Israele si difende: la pace è subito a rischio e la crisi umanitaria è dietro l'angolo rassegna di quotidiani
Testata: Informazione Corretta Data: 20 settembre 2007 Pagina: 0 Autore: Igor Man - Bernardo Valli - Alberto Stabile - Paola Caridi - Umberto De Giovannangeli - un giornalista - Michele Giorgio - Alessandra Fava - Ali Rashid Titolo: «Doppio preludio di guerra - Medio Oriente la missione impossibile di Condoleezza - Israele: Gaza è un´entità ostile - Israele mostra i muscoli, Gaza ora è il nemico - Israele punisce Gaza Per noi è un'entità nemica - Una punizione collettiva»
Eric Salerno - Roberto Bongiorni - Vittorio Dell'Uva
Acqua, luce, confini Così Tel Aviv controlla la striscia - L'obiettivo di Israele apartheid nei territori - La pace promessa - Olmert i sola Gaza - Israele Gaza entità nemica - Il cappio della strategia della tensione
La sospensione delle forniture elettriche e di carburante a Gaza non saranno "immediate", ma graduali edeterminate dal proseguire dei lanci di razzi kassam, i" razzi fatti in casa dai militanti di Hamas"non hanno solo effetti "psicologici", ma uccidono e feriscono, non esiste nessuna "deomonizzazione di Hamas", ma solo la constatazione che un gruppo terroristico che persegue la distruzione di Israele non è un interlocutore per la pace in Medio Oriente, Hamas è una sezione dei Fratelli musulmani, gruppo panislamico nato in Egitto, non un'"invenzione, nella metà degli 80, della leadership israeliana".
Sono alcuni dei contrasti tra i fatti e le falsità raccontate da Igor Man nel suo editoriale pubblicato dalla STAMPA del 20 settembre 2007, a pagina 35:
Hamas, entità nemica» e, come tale, sottoposta a immediate sanzioni economiche. Così ha deciso ieri il Consiglio di Difesa di Israele. Le sanzioni saranno dure non fosse altro perché sono gli israeliani ad avere i rubinetti dell’energia e dell’acqua, e non da oggi. Castighi severi ha subito una disgraziata popolazione, un milione e mezzo di palestinesi, sin dai tempi in cui la Striscia di Gaza era sotto tutela egiziana. Sharon, che personalmente curava il dossier-Gaza, non è mai riuscito a spegnere questo vero e proprio accesso di fissazione ch’è la Striscia: negli anni il mitico generale è sempre andato avanti e indietro, a mezzadria ora con la forza, ora con audaci colpi di scena: lo smantellamento delle colonie, per citare la decisione più clamorosa (rivelatasi tuttavia sterile). Paradossalmente la decisione del Consiglio di Difesa israeliano, definita dal portavoce di Hamas una «dichiarazione di guerra», anziché una manifestazione di forza è la spia della fragilità del governo presieduto dal controverso Olmert. Non è un mistero che i razzi fatti in casa dai militanti di Hamas ancorché rozzi ottengano in Medio Oriente, non soltanto in Palestina, un congruo successo psicologico e mediatico. Mai nella sua Storia Israele si è preoccupata di dichiarar guerra al nemico di turno. A torto o a ragione, Israele s’è mosso sempre in anticipo, senza scrupoli diremo diplomatici. Svanito Sharon, i suoi anemici successori non sono riusciti a partorire una decisione magari discutibile secondo i nostri parametri ma davvero efficace, sotto il profilo della sicurezza e della politica internazionale. Come scrive R. A. Segre (israeliano doc), i razzi di Hamas, quelli appunto fatti in casa, «rivelano una volta di più la vulnerabilità del fronte interno israeliano». Miscia Lidenstrauss, «controllore dello Stato», ha avuto «parole al vetriolo» per la condotta di Olmert (sul fronte interno, sul fronte internazionale). Le frequenti caritatevoli visite a Gerusalemme del segretario di Stato, Signora Condy, persona di feroce intelligenza, il suo «placet» all’odierna demonizzazione di Hamas (invenzione, nella metà degli 80, della leadership israeliana tesa a svirilizzare la laica Olp di Arafat) non risolvono certo un lungo contenzioso le cui conseguenze sono innanzitutto l’inedito sconforto dell’uomo della strada