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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Se Abu Mazen imita Arafat, rivolgendo a Israele richieste impossibili 05/10/2007

La notizia importante è questa: malgrado si siano incontrati sette volte, sempre con dichiarazioni finali impregnate di speranza e presentate fra strette di mano e larghi sorrisi,  Ehud Olmert e Abu Mazen, dopo l’incontro di mercoledì, nel quale hanno discusso i punti da portare all’appuntamento americano di Annapolis  (Maryland) del 15 novembre, più di due pagine striminzite non sono riusciti a compilare. Da un lato Olmert cerca di essere il più vago possibile, pur dimostrandosi forte sostenitore della soluzione due popoli due stati, ma con attenzione alla situazione che si è creata all’interno della società palestinese, nella quale capire i diversi livelli di potere è essenziale per motivi strettamente legati alla sicurezza. Dall’ altro Abu Mazen sembra sempre più la fotocopia di Arafat, con le richieste, impossibili da soddisfarsi, che mette sul tavolo. Sa benissimo che Israele non accetterà mai il cosiddetto ritorno dei profughi, sarebbe come firmare la propria autodistruzione,  come pure il fatto che non si potrà comunque ritornare ai confini del ’67, in quarant’anni la popolazione israeliana ha avuto un forte sviluppo, nuove città sono sorte dopo la guerra dei sei giorni, una realtà che oggi è sotto gli occhi di tutti, anche dei palestinesi. Così come Gerusalemme Est, compresa la città vecchia, non potrà mai essere la capitale del futuro stato, si dovrà trovare una soluzione che rispetti i diritti di Israele, che ha dichiarato la sua capitale “ una e indivisibile”.  Dei compromessi, nell’interesse di entrambe le parti, andranno pur fatti. Non a caso Olmert parla oggi  di “ interessi concordati “. Ma questa strada non piace ad Abu Mazen, stretto fra Hamas da un lato e da una parte dei suoi che preme per arrivare alle sue dimissioni dall’altra, inevitabile se non riuscirà a parlare a nome di tutti. Cosa che in Israele viene creduta solo dalla sinistra estrema, dove Yossi Beilin, leader del partito Meretz, non soddisfatto dei risultati di Oslo e Ginevra, chiede dall’opposizione che Israele dimentichi di trovarsi davanti ad un interlocutore dalle richieste non ricevibili, insistendo in aggiunta,  per una trattativa diretta con Hamas. Ma Beilin conta come il due di picche, lo intervistano solo più i giornalisti occidentali, il problema vero, quello che non può essere risolto da Israele, è la mancanza di un leader palestinese forte, e nello stesso tempo con una visione realista e democratica. Come dicevamo all’inizio, l’incontro è finito con un nulla di fatto. Di più, Olmert ha chiesto che il documento che verrà portato alla conferenza abbia allegata la lettera di garanzie che il presidente americano aveva inviato a Sharon, nella quale veniva chiaramente respinto il diritto al ritorno dei profughi in Israele, mentre riaffermava il diritto dello Stato ebraico all’annessione delle città fondate dopo il ’67 in Cisgiordania e abitate unicamente da cittadini ebrei. A risolvere la situazione ci proverà ancora Condi Rice, che ha già annunciato di voler riprendere in mano il filo della matassa, impresa quando mai delicata e difficile, e che finora ha lasciato dietro di sé solo tentativi, generosi ma senza sbocco.

Che succederà dunque ad Annapolis, Virginia, il 15 novembre ? Uno show per i media, dicono i pessimisti, che potrà avere anche una ricaduta politica su entrambi i fronti, israeliano e palestinese. La possibilità che nel West Bank, sotto il debole potere di Abu Mazen, possa nascere un secondo “Hamastan” è avanzata da molti analisti strategici. Il tutto sotto l’ombrello dell’ennesima conferenza di pace.
Angelo Pezzana
da Libero del 5 ottobre 2007


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