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Famiglia Cristiana - Asca Rassegna Stampa
03.10.2007 L'Iran chiama, l'Italia risponde
uniti contro le sanzioni

Testata:Famiglia Cristiana - Asca
Autore: Carlo Remeny - la redazione
Titolo: «Una bomba diplomatica - IRAN: PRODI, CON NEGOZIATO APERTO NON OPPORTUNO INASPRIRE SANZIONI»

FAMIGLIA CRISTIANA datata 7 ottobre 2007 pubblica un'intervista di Carlo Remeny all'ambasciatore iraniano in Italia, che senza contraddittorio può diffondere la propaganda del suo regime, giungendo a sostenere che il nucleare iraniano sarebbe temuto perchè troppo pacifico: svergognerebbe le potenze nucleari. Detto dal rappresentante di uno Stato che ne vuole cancellare un altro dalla faccia della terra.
Remeny non solo non contesta le assurdità dell'ambasciatore, rincara anche la dose.
Per esempio quando  scrive "Vengono in mente le parole del viceministro degli Esteri iraniano Saeed Jalili, il quale, visitando un anno fa Roma, commentò l’atteggiamento dei Paesi europei mediatori (Francia, Gran Bretagna, Germania) nella vicenda iraniana: «Non c’è nulla di più difficile che svegliare dal sonno uno che non dorme»."
In realtà, contrariamente a quanto suggeriscono Jalili e Remeny, la mediazione è già fallita per l'intransigenza iraniana  e se gli stati europei vogliono evitare la guerra devono ora far fronte comune con gli Stati Uniti per far comprendere a Teheran che si trova di fronte a una coalizione compatta che non le permetterà di portare a termine i suoi progetti nucleari.

Ecco il testo:

Il contrasto sul nucleare iraniano nasce dal presupposto che l’Iran stia sviluppando la tecnologia con l’obiettivo finale di arrivare alla bomba atomica. Teheran si è sempre difesa sostenendo che non è vero, e che il nucleare è necessario per soddisfare esigenze energetiche in un Paese alle prese con una rapida crescita demografica.

L’Agenzia atomica internazionale, l’organismo chiamato a verificare la situazione, ha affermato di non aver mai trovato nulla che indicasse l’intenzione iraniana di arrivare all’arma nucleare, ma che esistono delle domande, legate allo sviluppo della tecnologia da parte della Repubblica islamica, che sono da chiarire: e cioè come e con l’aiuto di chi Teheran abbia sviluppato il programma nucleare, e perché non lo abbia reso pubblico già anni addietro.

Agenzia atomica e Iran hanno raggiunto in questi ultimi mesi un’intesa articolata: l’Agenzia pone dei quesiti a cui Teheran risponde uno per uno nel modo più dettagliato possibile, così da poter definitivamente allontanare ogni sospetto. Il periodo di verifica potrebbe durare sino a dicembre. L’accordo è stato elogiato come un significativo passo in avanti dai responsabili dell’Agenzia, ma gli Usa non lo accettano.

Il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice ha detto che la diplomazia non fa parte dei compiti di Mohammed el Baradei (il direttore generale dell’Agenzia). L’Europa è divisa tra i fautori della linea americana e coloro che tacciono. Russia e Cina plaudono alla cooperazione. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, davanti all’Assemblea generale dell’Onu, ha dichiarato che per l’Iran la questione è chiusa e restano solo gli aspetti tecnico-legali da chiarire tramite la cooperazione concordata, appunto, con l’Agenzia atomica.

Il Consiglio di sicurezza

«A me pare che Mohammed el Baradei cerchi di recuperare il ruolo perduto dall’Agenzia atomica», ci dice l’ambasciatore iraniano in Italia Abolfazl Zohrevand. «In una fase precedente il dossier iraniano è stato spedito al Consiglio di sicurezza e ha leso il prestigio dell’Agenzia. Si è trattato di un errore, una decisione in contraddizione con la natura del nostro programma nucleare, che è civile. Ora la questione è rientrata nel suo quadro naturale, che è l’Agenzia, per le necessarie verifiche tecniche. D’altronde, noi crediamo fortemente che il caso possa e debba essere risolto nell’ambito dell’Agenzia, perché se ci fosse una terza risoluzione del Consiglio di sicurezza (due ordinano a Teheran la sospensione del processo di arricchimento dell’uranio), questa costringerebbe l’Iran a rivedere il modo di collaborazione in atto con l’Agenzia».

«Una nuova risoluzione», prosegue l’ambasciatore, «significherebbe anche decretare che l’Agenzia atomica è inefficiente, dopo la recente relazione di el Baradei, in cui si dicono almeno tre cose importanti: che c’è un accordo con Teheran per lavorare insieme, che non ci sono prove che l’Iran punti all’arma atomica e che l’atteggiamento adottato dimostra che l’Iran è sulla buona strada. Il caso è tecnico, se vogliamo giuridico. Volendo insistere con il Consiglio di sicurezza lo si trasforma in politico».

Da Parigi alla Casa Bianca

La nuova amministrazione francese si è fatta due volte portavoce di quello che si ritiene anche il pensiero della Casa Bianca. Il ministro degli Esteri Bernard Kouchner ha affermato che bisogna prepararsi al peggio, e il peggio è la guerra. Il presidente Nicolas Sarkozy ha dichiarato all’Onu: «Se permettessimo all’Iran di acquisire armi atomiche, prenderemmo un rischio inaccettabile per la stabilità della regione e del mondo».