israeliano. Costui non sa capacitarsi di quella che crede essere «pavidità». Da qui le pressioni sul governo perché metta fine ai bombardamenti dei razzi Qassam sugli inermi villaggi israeliani. Fonti bene informate vogliono che Olmert abbia nel cassetto un piano per «far pulizia a Gaza». Esso, in fatto, tradisce una grande tentazione: «Dare una mazzata alla forza militare di Hamas - eliminare i capi della “entità nemica” e questo per ridurre il pericolo d’un secondo fronte nel caso (non improbabile) d’una guerra con la Siria». Tutto ciò per far riguadagnare il prestigio perduto da Tsaal nell’ultima guerra del Libano. Di più: il piano Olmert contemplerebbe addirittura la cattura dei personaggi più di spicco di Hamas. Vivi o morti. Nel retropensiero di Olmert tutto questo ambaradan dovrebbe irrobustire il periclitante Abu Mazen aprendo finalmente la strada alla grande madre di tutte le soluzioni: la confederazione dell’Alta autorità (?) palestinese col Regno di Giordania. Fra gli obiettivi di codesto piano, infine, la liberazione del caporale Shalit rapito da Hezbollah. Il piano può incantare l’uomo della strada frustrato dalla supposta inerzia del governo Olmert, non certo un personaggio come il segretario di Stato Condy. Il presidente Bush resta una tormentata incognita. Malraux definiva il mondo islamico «un minestrone ribollente». La bomba omicida di Beirut con la sua connotazione simile agli attentati «di stampo siriano», preludio della funesta guerra con Hezbollah soltanto pareggiata da Israele, tradisce la mano assassina del partito di Dio. E dire Hezbollah e lo stesso che dire Iran.
Le sanzioni israeliane a Gaza avranno per Bernardo Valli disastrosi effetti politici in Medio Oriente. L'editorialiasta della REPUBBLICA non si chiede se la vera minaccia alla pace non sia il controllo di Hamas sulla striscia
Altro sangue di esponenti anti siriani a Beirut, in un quartiere cristiano, e tensione tra Israele e Gaza, considerata un (supposto, probabile) caposaldo iraniano in Palestina, mentre l´inviata della Casa Bianca, Condoleezza Rice, arriva a Gerusalemme armata di propositi ragionevoli, purtroppo inflazionati dalla (a lungo) inconcludente politica imperiale. A questi avvenimenti si deve aggiungere il nuovo annuncio di Teheran, stando al quale la Repubblica islamica, fondata da Khomeini più di quarto di secolo fa, disporrebbe di armi sufficienti per rispondere e distruggere Israele, nel caso di un suo eventuale attacco aereo. La segretaria di Stato americana sperava probabilmente di trovare un clima più accogliente. La sua missione è di preparare, o meglio ancora di rendere possibile, la conferenza della pace voluta da George W. Bush. Conferenza che dovrebbe tenersi a Washington in novembre, ma della quale non si conosce ancora la data esatta, né il numero dei partecipanti. Né se potrà essere inaugurata. Il sangue di Beirut e ancor più il nuovo drammatico capitolo di Gaza non sono certo segnali positivi. Un fallimento, prima ancora dell´inizio, sarebbe il definitivo insuccesso mediorientale per il presidente americano giunto al suo ultimo anno alla Casa Bianca. E un disastro, non solo per i paesi della regione, tenendo conto del dilemma («bombardamento dell´Iran o bomba atomica iraniana») che ci accompagnerà, come un incubo nel Uno sguardo ai vari calendari non ha certo, comunque, indotto Condoleezza Rice a pensare, iniziando il viaggio, che le ricorrenze religiose, il Ramadan in corso e lo Yom Kippur imminente, siano propizi alla pace. Là, in quelle regioni, invece di portare la quiete negli animi esse spingono piuttosto alla violenza o all´intransigenza. La storia ci ricorda che tra l´estate e l´autunno il Medio Oriente diventa incandescente. Le più intricate, agitate situazioni mediorientali vanno tuttavia analizzate con idee semplici. E laiche. Comincio dunque dall´avvenimento politicamente più rilevante: la decisione israeliana di dichiarare «entità nemica» la striscia