Sul FOGLIO di oggi, 6/10/2007, a pag.2, Giulio Meotti intervista Robert Kagan su Iraq, terrorismo, al Qaida.
Roma. “Per la prima volta sono molto ottimista”. Secondo l’intellettuale neoconservatore Robert Kagan, il 2006 è stato l’anno peggiore per la campagna americana in Iraq. Il professore di scienze politiche, autore di quel “Paradiso e potere” di cui tanto si è discusso negli ultimi quattro anni, con il Foglio commenta l’aria nuova sull’Iraq che si respira a Washington. “E’ un’autentica tragedia che gli Stati Uniti abbiano lungo perseguito una strategia fallimentare dovuta alla mentalità chiusa di Donald Rumsfeld. Non siamo entrati in Iraq per salvare il popolo iracheno. Non sono mai stato favore dell’invasione per portare la democrazia agli iracheni o per far sviluppare il medio oriente in senso liberale. In Iraq siamo andati per ragioni nostre, per proteggere i nostri interessi e i nostri alleati dalla minaccia di un aggressore seriale la cui repressione interna era lo specchio del desiderio di dominio regionale. Il nostro successo in Iraq avrà conseguenze molto positive nel lungo termine, per la nostra sicurezza equella internazionale”. Per leggere le storie eroismo e di abnegazione dei soldati americani impegnati al fronte dobbiamo sfogliare i quotidiani e le riviste di nicchia. Le news corporation per quattro anni hanno predicato la “futilità” dei caduti americani campo di battaglia. “Purtroppo non c’è alcun ‘noi’ in questa storia, forse fin dall’inizio è stato così. Per alcuni repubblicani, e per la maggior parte dei democratici, biasimare gli iracheni risolve loro un gran numero di problemi. Prima di tutto li assolve dall’aver sostenuto la guerra all’inizio. Biasimare gli iracheni ripulisce la coscienza americana. Anche da voi, in Italia, la stampa si è nutrita di una frode politico-ideologica che riflette nella copertura del conflitto. Pensano che sia loro dovere opporsi alla guerra. qui deriva la totale mancanza e scomparsa dei nostri ‘eroi’ sui media. Fortunatamente negli Stati Uniti la maggioranza della popolazione crede veramente che ci siano degli eroi in guerra e sono orgogliosi dei loro soldati e di ciò che stanno facendo in Iraq eAfghanistan. Non hanno bisogno di leggere i giornali per sapere questo”. Nell’ultimo spettacolare attacco di massa contro i civili iracheni, al Qaida ha ucciso oltre cinquecento curdi yazidi. E’ stato il più grave attentato terroristico dall’11 settembre. “Stiamo combattendo e stiamo vincendo contro questo tipo di nemico. Fin dall’inizio del ‘surge’ del generale David Petraeus, l’esercito americano ha posto al Qaida sulla difensiva, prima facevamo un raid e ce ne tornavamo nelle basi sicure. Oggi restiamo sul campo. Ad al Qaida piace uccidere esseri umani indifesi. Quando si tratta di battersi contro una forza preparata e dispiegata, non hanno alcuna efficacia. Ecco perché hanno scelto di combattere una ‘guerra del terrore’. La sconfitta militare di al Qaida, in Iraq come altrove, è essenziale per produrre sicurezza. Un ritiro americano dall’Iraq non comporterebbe infatti una ‘normalità’ o nuovo tipo di stabilità nella regione. Produrrà invece nuova instabilità”. Peggio che biasimare la Casa Bianca è indirizzare il ci-nismo sugli iracheni. “La vita sta tornando a Baghdad come altrove. Molti iracheni sunniti stanno combattendo contro al Qaida, non contro i loro vicini sciiti. E la violenza settaria è scesa del cinquanta per cento. La penetrazione di al Qaida in Iraq non è responsabilità degli iracheni, molti di loro hanno il coraggio straordinario di ricacciarli da dove sono venuti. Non è degli iracheni neppure la responsabilità delle bombe che al Qaida piazza dove sunniti e sciiti fanno insieme la spesa. La violenza disumana di al Qaida, che comprende l’uso dei bambini come bombe umane, non è inscritta nella cultura irachena”. Secondo Kagan la guerra ha infine prodotto una svolta significativa dal punto di vista religioso. “All’interno del mondo islamico la bilancia pende oggi verso gli sciiti, dopo un lungo periodo di dominio sunnita. E alla fine questa sarà una buona cosa anche per noi. Penso al ruolo che ha avuto l’ayatollah sciita Ali al Sistani nella nascita della democrazia irachena”.
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