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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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André Chouraqui Lettera a un amico arabo 01/10/2007

Lettera a un amico arabo                                   André Chouraqui

 

Traduzione di Roberto Peverelli

 

Medusa                                                                   Euro 21

 

La “lettera a un amico” – autentico o presunto – è un vero e proprio genere letterario, con i suoi piccoli canoni e le sue molteplici debolezze. E’ in fondo anche un modo spicciolo per coinvolgere il lettore più anonimo, farlo sentire in colpa e/o gratificarlo per quel che pensa. E’ un modo indiretto, e per questo a volte fin troppo comodo, per dire pane al pane. E’, va detto, una tentazione irresistibile, la lettera a un amico. Purchè sia astratto, inafferrabile.

 

Non è questo certamente il caso della “Lettera a un amico arabo” che André Chouraqui scrisse in francese nel lontano 1969 e che viene pubblicata oggi in traduzione italiana dalle edizioni Medusa di Milano. Intanto per la mole di pagine: la “lettera a un amico” è di solito presto fatta e altrettanto letta.

 

Questa è invece una vera, lunga e ininterrotta storia, che si narra così, come raccontando a voce. Poi perché qui l’amico arabo esiste davvero, in carne e ossa: si chiama Ahmed Benghana e vive fianco a fianco con chi scrive, in quella Gerusalemme che segna la vicenda di entrambi.

 

Ma questa è una lettera speciale soprattutto perché la scrive André Nathan Chouraqui: probabilmente l’unica persona che abbia mai tentato la traduzione dei tre testi sacri dell’ebraismo, dell’islam e del cristianesimo. Mancato quest’anno, Chouraqui è stato davvero un grande personaggio, capace di una tenace fedeltà alla propria storia ma al tempo stesso fiducioso nella possibilità di stabilire un ponte fra le fedi, cosa che oggi, per lo meno in certi contesti, appare più difficile che mai.

 

Chouraqui non è tenero con la storia, e in questa lettera la racconta severamente al suo amico arabo: gli narra del millenario incontro fra ebraismo e islam, ma non risparmia al suo interlocutore, e ai lettori che verranno dopo di lui, i soprusi, le ingiustizie, le asperità del passato e del presente. “I piccoli arabi, cristiani o musulmani, ci inseguivano spesso gridando, come in un gioco, “sporco ebreo”. In questo modo, eravamo da subito abituati alle ingiurie. Compresi che ero “sporco” prima ancora di sapere che cosa significasse “ebreo”.

 

Questa storia parte da Gerusalemme, la città che appartiene a entrambi, André Nathan e il suo amico arabo: qui sono nati e qui le loro famiglie abitano da molte generazioni. Poi si sposta nella Parigi dei fermenti rivoluzionari, degli incontri con una modernità impensabile laggiù, anzi lassù (perché a Gerusalemme si sale), nell’ombelico del mondo. Chouraqui racconta la storia della propria vita ma anche del mondo in quei lunghi anni: la Shoah. La rinascita dello stato ebraico. Il conflitto arabo israeliano. L’odio vecchio e nuovo che rimonta. In questo senso, la sua Lettera a un amico arabo è una vera e propria summa: sofferta e in prima persona, esaustiva nei suoi ampi orizzonti. Sullo sfondo resta la questione più tormentosa: il senso di una fede che detta una storia a volte tanto crudele.

 

Elena Loewenthal

 

Tutto Libri – la Stampa

 


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