di Gaza, popolata da quasi un milione e mezzo di palestinesi, e dal giugno scorso governata dai secessionisti islamici di Hamas. I quali rifiutano (al contrario dell´Autorità Palestinese insediata a Ramallah e controllata dalla laica Al Fatah) di riconoscere lo Stato ebraico. La dichiarazione del governo di Ehud Olmert, rinvigorito dalla presenza di Ehud Barak, l´energico ministro della difesa al quale si può attribuire l´iniziativa, mette adesso Gaza sullo stesso piano dei paesi nemici, della Siria e dell´Iran. Nell´immediato questo dovrebbe consentire, sul piano della «legalità internazionale», di adottare sanzioni severe, quali la riduzione dell´energia elettrica (che a Gaza dipende per più del cinquanta per cento da Israele) o dei carburanti indispensabili alla vita della collettività, e di limitare i passaggi di frontiera al solo transito dei generi alimentari o del materiale sanitario. Queste sanzioni non sarebbero «legittime» se Gaza fosse ancora considerata «un territorio occupato» come la vicina Cisgiordania. E comunque non saranno applicate, sempre secondo il governo israeliano, prima di un esame delle conseguenze sul piano umanitario. La dichiarazione di Gaza «entità nemica» è stata provocata dai continui lanci di razzi Qassam sul territorio israeliano che i ripetuti interventi di Tsahal non sono riusciti né a stroncare né a frenare, e che i dirigenti di Hamas, pur non essendone i diretti responsabili, non sono stati capaci o non hanno voluto impedire. Nonostante abbiano più volte promesso di intervenire a Damasco con gli esponenti della Jihad Islamica, dai quali dipenderebbero quei lanci. La motivazione formale, accompagnata dalla promessa che prima di applicare le sanzioni saranno valutate le conseguenze umanitarie, non ha attenuato l´impatto della dichiarazione israeliana. Hamas l´ha denunciata come una dichiarazione di guerra, anche se essa non sembra, almeno per ora, il preludio di un´azione militare massiccia. La quale presenterebbe troppe incognite, troppi rischi e implicazioni politiche. Limitandosi agli aspetti umanitari, la stessa Condoleezza Rice ha sentito il bisogno di dire che «i palestinesi innocenti» non devono subire le conseguenze della decisione israeliana. Quest´ultima, aldilà delle pressioni interne subite dal governo Olmert e degli inquietanti aspetti umanitari, ha in questo particolare momento, mentre si prepara la conferenza di Washington, un peso politico che può rivelarsi decisivo. In senso negativo. L´Autorità Palestinese ha condannato la dichiarazione di Gaza «entità nemica», che rende «legittime» le sanzioni contro un milione e mezzo di palestinesi. Pur essendo in aperta tenzone con gli islamisti secessionisti di Hamas, il presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen), già accusato di essere un collaboratore di Israele, rischia di subire la collera dei palestinesi, di Cisgiordania o d´altrove, solidali con i loro connazionali di Gaza. Questo accade proprio mentre è in corso un´aspra discussione sulla natura della Conferenza di Washington. Per parteciparvi Mahmud Abbas chiede che ci sia sul tavolo una «dichiarazione di principi», in cui si parli in modo esplicito del futuro Stato di Palestina. E questa sua esigenza è resa ancora più irrinunciabile dalla minaccia delle sanzioni ai danni dei palestinesi di Gaza. Mentre il primo ministro Ehud Olmert vuole o deve limitarsi, vista la sua fragile posizione politica in patria, a «una dichiarazione di intenzioni». La quale è insufficiente anche per l´Arabia Saudita, la cui (non esclusa) presenza a Washington, accanto a Israele, sarebbe un avvenimento eccezionale. Senza precedenti. Uno schieramento di paesi arabi moderati (sunniti), con Israele, in novembre, attorno al presidente degli Stati Uniti, significherebbe la nascita di quella «santa alleanza» contro l´Iran (sciita), che si è profilata sull´orizzonte mediorientale negli ultimi mesi. E che adesso appare ancora più incerta.
