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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Michael B. Oren Power, Faith and Fantasy: America in the Middle East 1776 to the Present 19/09/2007

Power, Faith and Fantasy: America in the Middle East 1776 to the Present Michael B. Oren
Edizioni Norton, Londra, pagg. 608

Potere, fede e fantasia - e lo scontro con una realtà stridente - sono le costanti che da più di due secoli scandiscono «il coinvolgimento sostanziale e profondo, forse addirittura esistenziale, degli Stati Uniti con il Medio Oriente», spiega lo storico americano Michael B. Oren nel suo Power, Faith and Fantasy: America in the Middle East 1776 to the Present (Edizioni Norton, Londra, pagg. 608), il primo studio onnicomprensivo che sulla scorta di una vasta ricerca documenta due secoli e mezzo di relazioni culturali e sociali, oltre che politiche e militari.
Storico di successo, già autore nel 2002 del best seller La guerra dei sei giorni e attualmente senior fellow presso lo Shalem Centre di Gerusalemme, Oren sottolinea nell’introduzione la necessità di una conoscenza collettiva più sfumata della presenza americana in una regione allettante e ostile, la cui influenza non ha mai cessato di affascinare, sedurre e frustrare i cittadini del nuovo mondo. Allievo di Bernard Lewis all’Università di Princeton, Michael Oren, un attivo sionista con una profonda conoscenza dell’ebraico e dell’arabo, si era stabilito nel 1979 in Israele dove, dopo un periodo nei servizi per la difesa, è stato consigliere di Yitzhak Rabin per gli affari interreligiosi.
Il libro propone una valutazione più sensibile del retaggio comune dei due mondi e una riflessione sulla tendenza al disprezzo culturale dell’Islam. Attingendo da documenti inediti degli archivi di Washington, dalle memorie di mercanti, missionari, viaggiatori, scrittori e da corrispondenze private, l’autore suddivide la disamina nei tre filoni critici del titolo: potere, fede, fantasia. Si parla molto del potere - i primi conflitti nel Medio Oriente influenzarono la definizione della Costituzione americana - ma si perdono di vista le forme più sottili del potere intellettuale e culturale in gioco nel destino della regione. La fede a esempio, che Oren descrive come «l’energia insopprimibile che plasmò e alimentò il coinvolgimento dell’America in Medio Oriente», ha giocato un ruolo altrettanto storico, attraverso lo zelo dei missionari in maggioranza protestanti impazienti di convertire alla cristianità turchi, egiziani e marocchini, e di salvare le anime dei drusi e dei maroniti, così come di introdurre nuovi concetti su igiene, salute, diritti umani, eguaglianza sociale. «Ma la fede negli Stati Uniti - scrive l’autore - aveva anche una dimensione laica e civica, che sollecitava gli americani ad esportare i loro concetti di patriottismo e democrazia. Le prime università moderne fondate in Turchia e nel mondo arabo, instillando negli studenti un nuovo orgoglio e un senso di identità nazionale risvegliarono potenti forze che cambiarono irrevocabilmente la politica del Medio Oriente».
Non meno cruciale secondo Oren fu l’effetto trascendente della «fantasia», quel fascino che la regione esercitava su viaggiatori, scrittori, filantropi e uomini politici. Da Herman Melville, Mark Twain, Lowell Thomas a Indiana Jones, la seduzione culturale non si conta sulla narrativa, il teatro e il cinema. Se ai primi dell’800 diversi viaggiatori che guidavano le spedizioni lungo il Nilo si convertirono all’Islam, altri continuarono a recarsi nella regione fiduciosi di civilizzare e convertire le popolazioni musulmane. Malattie e banditismo rendevano la Palestina infida, ma il paradosso persisteva, masse di turisti americani continuavano a subirne il fascino nonostante Melville scrivesse: «Nessun paese dissiperà più in fretta le aspettative romantiche». Se Abraham Lincoln sussurrava alla moglie: «Come vorrei visitare Gerusalemme!», Mark Twain, che ai resoconti dei suoi viaggi in Medio Oriente deve i primi successi di scrittore, tuonava contro le tre «grazie» dell’Islam: «tirannia, rapacità e sangue». Non diversamente Edith Wharton, la quale visitando la regione osservava: «Nulla resiste nell’Islam, tranne ciò che l’inerzia dell’uomo ha lasciato in piedi».
A rincarare la dose dei disinganni e delle illusioni erano le traduzioni tendenziose del Corano fino all’Alcoran di Alexander Ross nel 1649 che insisteva sul «satanismo» del profeta. Il primo viaggiatore del nuovo mondo a penetrare i misteri del Medio Oriente fu John Ledyard, amico di Thomas Jefferson, che nel 1788 esplorò l’Egitto, riportando acute osservazioni - «popoli e costumi visti per la prima volta attraverso gli occhi americani, incisivi, orgogliosi e discriminatori» - che cominciarono a corrodere le nozioni romantiche e a instillare nel futuro presidente un approccio senza illusioni, concentrato sulla potenza.
Aridea Fezzi Price

dal Giornale del 19 settembre 2007


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