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La Repubblica Rassegna Stampa
01.10.2007 L'anno sabbatico degli haredim in Israele
una cronaca di Alberto Stabile

Testata: La Repubblica
Data: 01 ottobre 2007
Pagina: 36
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «I rabbini 007 del cibo»

Sull'anno sabbatico inziato il 12 settembre e su come lo vivono gli ebrei ortodossi in Israele, La REPUBBLICA pubblica un articolo di Alberto Stabile che riportiamo:

Non fosse stato per i loro passaporti israeliani, sarebbero stati scambiati per gente di Hamas o della Jihad islamica. Invece, dopo un lungo interrogatorio da parte della polizia giordana, un gruppo di rabbini appartenenti ad una corrente ultraortodossa lituana travestiti da agricoltori arabi, con tanto di kefieh e candide sottane, sono stati fati entrare nel regno hashemita nonostante i sospetti suscitati dal loro bizzarro abbigliamento. C´era al valico di frontiera dell´Haravà un cronista del settimanale Hamishpaha e la cosa è finita sui giornali con tanto di fotografie.
Una carnevalata? Niente affatto. I finti beduini erano una delegazione d´ispettori dell´organizzazione "Sheerit Yisrael" ("Ciò che resta d´Israel", inteso come il popolo biblico), che vigila sulla conformità alle regole religiose degli alimenti (Kasherut). Nel nostro caso, la frutta e la verdura importate dalla Giordania e destinate alle mense della setta lituana. Perché quello cominciato il 12 settembre, per il calendario ebraico il 5768, è un anno sabbatico ("Shmità", remissione) durante il quale la terra deve riposare, non può essere coltivata e gli unici prodotti che gli ebrei possono consumare sono quelli provenienti da terreni posseduti da non-ebrei.
I rabbini di "Sheerit Ysrael" pizzicati alla frontiera giordana nel loro ingenuo camuffamento volevano controllare che i terreni presi in affitto nel regno hashemita in vista dell´anno sabbatico fossero ben al di fuori dai confini biblici della Terra d´Israele e le serre che vi avevano fatto impiantare fossero ben avviate. Temendo di dare troppo nell´occhio con i loro abiti tradizionali di ebrei ultraortodossi e d´incappare in qualche spiacevole incontro, avevano deciso di mimetizzarsi da arabi, finendo, però, proprio a causa del travestimento, di attirare l´attenzione delle guardie giordane.
Incidente chiuso, ovviamente. Ma che cosa implica, per un paese moderno di oltre sette milioni di abitanti, con un´industria alimentare in grado di soddisfare ogni esigenza e un´agricoltura all´avanguardia nei mercati del mondo, rispettare il precetto religioso dell´anno sabbatico ("Alla fine di ogni sette anni celebrerete l´anno di remissione", Deuteronomio 15; 1-3)? Implica, tra l´altro, un conflitto tra lo Stato laico che si fa carico degli interessi generali e le tendenza della popolazione degli haredim, gli ultraortodossi o "timorati di dio", a risolvere secondo la loro visione anacronistica un problema così delicato come l´approvvigionamento alimentare di un intero paese.
Finché gli ebrei vivevano nella diaspora il problema dell´anno sabbatico non si poneva. Fu a partire della seconda metà dell´Ottocento, quando gli ebrei cominciarono a ritornare nella Terra dei Padri, che la questione diventò attuale. Fra i nuovi immigrati d´allora c´erano anche giovani convinti che la redenzione del popolo ebraico passasse attraverso la conquista della terra per mezzo del lavoro dei campi.
Alla fine del Secolo XIX i rabbini sefarditi si resero conto che la sospensione del lavoro agricolo per un intero anno avrebbe vanificato gli sforzi di bonifica perseguiti negli anni precedenti e ridotto alla fame i contadini. Fu così che escogitarono l´espediente della vendita fittizia ("heiter mechira"), che permetteva di cedere simbolicamente la proprietà fondiaria in blocco ad un non-ebreo con un contratto della validità di un anno, in modo da lasciare che i contadini continuassero a lavorare la terra in qualità di "stipendiati". In questo modo i prodotti venivano considerati Kasher e potevano esser venduti agli ebrei.
Questo sistema ha funzionato per decenni. Le esigenze laiche dello stato e quelle religiose rappresenta dal Rabbinato centrale avevano trovato un equilibrio. C´è però una fetta della popolazione, composta prevalentemente da ultraortodossi ashkenaziti che non hanno mai accettato questa soluzione ritenendo che essa svuoti il precetto della "remissione dei terreni".
Per loro gli unici frutti della terra che si possono consumare durante l´anno sabbatico sono quelli prodotti fuori dai confini della Terra d´Israele, o, se prodotti entro tali confini, devono provenire da campi di proprietà di non-ebrei e coltivati da non-ebrei. Da qui la necessità d´importare grandi quantità di prodotti dall´estero per soddisfare i bisogni del popolo degli ultraortodossi sempre in crescita.
Quest´anno, il problema è reso più acuto dal fatto che la collaudata collaborazione con gli agricoltori palestinesi si è interrotta a causa delle tensioni politiche. Gli ultraortodossi si sono dunque rivolti alla Giordania soprattutto per le verdure più deperibili come la lattuga e i cavoli.
L´aumento delle importazioni imposto dalle esigenze del pubblico degli haredim, ha, però, provocato un sensibile aumento nel prezzo di alcuni prodotti di largo consumo, come pomodori e insalata, che rischia di penalizzare tutti i consumatori, religiosi e non. E questo ha spinto il presidente della Commissione Giustizia e Affari Costituzionali della Knesset, Menachem Ben Sasson a lanciare un ultimatum al Rabbinato Centrale (che ha competenza assoluta in materia di Kasherut). Se il Rabbinato non interviene sugli ultraortodossi, ha minacciato in sostanza Ben Sasson, la Commissione avanzerà la proposta d´istituire un´«Autorità alternativa che offrirà soluzione adatte agli interessi della popolazione in generale».

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