Alberto Stabile nella sua cronaca annuncia un disastro umanitario che Israele appare in realtà comunque intenzionata ad evitare:
In risposta ai razzi Kassam piovuti su Israele, il governo Olmert ha dichiarato la Striscia di Gaza «entità nemica». È un primo passo verso la guerra, ma guerra non sarà, almeno per ora. Sarà, invece, per il milione e 400 mila palestinesi immobilizzati nella sabbia di Gaza, un lento precipitare verso condizioni di vita impossibili, se e quando la decisione presa ieri dal Consiglio di Difesa di tagliare elettricità, carburante e beni essenziali destinati alla popolazione della Striscia sarà tradotta in pratica. Una decisione che il movimento islamico, Hamas, ha accolto come «una dichiarazione di guerra». La mossa del governo era, come usa dire da queste parti, scritta sui muri. Dopo l´ennesimo bombardamento contro il territorio israeliano (qualche giorno fa era stato colpito un campo d´addestramento militare e i feriti erano stati decine) Olmert, un premier adesso in risalita nei sondaggi, è stato sottoposto a forti pressioni soprattutto dalla destra, perché rispondesse con decisione alla sfida lanciata dalle milizie palestinesi. Poiché le consuete rappresaglie e contromisure si sono rivelate impotenti a fermare i Kassam, missili artigianali raramente letali ma capaci di sconvolgere il quieto vivere di una cittadina come Sderot che ne ha subiti a centinaia, quello che la destra chiedeva con insistenza ad Olmert e al nuovo ministro della Difesa, Ehud Barak, era una grande operazione di terra in grado sradicare il fenomeno. In pratica la rioccupazione in tutto o in parte, ma più in tutto che in parte, di Gaza. Il che avrebbe comportato uno scontro ravvicinato con le milizie islamiche, Hamas, innanzitutto, ma anche la Jihad e i Comitati di Resistenza popolare, ed un inevitabile alto numero di perdite, da una parte e dall´altra. Inoltre, l´invasione di Gaza, avrebbe obbligato l´apparato militare, attualmente in stato d´allerta sul Fronte Nord, a causa della forte tensione con la Siria, a distrarre uomini e mezzi dal compito principale. Olmert, d´accordo con i ministri di forza riuniti nel Consiglio di Difesa, ha optato per una via di mezzo tra l´azione militare a tutto campo e lo status quo. Vale a dire, una serie di misure che il cui peso ricadrà soprattutto sulla popolazione di Gaza, nella speranza che questa si trasformi in una «leva civile» per usare le parole di un ministro, capace di scalzare Hamas dal potere conquistato con la forza. Al movimento islamico, il governo israeliano imputa la responsabilità di aver trasformato la Striscia di Gaza nella in una centrale di «attività ostili» verso lo Stato ebraico. La stretta decisa dal Governo verrà attuata in diverse fasi, non è stato detto a partire da quando e, comunque, ha precisato il ministro della Sicurezza Pubblica, Avi Dichter, «a condizione che non infliggano un danno umanitario». Su questo punto, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Kimun ha invitato Israele a riconsiderare la sua decisione avvertendo che qualsiasi riduzione dei «servizi vitali» viola la legge internazionale. È probabile che non tutte le decisioni siano state rese note. Ehud Barak, in effetti, ha lasciato intendere che a parte le cosiddette sanzioni potrebbe esserci dell´altro: «Ogni giorno che passa ci porta più vicini ad un´operazione a Gaza». Ma come si concilia tutto questo con la visita del Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, giunta ieri in Israele per sollecitare israeliani e palestinesi ad abbandonare le molte rispettive riserve affiorate negli ultimi giorni e marciare decisi verso la Conferenza di pace proposta da Bush e prevista per novembre a Washington? Si sa che Olmert è restio ad entrare subito in un negoziato sul futuro Stato palestinese, mentre Mahmud Abbas (Abu Mazen) vuole risultati visibili per dimostrare alla sua gente che il dialogo, e non la violenza di Hamas, paga. Dunque, il premier israeliano s´accontenterebbe di chiudere la conferenza con una dichiarazione congiunta, mentre il presidente palestinese preme per raggiungere almeno un accordo sui principi accompagnato da misure concrete per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi della Cisgiordania. Una decisione come quella presa ieri dal governo israeliano indebolisce e imbarazza Abu Mazen che, infatti, ha protestato contro quella che ha definito un´oppressiva misura di punizione collettiva, e di riflesso, crea qualche difficoltà alla Rice, la quale, appena messo piede in Israele, ha sì confermato il giudizio di Olmert sull´ostilità di Hamas, ma ha subito aggiunto che comunque gli stati Uniti non avrebbero abbandonato i palestinesi buoni al loro destino. Un colpetto di freno.
