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La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2007 E' un terrorista e fuorilegge ? Ma no, è un bravo paparino con 7 figli
Come Francesca Paci e il quotidiano torinese vedono il capo di Hamas

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2007
Pagina: 12
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Haniyeh: siamo pronti a trattare con gli americani»

" Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, con il più piccolo dei suoi sette figli", Questa la didascalia a pag. 12, sulla STAMPA di oggi, 7/10/2007, che ospita il servizio di Francesca Paci dal titolo " Haniyeh: siamo pronti a trattare con gli americani". Completamente ignorato il fatto che Haniyeh è il capo di Hamas, movimento dichiarato terrorista e  fuorilegge dall'Unione europea, non solo dagli Usa. No, Haniyeh viene fotografato con " il più piccolo dei suoi sette figli ", in una posa da tenero paparino. Chi lo vede penserà, ma che bravo papà, come mai quei cattivi di americani ed europei non vogliono trattare con lui  ? e la lettura del pezzo della Paci li convincerà della bontà del ragionamento.La Paci  riporta questa sua frase " I Qassam sono una sciocchezza, un problema interno ", senza ricordargli che i suoi Kassam piovono sulle città israeliane. Persino la schedina su di lui è il massimo della dimenticanza, eccola: 

Ismail Haniyeh è nato nel campo profughi di Shati, a Gaza, ed ha 44 anni. Sposato e padre di sette figli. Primo ministro dell’Anp dal 16 febbraio 2006, dopo le elezioni vinte dal suo movimento, Hamas, il 25 gennaio 2006. Si è dimesso nel novembre dello stesso anno, ma ha poi ritirato le dimissioni. Il presidente Abu Mazen, dopo la presa armata della Striscia di Gaza da parte di Hamas, lo considera decaduto. All'interno del movimento integralista è stato il braccio destro del fondatore, Ahmed Yassin, e rappresenta l'ala cosiddetta «pragmatica» di Hamas.

Chi troverebbe in questa scheda un terrorista ? nessuno, ovviamente, è così che LA STAMPA presenta ai suoi lettori un terrorista, che per di più è anche il grande nemico di Abu Mazen e quindi di Fatah. Complimenti alla Paci, si è allineata in fretta, l'effetto MANIFESTO non ha aspettato molto prima di avvolgerla. Come nel film " Gli ultracorpi", nel quale gli alieni scendevano sulla terra e dentro a grossi fagioloni prendevano le sembianze umane.

Ecco la sua intervista:

 

Siamo pronti al dialogo con gli americani, anche su questioni molto importanti». Il leader di Hamas Ismail Haniyeh accetta di parlare con La Stampa al termine della tarawia, la preghiera serale del venerdì di Ramadan. Davanti alla porta posteriore della Western Mosque di Gaza City, cinquecento metri dalla palazzina male intonacata in cui vive, lo aspettano una decina di questuanti scalzi: si sono affrettati per non perdere l’attimo e hanno lasciato le scarpe all’ingresso principale.
Quattro guardie del corpo in t-shirt e pantaloni neri fanno scudo con i kalashnikov, ma Haniyeh, incamminandosi piano verso casa, prende il biglietto allungato dal trentanovenne Youssef «con dodici figli», accarezza la testa al bambino che si è infilato tra i fucili, fissa un appuntamento per la settimana successiva a un anziano sulla sedia a rotelle. «Provate ad avvicinare in questo modo i capi di al Fatah» urla un ragazzo seduto sul muretto all’angolo. L’ex premier palestinese sorride ieratico: le braccia conserte sotto la habaiah, il lungo manto nero bordato d’oro, sul capo il taqay, lo zucchetto bianco.
«Non ci aspettiamo niente dal summit di novembre perché non si basa sulle esigenze del popolo palestinese ma sull’agenda israeliana». Da giorni il leader di Hamas si appella all’Egitto e all’Arabia Saudita, chiedendo che disertino l’appuntamento, «nato morto». «Quando tratta con gli Stati Uniti il presidente Mahmoud Abbas riesce sempre a far perdere diritti ai palestinesi. Non ha imparato niente dal passato. Gli israeliani invece hanno capito di poter trattare sulla base dello status quo e, mentre lo modificano, prendono tempo».
Sul muro di fronte all’abitazione di Haniyeh qualcuno ha scritto con lo spray «Palestine, one voice». Palestina, una sola voce. Un’affermazione o una supplica? Il Segretario di Stato americano Condoleezza Rice è in arrivo a Gerusalemme per definire gli obiettivi del summit con i rappresentanti dei governi israeliano e palestinese, il leader di Hamas non è stato invitato: «Mi piacerebbe parlare con la Rice, le domanderei di trattare la causa palestinese in maniera giusta almeno una volta nella vita dell’amministrazione americana, di considerare che non esiste solo il partner israeliano. Se ci vogliono siamo pronti a dialogare con Washington e venire a patti anche su questioni molto importanti». La rinuncia al lancio sistematico di razzi Qassam sul territorio israeliano, per esempio? «I Qassam sono una sciocchezza, un problema interno. Mi riferisco a nodi fondamentali, politici. Abbiamo dato la nostra disponibilità a parlare con chiunque, anche dall’Italia sono arrivati cenni d’apertura: difficile costruire uno Stato palestinese ignorando Gaza, dove vive metà della popolazione. Ma finora nessuno ci ha mai seriamente consultato. Se gli Stati Uniti volessero rompere il ghiaccio... la gente di Gaza ama il popolo americano».
Haniyeh tentato dalla diplomazia a stelle e strisce? Un riposizionamento nella strategia di Hamas, che dopo il coup d’état di giugno sta perdendo consenso? Secondo un sondaggio della Near East Consulting di Ramallah il 52% dei gaziani riconosce il governo di Abu Mazen, il 55% vorrebbe che Hamas accettasse «lo Stato ebraico», appena il 15%, se chiamato alle urne, riconfermerebbe il voto al partito islamico. Oppure è un monito all’«amico americano» sul rischio di un fallimento del vertice di novembre che potrebbe scatenare «una terza intifada», come lascia intendere alla Stampa un giovane militante della Jihad islamica?
Ismail Haniyeh scuote la testa. Si ferma sull’uscio dove l’hanno accompagnato supporters, questuanti e la telecamera della tv al Aqsa, fedele come un’ombra. «La gente è stanca di vivere prigioniera e non siamo noi a tenere le chiavi di questo carcere. Guardatevi intorno e ricordate il far west di Gaza fino a pochi mesi fa. Hamas ha imposto l’ordine e, finché c’è, lo garantisce». È un avvertimento a chi - israeliani, americani, palestinesi - pensa di fare a meno di Hamas? «Si è fatto tardi, salam aleikum».

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