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La Stampa Rassegna Stampa
02.10.2007 Joschka Fischer: un verde che ha capito
ce ne sarà qualcuno anche da noi ?

Testata: La Stampa
Data: 02 ottobre 2007
Pagina: 13
Autore: PAOLO EMILIO PETRILLO
Titolo: «Fischer: “Quegli spari mi cambiarono la vita”»

Da La STAMPA del 2 ottobre 2007 un articolo su Joschka Fischer, politico tedesco che partendo dalle posizioni dell'estrema sinistra palestinese è arrivato a comprendere che "l’antisionismo non è altro che antisemitismo, che come ogni antisemitismo si conclude con la morte di persone ebree"
Ecco il testo
:

Quando il tabloid Bild pubblicò le foto del giovane Joschka Fischer impegnato con alcuni altri a picchiare un agente di polizia, l’opinione pubblica tedesca tremò. In molti chiesero le sue dimissioni, ma lui contrattaccò rivendicando le sue origini di militante. Oggi confessa che fu sul punto di darle. «Gli spari del 2 giugno 1967, quando un poliziotto uccise lo studente Brenno Ohnesorge durante una manifestazione di protesta, cambiarono la mia vita» - scrive nell’autobiografia «Gli anni rosso-verdi. La politica estera tedesca dal Kosovo all'11 settembre», nelle librerie tedesche dal 4 ottobre. «Dopo sono entrato in contatto con gli Studenti socialisti tedeschi (Sds), diventando così uno della sinistra radicale. Una persona cioè che non accettava, e combatteva, la realtà dell’allora Repubblica federale. E dopo la vittoria d’Israele nella guerra di giugno, il destino dei palestinesi diventò per me sempre più importante».
Joschka Fischer, ex leader del ‘68 tedesco, ex capo dei Verdi ed ex ministro degli Esteri, lavora già alla seconda parte delle sue memorie: la prima è anticipata dal settimanale «Der Spiegel», ed è ricca di retroscena sulla lunga storia della coalizione rosso-verde. La politica della «mano leggera» di Gerhard Schroeder? «Un’uscita infelice». La guerra in Kosovo? «Una porcheria, una grossa porcheria». E i verdi? «Mi hanno permesso una formidabile ascesa politica, ma alla fine ero sfinito, semplicemente stanco. Quell’eterna lotta tra illusione e realtà, quelle discussioni con gente che a volte non sapeva nemmeno di che cosa parlava mi esaurivano. Non lo davo a vedere, ma alla fine ero esausto, anzi ferito».
Alla scuola del '68 tedesco, nato soprattutto come critica alla generazione precedente, responsabile non solo del periodo nazionalsocialista ma anche di aver scelto la via del silenzio dopo la disfatta del 1945, Fischer aveva imparato a rifiutare nella politica ogni forma «di ingiustizia e oppressione». Il che portava lui e alcuni suoi compagni ad avere qualche difficoltà rispetto al conflitto in Medio Oriente: da una parte la simpatia per gli arabi, dall’altra il pesantissimo debito morale nei confronti degli ebrei, prime vittime della follia nazista. «Per questo motivo, a differenza di altri nella nuova sinistra, non ho mai dubitato del diritto all’esistenza d'Israele - prosegue Fischer -. La colpa tedesca nell’Olocausto era parte fondante della mia identità politica».
Una prima soluzione del dilemma Fischer la trovò nell’idea dei «Due popoli e due stati», e nella critica non dello Stato ebraico ma di una sua tendenza politica. «Non era Israele il problema, pensavo a quel tempo, ma il sionismo».
Posizione che Fischer abbandonerà nel luglio del 1976, dopo il dirottamento in Uganda di un aereo che da Atene volava verso Parigi. «La “solidarietà” con i palestinesi portò infatti molti gruppi della sinistra radicale europea ad appoggiare le azioni del terrorismo palestinese - spiega Fischer - La catastrofe si toccò con il sequestro dell’aereo dell'Air France per mano di un commando dell’Flp, di cui facevano parte anche due militanti tedeschi, Wilfried Boese e Margitte Kuhlmann. Entrambi vennero uccisi durante l’intervento delle truppe speciali israeliane». Tutto ciò era già abbastanza scioccante ma ciò che lasciava veramente a bocca aperta, era venire a sapere che «i due terroristi tedeschi si erano messi a guardare i passaporti dei passeggeri, selezionandoli in base al loro essere o non essere ebrei». «Quello fu il momento del risveglio - conclude Fischer - Mi era diventato chiaro che anche l’antisionismo non è altro che antisemitismo, che come ogni antisemitismo si conclude con la morte di persone ebree».

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