Anche Paola Caridi sul RIFORMISTA vede nella mossa israeliana un'ostacolo a un inesistente processo di "moderazione" di Hamas. Ecco il testo:
Gerusalemme. La decisione era nell’aria da giorni. Era addirittura stata preannunciata come una delle opzioni possibili dal ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni quando,prima del capodanno ebraico, un razzo Qassam era caduto su di un campo di addestramento reclute, ad appena un chilometro di distanza dal confine di Gaza. C’erano stati 69 soldati coinvolti, una ventina con ferite più o meno gravi,causate dal fatto che il razzo era caduto in piena notte sulla tenda adibita a mensa, accanto alle tende-dormitorio. Allora, Tzipi Livni aveva detto che la risposta di Israele verso Hamas e Gaza sarebbe stata presa dopo Rosh Hashana,forse domenica. E che tra le alternative in gioco c’era, appunto, anche il taglio dei rifornimenti di luce e gas verso la Striscia. Nessuno, però, immaginava che alla chiusura dei rubinetti (parziale, per il momento) di elettricità e carburante Israele abbinasse un passo politico così definitivo. Gaza, governata da Hamas, è da ieri una «entità ostile» per Tel Aviv.Una decisione presa all’unanimità dal gabinetto di sicurezza israeliano, poche ore prima dell’arrivo a Gerusalemme di Condoleezza Rice, sulla cui visita già pesavano gli ostacoli sempre più alti per un risultato sostanzioso alla conferenza di pace di Washington. Il segretario di stato americano si è trovato, così, a commentare una decisione di alto significato politico, senza averne prima discusso né con gli israeliani né, soprattutto, con la parte palestinese con la quale si sta trattando un’intesa di pace. Il risultato è stato che la Rice, nella conferenza stampa con la sua omologa Livni, ha sostenuto il governo di Tel Aviv, dichiarando che anche per gli Stati Uniti Gaza è una «entità ostile».A un primo sguardo, questo significa che la pace con i palestinesi sarà confinata alla sola Cisgiordania, decretando una separazione - quella tra Ramallah e Gaza City - che invece alcuni attori arabi stavano cercando di ricomporre soprattutto nelle ultime due settimane. Mediazione esemplificata, tra l’altro, dalla rapida visita di Mahmoud Abbas a Riyadh, lo scorso 11 settembre, per parlare con re Abdullah e affermare che gli accordi della Mecca (quelli che spianarono la strada alla breve avventura del governo di unità nazionale tra Hamas e Fatah) non sono morti e sepolti. E ai buoni uffici di qualche non ben precisato stato arabo c’era stato, a Gaza, il passo compiuto da Ismail Haniyeh verso la Jihad Islamica, a cui era stato chiesto di interrompere il lancio di Qassam verso Sderot e le cittadine israeliane del Negev. Ora che Gaza è una «entità ostile» per Israele, i margini per soluzioni alternative si restringono al lumicino. Mentre anche la conferenza di pace di Washington rischia di abortire, visto che Abbas è stato costretto a stigmatizzare la decisione israeliana come una «punizione collettiva » che renderà ancora più duro l’embargo contro il milione e mezzo di palestinesi che vivono rinchiusi nella Striscia. Un’accusa che fa seguito, tra l’altro, alle rimostranze sulla dura operazione che l’esercito israeliano sta compiendo nell’area di Nablus, dove negli scorsi due giorni gli scontri tra unità speciali e militanti palestinesi hanno già causato tre morti su entrambi i fronti. Neanche la data della conferenza è, a questo punto, un appiglio sicuro per israeliani e palestinesi. L’ufficio di Abbas ne ha chiesto addirittura un rinvio, segno che la nebbia sulla riunione di Washington, lungi dal diradarsi, si sta infittendo. Ancor di più, dopo la decisione su Gaza, arrivata dopo che si erano parzialmente dissolte le nubi che si erano addensate su Israele e su tutto il Medio Oriente in seguito al misterioso raid dell’aviazione di Tel Aviv sulla Siria. Per decretare