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Il Foglio Rassegna Stampa
05.10.2007 Vengono dall'estero gli attentatori suicidi in Iraq
l'Europa è una centrale di reclutamento

Testata: Il Foglio
Data: 05 ottobre 2007
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «I braccianti della morte. Resistenza irachena?»

Da Il FOGLIO del 5 ottobre 2007:

Roma. “Gli attentatori suicidi in Iraq sono un fenomeno importato”. A questa conclusione è giunto il professor Mohammed Afez dell’Università del Missouri, studiando le biografie e la propaganda di al Qaida in Iraq. “Suicide bombers in Iraq” è il titolo del suo nuovo libro pubblicato dallo United States Institute of Peace Press. I risultati fanno il paio con l’ennesima rivelazione giunta dall’Iraq. 500 nomi di reclute del terrorismo sono stati trovati dai militari americani dopo il raid in cui l’11 settembre scorso è stata eliminata un’importante cellula di al Qaida. Nei file hanno trovato i nomi di centinaia di terroristi con relative fotografie e date di ingresso da paesi come Libia, Marocco, Siria, Algeria, Oman, Yemen, Tunisia, Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Belgio, Francia e Gran Bretagna. Accompagnate da vere e proprie liberatorie da parte del jihadista. Afez scrive che sono almeno otto gli attentatori suicidi partiti dall’Italia per andare a morire in Iraq. Fra loro spicca il nome di Morchidi Kamal, il responsabile dell’attentato contro l’hotel Rashid in cui si trovava il sottosegretario alla Difesa, Paul Wolfowitz, avvenuto il 26 ottobre 2003 a Baghdad. Un altro “martire assassino” giunto dal nostro paese è il tunisino Habid Waddani. “Tutti dicono che l’hanno sognato nella notte” disse il fratello di Waddani. La famiglia fu ricompensata con un assegno di 8mila euro. L’identità del 58 per cento dei “martiri” in Iraq resta ignota. Dal 22 marzo 2003 al 18 agosto 2006, quando Afez ha interrotto le sue ricerche, 514 giovani arabi si sono fatti esplodere contro i civili iracheni e le truppe americane. Afez sfata il mito di una “resistenza” indigena: l’industria dei “martiri” è non irachena. Provengono da famiglie facoltose, sono sposati e quasi tutti hanno dei figli, c’è anche chi ha deciso di partire a una settimana dalla nascita del primogenito. Il reclutamento di giovani salafiti procede a un passo di 40 al mese, fino a 80 nelle settimane più recrudescenti della mattanza nei mercati, di fronte alle cliniche mediche, alle stazioni di polizia, alle moschee sciite, alle pompe di benzina. Giordano-egiziana è la cupola di al Qaida, mentre dal Maghreb e dal Golfo Persico proviene la maggioranza di questi “braccianti” della morte. Nel 2004 si registrarono 450 giordani “scomparsi” in Iraq, ma la metà dei terroristi suicidi proviene ancora dall’Arabia Saudita. Reuven Paz, esperto israeliano di terrorismo, ha scoperto che il 70 per cento dei nomi dei kamikaze ha origine saudita. La fiumana di manovalanza suicida dai territori del sacro regno è tale che il gran muftì dell’Arabia Saudita, Abdulaziz bin Abdullah bin Mohamed Al Al sheikh, è intervenuto per spiegare che “i giovani non debbono andare all’estero per fare il jihad”. Faysal Zayd al Mutayri lavorava al ministero della Difesa del Kuwait; Sultan al Hudhayl al Qahtani era proprietario di un famoso ristorante a Riyadh; Fahd Abdallah al Fayzi era figlio di un tycoon saudita; Tariq Bin Luwayfi al Huwayti si era laureato in meteorologia e Mahir Ali al Jahni era un esperto di computer. Sono tutti partiti per farsi saltare in aria in Iraq. A decine i kamikaze arrivano anche dall’Europa, in particolare da Gran Bretagna e Francia. Entrano attraverso il confine siriano passando dalla Turchia. La kamikaze belga Muriel Degauque ha ucciso uccidendosi nello stesso giorno in cui una donna irachena falliva il suo obiettivo negli hotel di Amman, bersaglio dello stragismo di Abu Musab al Zarqawi. Afez parla anche di una “brigata britannica”, composta da 150 jihadisti con passaporto inglese. Sarebbero invece 50 i jihadisti di nazionalità francese andati a combattere e a morire in Iraq. Insieme alle fatwe contro gli sciiti, Afez ha decifrato le biografie di 400 stragisti provenienti da 21 paesi, la cui morte contro “apostati, crociati e deviazionisti” è celebrata da numerosi siti islamisti negli ultimi tre anni. Le conclusioni di questo studioso contrario alla guerra testimoniano ancora una volta come l’Iraq sia il fronte scelto dall’internazionale del terrore per la straordinaria partita che si è aperta all’interno dell’islam dopo l’11 settembre.

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