La politica antisraeliana del governo italiano nelle analisi di Carlo Panella e Alessandro Schwed
Testata:carlopanella.it - Il Foglio Autore: Carlo Panella - Alessandro Schwed Titolo: «Qualcuno fermi -con garbo- D'Alema antisemita - Notizie monche e politica del pigiama, è la linea dell’Ulivo su Hamas»
Dal blog di Carlo Panella, un articolo del 3 ottobre, che commenta l'intervista di Massimo D'Alema nell'ultimo numero della rivista Limes, "La Palestina impossibile":
Qualcuno fermi D’Alema, con calma, con dolcezza, con garbo, ma è indispensabile che qualcuno prenda il nostro Ministro degli Esteri, lo metta comodo su una poltrona e gli spieghi che ha due scelte: o inizia a ragionare e dismette la cultura staliniana che permea ogni sua frase e analisi che riguarda il sionismo e il medio oriente, oppure deve lasciare gli Esteri e occuparsi di settori in cui faccia minor danno. A ore, attendiamo una protesta formale dell’ambasciata di Israele per questo giudizio espresso dal Nostro sulla crisi palestinese a Lucio Caracciolo di Limes: “Ci si comincia a rendere conto che il prolungarsi del conflitto, conseguenza della volontà di alcuni settori della classe dirigente israeliana di “gestire” la crisi invece di risolverla, sta producendo la progressiva trasformazione del problema palestinese da questione nazionale a questione religiosa”. Dunque la colpa del prolungamento del conflitto è esclusivamente –altri responsabili non vengono citati- di “alcuni settori della classe dirigente israeliana”! Non è mai esistita l’offerta del 97% dei Territori di Barak e Clinton nel 2000! Non è mai esistita l’Intifada delle Stragi! Nulla, i palestinesi e la loro leadership sono mondi da ogni peccato. E’ lo schema che il giovane D’Alema applicava con me, quando litigavamo come pazzi durante la guerra dei sei giorni nel giugno 1967 nel cortile del Liceo Doria di Genova e ripeteva le cose demenziali che leggeva sull’Unità e sulla Prava, convinto che Israele fosse “lacché dell’Imperialismo” e Nasser e gli arabi “i nuovi vietnamiti”. Ma il Nostro non si ferma qui e al solito, ci tiene a fare una ennesima dimostrazione di ignoranza, perché sostiene appunto che il risultato di questa “colpa” israeliana è “la trasformazione del problema palestinese da questione nazionale a questione religiosa”. Solo chi ignora totalmente la storia può fare questa affermazione. Solo chi non sa –e non vuol sapere- che fino al 1948 incluso il problema palestinese era già tanto una “questione religiosa” che la leadership era saldamente nelle mani del filo nazista Gran Mufti di Gerusalemme Haji Amin al Husseini, può pensare che questa sia una svolta recente. Peggio ancora, solo chi ancora oggi pensa che Nasser fosse un “socialista arabo” e non quel che era, un mammalucco, un classico pretoriano che, a fronte della ennesima crisi monarchica in una paese islamico, aveva preso il potere, senza alcuna ideologia di ricambio rispetto all’islamismo. Solo uno sprovveduto, oggi, nel 2007, può pensare che sia esistita nei paesi arabi, Olp di Arafat inclusa, una parentesi laica e che questa sia sfociata in un revival fondamentalista a causa del permanere del conflitto. Il “rifiuto arabo di Israele” è sempre stato motivato, ab initio, da ragioni religiose, tanto che i nazionalisti palestinesi e arabi (gli al Hashemi in una prima fase, poi i Nashashibi di Gerusalemme, poi Bourghiba, poi gli Abu Mazen), sono sempre stati in netta minoranza a fronte di una maggioranza jihaadista. D’Altronde, proprio gli spasmi della società irachena post Saddam stanno lì a dimostrare che quella società baathista non è mai stata minimamente sfiorata da altra ideologia che no fosse quella islamico-jihaadista. Veniamo qui al punto saliente dell’intervista di D’Alema a Limes, là dove si proclama tranquillissimo a fronte dell’evenienza di una presa del potere per via elettorale dei Fratelli Musulmani in vari paesi islamici. Qui, di nuovo, D’Alema ci tiene a far saper di essere di una ignoranza crassa perché elenca il partito Akp di Erdogan in Turchia assieme alle formazioni legate ai Fratelli Musulmani in Giordania, Marocco e Egitto. Il Nostro, evidentemente non sa che invece l’Akp ha rotto violentemente con i Fratelli Musulmani dopo il golpe democratico dei generali del 1997 e che con loro è invece sempre collegato quell’Erbakan che ha rumorosamente manifestato addirittura contro la visita di Benedetto XVI° a Istanbul. Ma D’Alema non ha la più pallida idea di cosa pensino i Fratelli Musulmani, trincia giudizi per aria, mom ha letto no un libro, ma una riga