranità. Ma gli abitanti arabi, appoggiati dal mondo arabo circostante, denunciarono l'insediamento come un'invasione aggressiva da parte di stranieri colonialisti e infedeli. David Ben-Gurion, il socialista che portò lo Yishuv — la comunità ebraica in Palestina — a divenire uno Stato e fu il primo premier di Israele, capiva la posizione degli arabi. Una volta disse al leader sionista Nahum Goldmann: «Se fossi un leader arabo, non verrei mai a patti con Israele. È ovvio. Abbiamo preso il loro Paese. Dio l'ha promesso a noi, è vero, ma a loro cosa importa? Il nostro Dio non è il loro. Siamo originari di Israele, è vero, ma parliamo di duemila anni fa, e a loro cosa importa? Ci sono stati antisemitismo, nazisti, Hitler, Auschwitz, ma è forse colpa loro? Davanti agli occhi hanno una sola cosa: ci siamo presi la loro terra. Perché dovrebbero accettarlo?». A dire il vero, nel parlare di «Dio», Ben-Gurion non riusciva a valutare in pieno la portata dell'avversione degli arabi per la presenza sionista-ebraica in Palestina, un'avversione legata a una fobia plurisecolare nei confronti degli ebrei, con profonde radici religiose e storiche. Il rifiuto del profeta Maometto da parte degli ebrei è riportato dal Corano ed è impresso nella psiche di chi è stato educato sulle sue sure. Come hanno detto i Fratelli musulmani nel 1948, «gli ebrei sono i nemici storici dei musulmani e nutrono un odio profondo per la nazione di Maometto». Questa mentalità antisemita non era limitata ai sovrani wahabiti o agli imam fondamentalisti. Nel 1947 Samir Rifa'i, primo ministro della Transgiordania, disse a dei giornalisti: «Gli ebrei sono un popolo da temere... Dategli altri 25 anni e saranno dappertutto in Medio Oriente. Sono stati responsabili dell'avvio di due guerre mondiali... sostenevano Hitler ai suoi inizi». La guerra del 1948 è stata una tappa significativa nel conflitto tra due movimenti nazionali — uno appena nato, l'altro pienamente sviluppato — per una porzione di territorio. Ma è anche stata (se non altro perché è così che gran parte degli arabi l'ha vista) parte di una lotta più generale, globale, tra l'Oriente islamico e l'Occidente, in cui la terra di Israele-Palestina rappresentava, e rappresenta tuttora, uno dei fronti principali. Lo Yishuv si considerava, ed era universalmente visto dal mondo arabo, come l'incarnazione, l'avamposto dell' «Occidente». Il conflitto del 1947-48 fu un'espressione del rifiuto, da parte degli arabi islamici, dell'Occidente e dei suoi valori e una reazione a quella che veniva considerata un'invasione colonialista europea sul sacro suolo islamico. Non vi era alcuna comprensione (o tolleranza) per il sionismo in quanto movimento di liberazione nazionale di un altro popolo. E anche il corso della guerra rispecchiò il divario di civiltà: una società occidentale in grado di schierare strumenti organizzativi e tecnologici superiori sconfisse una coalizione di società arabe islamiche infinitamente più grandi. Gli storici avevano la tendenza a ignorare o a non prendere sul serio l'alata retorica jihadista che accompagnava gli attacchi all'Yshuv, come anche i costanti riferimenti, nei discorsi arabi, all'antico precedente della battaglia per la Terra Santa, quello contro i crociati. Ma è un errore. La guerra del 1948, per gli arabi, è stata una guerra di religione forse anche più che una guerra per rivendicare un territorio. In altri termini, il territorio era sacro: la sua violazione da parte di infedeli era una ragione sufficiente per muovere una guerra santa, e la riconquista una necessità decretata da Dio. Vi sono abbondanti prove del fatto che nel mondo arabo molti, se non quasi tutti, vedono questa lotta essenzialmente come una guerra santa. Combattere per la Palestina è «dovere ineludibile di ogni musulmano», dichiaravano i Fratelli musulmani del 1938. In effetti il carattere della battaglia era talmente sacro che nel 1948 almeno un giurista islamico stabilì che i credenti dovevano astenersi dal pellegrinaggio alla Mecca e devolvere il denaro così risparmiato alla jihad in Palestina. Nell'aprile del 1948 il mufti d'Egitto, lo sceicco Muhammad Mahawif, emise una fatwa secondo la quale la jihad in Palestina era dovere di tutti i musulmani. Il martirio per la Palestina rievocava, per i Fratelli musulmani, «il ricordo della battaglia di Badr... e anche le prime jihad islamiche per la diffusione dell'Islam e la liberazione della Palestina dai crociati per mano di Saladino». La jihad per la Palestina era vista in termini profetico- apocalittici, un'incarnazione del seguente hadith (un detto del Profeta), spesso citato all'epoca: «Il giorno della risurrezione non arriverà finché i musulmani non avranno combattuto contro gli ebrei, finché gli ebrei si nasconderanno dietro ad alberi e pietre, e finché gli alberi e le pietre non grideranno: musulmano, c'è un ebreo dietro di me, vieni a ucciderlo». L'incitazione alla jihad contraddistinse le risposte, sia popolari che governative, alla risoluzione dell'Onu sulla spartizione della Palestina, e fu importante nel mobilitare le «piazze» e i governi nei successivi attacchi contro lo Yishuv. Le moschee, i mullah e gli ulema ebbero tutti un ruolo chiave in proposito. Già il 2 dicembre 1947 gli ulema dell'università di Al Azhar, rispondendo alla risoluzione dell'Onu sulla spartizione, invocarono una «jihad mondiale» contro lo Yishuv. Perfino gli arabi cristiani adottarono quest'invito. Il fervore islamico, alimentato dalle ostilità, accomunava tutti gli arabi. «Nessun musulmano riesce a concepire che i luoghi santi cadano nelle mani degli ebrei», riferiva il rappresentante britannico in Transgiordania, Alec Kirkbride. «Anche il primo ministro (Tawfiq Abul Huda), che è di gran lunga l'arabo più giudizioso e ragionevole qui, si riscalda se si affronta questo argomento». E questo richiamo alla jihad non venne meno con la sconfitta araba. Al contrario. Il 12 dicembre 1948 gli ulema di Al-Azhar invitarono di nuovo alla jihad, chiedendo che si liberasse la Palestina dalle bande sioniste e la si restituisse agli abitanti cacciati dalle loro case. Gli eserciti arabi avevano «combattuto vittoriosamente» (sic) «nella convinzione di adempiere a un sacro dovere religioso». (Traduzione di Maria Sepa)
Il leader israeliano David Ben-Gurion (1886-1973) con alcuni notabili arabi dopo la proclamazione di indipendenza dello Stato di Israele, 14 maggio 1948 (Agenzia Farabolafoto)
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