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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.09.2007 Risoluzione 242: chiede il ritiro "da", non "dai territori occupati"
fa fede il testo inglese, anche se Sergio Romano lo dimentica

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 settembre 2007
Pagina: 27
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Quando politici e diplomatici parlano per non dire»

La risoluzione 242 dell'Onu fu scritta in inglese.  e successivamente tradotta in francese. Chiede, nell'ambito di una pace complessiva,  il ritito israeliano "from territories occupied in the recent conflict", vale a dire da territori.
Successivamente, fu tradotta in francese. In quest'altra versione chiede il ritiro "des territoires occupés lors du récent conflict", vale a dire dai  territori occupati. Fa fede, però, la versione originale, non la traduzione.

Sergio Romano, in una risposta data a due lettori  il 17 settembre 2007, lo dimentica (vale la pena di sottolineare che Romano poteva benissimo rispondere al quesito dei suoi lettori senza fare il minimo cenno a Israele)

Ecco il testo:
   


Spesso leggendo libri di storia recente, ho notato che alcuni articoli di trattati internazionali si prestano a divergenti se non opposte interpretazioni per via del diverso significato delle lingue dei contraenti.
So che in passato la lingua diplomatica era il francese e ora l'inglese, ma lo spessore dei dizionari di tali lingue è diverso da quello dell'italiano. Mi diceva tra l'altro un vecchio amico che la nostra lingua era «tremenda» per la precisione dei vocaboli e che ciò induce una certa diffidenza nei nostri riguardi nei consessi internazionali.
Alfredo Aschettino
alfredoaschettino@virgilio.it
Gradirei una sua risposta a una mia curiosità: esiste un documento o una qualsiasi fonte da cui rilevare le cento più frequenti parole che ricorrono nei discorsi dei nostri politici? Glielo chiedo perché ormai come tanti altri cittadini sono stanco di ascoltare sempre gli stessi proclami.
Enzo Nardozza
vinardoz@yahoo.it Cari Aschettino e Nardozza, le vostre lettere pongono quesiti diversi, ma pur sempre linguistici, e si prestano a una risposta comune. Non credo che esistano lingue più «precise» di altre. E temo che in diplomazia, come in politica, il linguaggio sia spesso deliberatamente impreciso. Talleyrand, se non ricordo male, diceva che la lingua era stata data agli uomini affinché potessero meglio nascondere il loro pensiero. E George Orwell, autore di uno dei migliori romanzi politici del Novecento («1984»), scrisse un giorno: «Il linguaggio politico è costruito in modo da conferire alle bugie l'apparenza della verità e da far sembrare solido ciò che è soltanto aria». Non è sorprendente quindi che i trattati internazionali si prestino spesso a differenti interpretazioni. Il trattato di Uccialli, che l'Italia firmò con lo Stato etiopico nel maggio 1889, conteneva un articolo in cui era scritto che il negus si sarebbe servito del governo italiano «per tutte le trattative d'affari con altri governi». Ma la versione amarica dello stesso articolo dichiarava che il negus «può trattare tutti gli affari che desidera con i regni d'Europa mediante l'aiuto del regno d'Italia». Secondo la nostra versione, l'Etiopia sarebbe divenuta, dal momento della firma, un protettorato italiano. Secondo la versione amarica, il negus sarebbe stato libero di usare o ignorare l'assistenza di Roma. Ne nacque una disputa linguistica che finì con la malaugurata guerra del 1895 e la sconfitta delle forze italiane a Adua nel maggio 1896. Esiste un altro caso, più recente, in cui lo stesso documento si prestava a interpretazioni diverse. Dopo la guerra arabo- israeliana del 1967, le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 242 in cui vennero indicate le condizioni per lo stabilimento di una pace duratura in Medio Oriente. Una di queste condizioni era il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati. Ma fra il testo inglese e quello francese della risoluzione vi era una piccola differenza. Secondo il testo francese, Israele avrebbe dovuto ritirarsi «des territoires occupés lors du récent conflict»; secondo il testo inglese «from territories occupied in the recent conflict ». Fra l'obbligo di ritirarsi «dai» territori occupati e «da» territori occupati esiste ovviamente una differenza sostanziale che il governo israeliano ha frequentemente sfruttato nelle trattative politiche degli anni successivi.
Non so, caro Nardozza, se esista un «lessico di frequenza » del linguaggio della classe politica italiana. Se esiste e qualche lettore vorrà segnalarlo, gliene saremo grati. Se non esiste, uno studioso potrebbe forse cogliere l'occasione e riempire questo vuoto. Per invogliarlo, ecco qualche suggerimento: valori, princìpi, solidarietà, eccellenza, sicurezza, strategia, centralità, fiducia, trasparenza, identità, comunità, radici, sviluppo sostenibile, crescita, educazione permanente, diritti di cittadinanza, diritto alla salute, professionalità, patrimonio, risorse umane, capitale umano, risanamento, rilancio, dialogo, opportunità, trasparenza, legalità, stabilità, equità, difesa dell'ambiente. Se qualche censore della lingua mettesse al bando l'uso di queste parole, gli uomini politici non saprebbero più che cosa dire. E mentirebbero meno.

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