Vengono in mente le parole del viceministro degli Esteri iraniano Saeed Jalili, il quale, visitando un anno fa Roma, commentò l’atteggiamento dei Paesi europei mediatori (Francia, Gran Bretagna, Germania) nella vicenda iraniana: «Non c’è nulla di più difficile che svegliare dal sonno uno che non dorme».

«Penso che le espressioni francesi indichino che è in corso da parte di Parigi un tentativo frettoloso di conquistare spazi nella Ue per una nuova relazione con gli Usa», osserva l’ambasciatore, «e mostrano anche un deficit di attenzione da parte della Francia nei confronti del Medio Oriente. Un conto è pensare che il Medio Oriente finisca in Libano, un altro è considerare che comprenda anche Iran e Afghanistan».

Un possibile ruolo per l’Italia

«Gli europei», continua Zohrevand, «in quanto amici degli Usa, dovrebbero ricordare a Washington che sta commettendo un errore con l’Iran. Noi siamo tuttora fiduciosi che interagire con l’Europa possa far capire agli europei e agli amici degli europei che l’Iran ha il diritto alla tecnologia nucleare».

Teheran non ha mai nascosto che gradirebbe anche Roma tra i mediatori europei. «L’Italia potrebbe svolgere un ruolo significativo in quasi tutti gli avvenimenti mediorientali. La posizione geografica, la sua storia, la buona conoscenza del Medio Oriente ne fanno un Paese importante», sottolinea l’ambasciatore iraniano a Roma. «Senza dimenticare che esiste un sentimento di fiducia da parte dei popoli mediorientali verso l’Italia. Questo è un patrimonio che andrebbe salvaguardato».

L’Iran è uno degli Stati firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare (che Israele, per esempio, non ha mai voluto accettare), che permette agli aderenti di disporre del ciclo nucleare completo, compreso l’arricchimento dell’uranio, per scopi civili.

I controlli degli ispettori

Il Trattato impone anche dei doveri, come i periodici controlli degli ispettori internazionali, oppure l’installazione a opera degli stessi di impianti di controllo per monitorare i siti nucleari (che possono essere anche centri di ricerca e non necessariamente reattori, di cui l’Iran non dispone ancora, essendo la centrale di Bushehr in costruzione).

«Davanti alla legge del Trattato di non proliferazione siamo tutti uguali», conclude l’ambasciatore Zohrevand. «Sono convinto che gli Stati Uniti avranno problemi sul fronte del disarmo nucleare una volta risolta la questione del nucleare iraniano, perché l’Iran dimostrerà che si può avere il ciclo completo (produrre combustibile nucleare con l’arricchimento dell’uranio) senza costruire l’arma atomica. Questo potrebbe indurre altri Paesi a seguire il nostro modello e si porrebbe automaticamente la domanda agli occhi dell’opinione pubblica: perché altri (le cosiddette potenze nucleari) dispongono della bomba? Perché ne producono di nuove?».

Intanto, l'agenzia ASCA informa che Prodi prende posizioni contro le sanzioni all'Iran.
Ecco il testo:

 
IRAN: PRODI, CON NEGOZIATO APERTO NON OPPORTUNO INASPRIRE SANZIONI
 
ASCA) - Roma, 3 ott - Non sarebbe opportuno inasprire le
sanzioni nei confronti dell'Iran mentre sta per partire il
negoziato mentre per la conferenza di pace sul Medio Oriente
l'Italia contionua a lavorare affinche' sia la piu' ampia
possibile e con una agenda solida. Gli equilibri sempre
difficili in tutta l'area del Medio oriente e il nucleare
iraniano sono i temi al centro delle domande della stampa
estera nell'incontro odierno con il presidente del consiglio
Romano Prodi. E proprio sull'Iran e' la prima domanda e il
premier ricorda che ''abbiamo sempre detto che le sanzioni
sono lo strumento per spingere al dialogo'' ma ''inasprire le
sanzioni prima di sedersi al tavolo non e' la scelta piu'
accurata. Bisogna approfittare della finestra'' di dialogo
che si e' aperta a New York all'assemblea generale dell'Onu.
''La chiamo finestra perche' non si puo' tenere aperta per
sempre''.
Prodi non intende prefigurare scenari in caso di
fallimento del negoziato precisando che ''l'Italia crede
nella dottrina che le questioni e la soluzione dei problemi
si affronta nell'ambito delle Nazioni Unite''. Tuttavia il
premier sottolinea che il successo del negoziato e'
''vitale'' per la pace del mondo ma e' essenziale soprattutto
per l'Iran e per il suo ruolo regionale.
L'altra grande questione e' la prossima conferenza di pace
sul Medio Oriente per la quale Prodi non nasconde ottimismo
ricordando pero' che spesso ci sono state ''illusioni e
troppe speranze''. Ma oggi il dialogo tra Abu Mazen e Olmert
va avanti in modo serio e costruttivo e la conferenza di pace
potra' produrre risultati positivi.
Il premier ricorda poi la posizione dell'Italia favorevole
a una conferenza di pace piu' ampia possibile che
inizialmente aveva incontrato qualche critica ma oggi e'
ampiamente condivisa. E tra i partecipanti dovra' esserci la
Siria. ''L'Italia lavora perche' la Siria partecipi alla
conferenza di pace cosi' come tutti gli altri paesi
responsabili dell'area''. Per la stabilizzazione della
situazione in Medio Oriente, il presidente del consiglio
giudica ''importantissima'' la normalizzaziozione dei
rapporti tra Siria e Israele. ''Il Golan deve tornare alla
Siria - afferma Prodi - ma solo nell'ambito di un'intesa
ampia che dia stabilita' a tutto il Medio oriente''.

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