che sul fronte nord la situazione era migliorata, martedì era sceso addirittura in campo il presidente Shimon Peres, duro con l’Iran, ma molto meno con Damasco nella sua conferenza stampa con i giornalisti stranieri. Nel frattempo, il ministro della Difesa Ehud Barak aveva riunito, sempre martedì, i più alti vertici militari per aprire l’altro dossier, quello - appunto - di Gaza. Risultato: per gli uomini della difesa è meglio rispondere, ora, con mezzi diversi da un’operazione di terra in grande stile dentro la Striscia. Meglio, per adesso, chiudere - almeno parzialmente - i rubinetti dei servizi che passano da Israele verso Gaza. Almeno elettricità e carburante, mentre - per il momento - l’erogazione dell’acqua potabile non sarà interrotta. Una reazione, la cui paternità evidentemente è di Barak e dei vertici militari, che il gabinetto di sicurezza del governo israeliano ha approvato e sostenuto ieri all’unanimità. Tutti d’accordo, insomma, sull’idea che l’esercito israeliano non voglia, per il momento, rientrare in massa dentro Gaza, ma continuare con le incursioni quasi quotidiane nel nord e nell’estremo sud della Striscia. La risposta, dice la decisione israeliana, è più politica che militare, se sono vere le indiscrezioni secondo le quali Barak avrebbe detto nel gabinetto di sicurezza di ieri che l’obiettivo è «indebolire Hamas».Tagliare il consenso popolare, dunque, attorno al governo di Ismail Haniyeh che controlla Gaza, tagliando luce e gas secondo percentuali che non intacchino gli approvvigionamenti umanitari. Che cosa questo voglia dire, nei dettagli,non è ancora dato di sapere. Non si sa se e quando verrà messa in atto, quanta elettricità e quanto carburante arriveranno, visto che - dicono le autorità israeliane - si invierà il necessario per far funzionare i generatori degli ospedali. L’unico elemento che viene ripetuto, è che gli esperti legali faranno attenere Israele alle convenzioni internazionali che regolano le questioni umanitarie. E Hamas? «Si tratta di una dichiarazione di guerra», tuonavano ieri i vertici del movimento islamico. «Vogliono umiliarci e affamarci - aggiungeva il portavoce Fawzi Barhum, ai microfoni di Al Jazeera - La decisione israeliana porterà a una catastrofe umanitaria».
Umberto De Giovannangeli sull'UNITA' scrive che la decisione israeliana non colpirà il "movimento armato" Hamas, ma la "popolazione civile"palestinese. In realtà, le misure annunciate da Israele non priveranno i palestinesi di Gaza di beni essenziali. Lo scopo delle sanzioni è politico: dimostrare che la linea di contrapposizione frontale e oltranzista a Israele scelta da Hamas è senza futuro.
Il MANIFESTO teorizza che Israele ha dichiarato "entità nemica" un territorio che di fatto continua a occupare. La prova della continuazione dell'occupazione anche dopo il ritiro e lo sgombero delle colonie sta proprio nelle forniture elettriche e idriche che Israele ha fin qui garantito ( e continuerà a garantire per i bisogni essenziali) e nel controllo dei confini. E' chiaro che la "sovranità palestinese", auspicata dal quotidiano comunista non consiste in altro che nella possibilità di continuare la "resistenza armata" contro Israele, che non ha alcun diritto all'autodifesa, in nessuna forma. Non manca infatti un'intervista a un sostenitore della distruzione di Israele, obiettivo celato nella formula "Stato binazionale". in questo caso si tratta dell'israeliano Jeff Halper. In prima pagina l'editoriale di Ali Rashid teorizza l'esistenza di progetti di guerra americani e israeliani, dimenticando che è Hamas ad avere scelto la guerra terroristica a oltranza contro Israele.
Secondo Eric Salerno, sul MESSAGGERO, Olmert "evita di dare l'impressione di voler far troppo soffrire la popolazione civile". In realtà, Olmert non vuole far mancare alla popolazione civile palestinese beni essenziali.
