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La Stampa Rassegna Stampa
24.09.2007 In Iran è facile cambiare sesso, ci assicura Farian Sabahi
ma per molti "reati" sessuali si può morire

Testata: La Stampa
Data: 24 settembre 2007
Pagina: 10
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Facile a Teheran cambiare sesso»
Da La STAMPA del 24 settembre 2007, un articolo di Farian Sabahi sul cambio di sesso in Iran.

Difficile pensare che in Iran cambiare sesso sia davvero così facile, quanto meno per motivi  tecnici (e la foto che correda l'articolo sembra avvalorare questo dubbio).
In ogno caso, l'Iran è un paese nel quale l'omosessualità, l'adulterio e altri reati di natura sessuale sono puniti con la morte, con il carcere o con le frustate. concentrarsi sulla fatwa di Khomeini che permette le operazioni di cambio del sesso per mostrarlo come un paese tutto sommato tollerante e progredito significa occultare la realtà e manipolare l'informazione.

Ecco il testo:


La clinica Mirdamad del professor Bahram Mirjalali a Teheran è un indirizzo prezioso. Per gli iraniani, ma anche per gli stranieri che vogliono cambiare sesso: molti arabi che vanno in Iran perché lì è permesso, qualche italiano, alcuni svedesi e inglesi. Il viaggio merita, i prezzi sono contenuti: diventare donna costa 3.500 dollari (ai quali vanno aggiunte le cure ormonali e la plastica al seno) e l’operazione inversa 3.000 dollari. Un costo cui va sottratto, per gli iraniani, il 25 per cento di sovvenzioni statali erogate dal sistema sanitario pubblico. Ma, soprattutto, l’operazione è perfettamente lecita, non viola nessun precetto: la legge in vigore nella Repubblica islamica permette ai transessuali di sottoporsi alle operazioni chirurgiche necessarie a cambiare sesso e consente anche di ottenere una nuova identità sui documenti.
Lo ha spiegato ieri a Torino l’hojatolleslam Mohammad Mehdi Kariminiya, nella conferenza «Cambiare sesso a Teheran», organizzata nell’ambito della manifestazione «Torino Spiritualità».
Kariminiya ha un portamento austero e dimostra un po’ più dei suoi 42 anni: ha la barba sale e pepe corta, come usa tra i membri riformatori del clero sciita, e vive nella città santa di Qum dove insegna diritto di famiglia. Si è presentato al pubblico con il turbante bianco, l’abito dei religiosi color panna e il mantello marrone di tessuto leggero e ha spiegato che per il clero sciita il cambio di sesso è lecito anche se si tratta di intervenire, chirurgicamente, su una creazione di Dio. «Dopotutto, trasformare è nella natura umana - ha detto -. Ariamo i campi e seminiamo il grano, lo coltiviamo e maciniamo per ottenere la farina e poi, mescolandola all’acqua, facciamo il pane».
Alla base delle affermazioni di Kariminiya c’è una fatwa (decreto religioso) emanata dall’ayatollah Khomeini nel 1964, quando lo scià Muhammad Reza Pahlavi lo manda in esilio a Bursa, in Turchia. Durante l’anno trascorso all’estero Khomeini scrive un trattato di giurisprudenza in cui esamina il problema del cambio di sesso che «non è da considerare reato e, in presenza di una dichiarazione medica credibile, non presenta alcun problema».
In un primo momento questa affermazione non ha risonanza e ci si accorge della sua portata solo in seguito alla vittoria rivoluzionaria sulla monarchia del 1979. «Un giorno – ha raccontato Kariminiya a una folla attenta e curiosa – un uomo di nome Fereydun si presenta disperato al grande ayatollah mostrandogli il petto prosperoso e sottoponendogli il suo problema: si sente imprigionato in un corpo maschile che non percepisce te come suo e vuole assolutamente diventare donna. L’Imam Khomeini acconsente e Fereydun, dopo essersi sottoposto all’intervento chirurgico, assume il nome di Mariam».
L’opinione di Khomeini a favore del cambio di sesso è condivisa da buona parte del clero sciita, tra cui l’iracheno al-Sistani. Ma non dai religiosi sunniti, per i quali è assolutamente vietato. Per questo molti arabi vanno segretamente alla clinica Mirdamad. Come mai i religiosi sciiti permettono il cambio di sesso mentre i sunniti lo vietano? Perché, ha spiegato Kariminiya, per vietare qualcosa è necessario che sia scritto nel Corano, come accade per l’ubriachezza e l’omosessualità: «Per noi sciiti tutto quanto non è citato dal Corano è soggetto all’interpretazione dei giuristi ed è quindi potenzialmente lecito».
Ad avvicinare l’Iran sciita alla modernità è dunque «la possibilità di interpretare le fonti attraverso l’ijtihad (ragionamento), che per noi sciiti ha un’importanza maggiore, al punto che possiamo autorizzare l’affitto dell’utero e l’inseminazione artificiale».
Il riferimento non è azzardato: «Dopo aver cambiato sesso, moltissimi vogliono sposarsi e avere figli. Un medico ha tentato tre volte l’innesto dell’utero su tre diversi pazienti. In un caso l’intervento è riuscito ma, dopo l’iniziale concepimento, è seguito un aborto spontaneo. Nel caso del transessuale diventato donna e regolarmente sposato con un uomo, il marito può contrarre un matrimonio temporaneo con un’altra donna, accordandosi sul fatto che il neonato andrà subito con il padre e sua moglie, con i quali crescerà. Il transessuale che è diventato femmina deve però essere consapevole che non sarà mai una vera madre, anche se crescerà quel bambino con amore».
Non è nemmeno necessario, ha detto ancora Kariminiya, che il marito abbia un rapporto sessuale e firmi un contato di matrimonio perché si può prendere l’ovulo di una donatrice, fecondarlo in vitro e installarlo in un utero in affitto. Questa soluzione, permessa dall’Islam, non è riservata ai transessuali ma pure alle coppie in cui la donna fatica a concludere la gravidanza.
Pur dimostrando una maggiore apertura rispetto ai giuristi sunniti, è però evidente che per il clero sciita i transessuali non sono persone normali ma «malati che possono essere guariti». E in una società tradizionale come quella iraniana, cambiare sesso resta ovviamente un tabù e le persone che scelgono di farlo continuano a essere sottoposte a molte pressioni. «Ma questo - ha concluso l’hojatoleslam - succede a ogni latitudine».

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