su di loro e di loro. Le legga e scoprirà che negano tutti il diritto di Israele ad esistere, che Hamas è in pieno la loro branchia riconosciuta in Palestina, che la donna deve essere sottoposta alla autorità tutoria dell’uomo, che il convertito musulmano che dua scandalo pubblico deve essere condannato a morte. Si informi, signor ministro e taccia. O si dimetta. Non sarebbe d’altronde un gesto di cattivo gusto se finalmente Emma Bonino e Marco Pannella chiedessero le sue dimissioni, motivate proprio da questa incredibile sequela di dichiarazioni paleosovietiche (anche Stalin ha avuto a un certo punto un debole per i fondamentalisti musulmani, per il loro ruolo “antimperialista)
Dal FOGLIO, un articolo di Alessandro Schwed sulle posizioni del governo italiano su Hamas
Dopo la dichiarazione israeliana di Gaza entità ostile, in Italia un’altra pericolosa esplosione di nulla travestito da parole. La notizia è pervenuta monca, come se derivasse da una naturale propensione d’Israele per l’inimicizia alla Palestina. E’ a fatica che nella parte finale della notizia stessa è emerso come da giorni Hamas stesse sparando razzi sui villaggi ebraici. E così, ogni volta che nel teatro del medio oriente si verifica un cambio di quadro, subito, in modo parallelo e pavloviano, nel nostro paese, sui giornali e nelle parole dei leader del centrosinistra si disegna una nuova catena di omissioni. Questa continua assenza di realtà, che poi è tipica di quando si parli di Israele, ha la pretesa di somigliare a una riflessione sulle mosse che l’Italia farebbe se fosse al posto d’Israele, per risolvere il contenzioso. In modo curioso, nella riflessione manca sempre la responsabilità di Hamas, il cui golpe di qualche mese fa è già nella soffitta di D’Alema e Diliberto. Opinionisti, politici, gente al bar, si alzano al mattino, di solito poco prima di pranzo, con la soluzione in tasca – del pigiama. La linea politica è che Israele non deve fare niente. Perché se Israele non reagisce, è come se non ci fosse il problema, ma solo i razzi quotidiani di Hamas – e quelli chi li vede? Tale comoda visione ha infatti sede in poltrona davanti alla tv, che è come dire davanti ai sogni. E’ così che si sviluppa l’idea-non idea, l’omissione immane che va da Prodi a Giordano, di quale abbia a essere la politica dello stato ebraico: lasciarsi ammazzicchiare. L’ideanon idea è che i ragazzi di Hamas sfoghino. Che gli scugnizzi del jihad si esprimano. Dato che sono disperati e dato che sono meravigliosamente ancestrali. Tanto a un certo punto smetterebbero comunque, perché a una cert’ora, dopo i fuochi d’artificio, si va a dormire. Poco importa se i cittadini israeliani di questa o quella cittadina sono da anni sotto i razzi, se i ragazzi vanno a scuola nei bunker. Tanto, chi li conosce? In tv non si vedono. E per molte persone diciamo così democratiche non è possibile paragonare l’estasi bombarola alle banali strisce azzurre della bandiera con la stella di David. Lo stato, specialmente poi se ebraico, non ha appeal. Per le nuove generazioni dell’antagonismo, e per le vecchie del ’68, Israele è l’ultimo Vietnam a disposizione. L’ultima spiaggia della giovinezza. Il giorno che la pace tra Israele e Palestina piombasse sui cortei creativi, opaca e normale, sarebbe la psicofine. Non rimarrebbero che la fantascienza e il cabaret politico di D’Alema. Sotto le bandiere dell’Ulivo e della sinistra radicale, la soluzione del conflitto israelo-palestinese corrisponde a una soddisfazione dell’ego, il cui principio di piacere è mascherarsi per tutta la vita da indiani apache, sezione di Gaza. Per chi assiste, noi, è una tempesta di tedio. Già. Quel fastidio antropologico che il nostro ministro degli Esteri subisce dai comici, noi lo subiamo in modo simmetrico, ogni giorno, dal qualunquismo di D’Alema e della sinistra italiana. Un fiorire di cavolate a perdere, che ha le parvenze di una gigantesca colite morale. Tale basso evento si estende nel nostro paese in una misura e in un modo che non ha eguali al mondo. E il suo persistere è un grande successo di questo governo e della sua politica estera. Bisogna dire che l’abitudine a tale flagello è grande, e la gente si lascia evaporare la mente che è un piacere. Si ascoltano le notizie assurde, o astruse, o monche, come quelle che riguardano Israele, e non si batte ciglio. Ad avere l’abitudine di non pensare, si potrebbe arrivare a inaudite soglie minime, e smettere di pensare senza neanche accorgercene. E a proposito, questo solleva, e di molto, il nostro fastidio antropologico.