Roberto Bongiorni sul SOLE 24 ORE scrive di "conseguenze catastrofiche" delle sanzioni per la popolazione palestinese.
Completo disinteresse verso le vittime e le sofferenze israeliane e false e infamanti accuse rivolte a Israele (paragonato, più o meno esplicitamente, a chi ieri ha ucciso l'ennesimo deputato antisiriano) nell'editoriale di Vittorio Dell'Uva pubblicato da Il MATTINO:
È il Medio Oriente del sangue che destabilizza e delle sanzioni che da atto politico si trasformano in punizione collettiva. La morte violenta di un deputato antisiriano a pochi giorni delle elezioni presidenziali in Libano rilancia sospetti su Damasco, offuscandone ruolo e immagine. Una mossa di Israele che ha definito, a freddo, la Striscia di Gaza «entità ostile», apre scenari da attacco preventivo anche se può fare più danni ad Hamas dei raid o delle esecuzioni mirate. SEGUE A PAGINA 3
Le bombe che uccidono indiscriminatamente miliziani e civili generano controversi effetti collaterali, ma sostanzialmente cementano nazionalismo e volontà di resistenza. L’aggravarsi delle difficoltà della vita quotidiana, derivanti dal drastico taglio delle forniture elettriche e petrolifere e da altre forme di embargo che si annunciano, è destinato a promuovere forme di forte dissenso se non di ribellione della popolazione civile nei confronti della propria classe dirigente. Senza sparare, almeno al momento, un solo proiettile Israele piazza un nuovo cuneo nel cuore della già disgraziatissima Gaza provando a promuovere una nuova frammentazione e quindi una ulteriore implosione in ambito palestinese. Altre sbarre alla porta del grande campus della disperazione, quale è appunto la Striscia, più che desideri di vendetta sono destinate a stimolare la voglia di evasione. Hamas, di cui viene volutamente riconosciuta soltanto la componente estremista con tendenze al terrorismo, deve essere sottoposto ad un processo interno di erosione preambolo ad una più vasta operazione di rigetto. Si ripete, in forma riveduta e corretta, un vecchio copione. La nascita del movimento islamico, come ricorda Antonio Ferrari nel libro «Islam si, Islam no», citando in esclusiva una «confessione» di Rabin a Mubarak, fu favorita da Israele per abbattere il monopolio di Al Fatah. Oggi a quell’errore di un tempo, che ha generato due Palestine, si prova a porre riparo restituendo smalto, potere e risorse, ad Abu Mazen erede del movimento palestinese con cui si era persino sfiorata la pace. Ma quali che siano le strategie di medio e lungo periodo ancora una volta viene colpita una parte non irrilevante di un popolo. Almeno un milione e mezzo di persone dovrà accontentarsi, tra i contagocce degli aiuti umanitari, della benzina appena sufficiente al funzionamento dei generatori degli ospedali. La decisione di Israele, che formalmente rappresenta la risposta al lancio periodico di razzi Qassam da Gaza, coincide con il lavorio preliminare della conferenza di pace alla quale lavora Condoleezza Rice da ieri in missione nella regione. Molti leader arabi, e non solo, vorrebbero che a quell’appuntamento si arrivasse coinvolgendo quante più componenti possibili del mondo palestinese e rappresentati di Paesi che con Israele non sono in sintonia. Il caso e le scelte di natura politico-militare vogliono che si determini una scrematura di fatto. La definizione di Gaza, come «entità ostile», frantuma ogni residua possibilità di negoziato per la parte moderata di Hamas associata alla componente estremista vista a Gerusalemme e negli Stati Uniti come battistrata della penetrazione iraniana. I drammatici eventi che nelle stesse ore hanno insanguinato Beirut, con l’ennesimo assassinio di un deputato antisiriano riaprono il processo alle presunte sanguinose interferenze sul Libano del regime di Damasco. Bashar Assad, da sospetto destabilizzatore in proprio e conto terzi della regione, ha sempre meno titolo soprattutto agli occhi di Washington, per sedere con qualche pretesa, al futuro ed ipotetico tavolo della pace.
Nell'articolo pubblicato dal quotidiano 24 MINUTI le parole "razzi Qassam", o la parola "terrorismo" non vengono mai usate , non si capiscono le ragioni d'Israele.