Mosca aiuta Damasco Teheran porta il modello Hezbollah a Gaza
Testata: Il Foglio Data: 19 settembre 2007 Pagina: 4 Autore: la redazione Titolo: «Siria russa»
Dal FOGLIO del 19 settembre 2007:
Stephen Hadley, consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente George W. Bush, non è certo una colomba. Ad esempio è molto critico di tutto quel cincischiare del governo italiano sull’Iran e sulla Siria, paesi che Roma non vuole assolutamente sulla lista nera per ragioni ideologiche e di affari. Quel che pensa l’Amministrazione americana su Iran e Siria è stato ampiamente illustrato al governo italiano dallo stesso Hadley (via ambasciatore Giovanni Castellaneta) da “Condy” Rice (via Massimo D’Alema) dallo stesso presidente Bush (a Romano Prodi). Ma in tutte le sedi internazionali l’Italia non molla. Oramai siamo fra i pochissimi sulla scena occidentale ad appoggiare l’accoppiata Siria-Iran. “L’Italia ha la stessa tolleranza e comprensione della Russia”, si dice al consiglio per la Sicurezza nazionale. Anche l’ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, è al corrente e si deve occupare parecchio di questo scottante dossier. Gli americani, comunque, non si crucciano più di tanto della posizione italiana. Di recente hanno avuto la comprensione dei francesi che considerano possibile, ad esempio, un intervento militare contro gli impianti nucleari iraniani (2000 gli obiettivi) e contro la base di Fajr, gestita dai pasdaran, i guardiani della Rivoluzione, e nella quale riproducono le bombe anticarro e antiuomo che i terroristi usano in Iraq. A Washington più che alle titubanze di Roma si guarda al preoccupante attivismo di Mosca in medio oriente. Secondo il consiglio per la Sicurezza nazionale la Russia in quello scacchiere è tornare alla vecchia politica sovietica. E quindi è tornata a puntare sull’Iran (la base atomica di Busher, ad esempio, è stata costruita dai russi) e soprattutto sulla Siria, oggi il principale alleato dei russi nell’area. Il dossier Siria-Russia che circola a Washington è preoccupante. Tutto è ricominciato, dopo anni di rapporti normali, nel gennaio del 2005, quando Russia e Siria hanno firmato un accordo sulla vendita di armi e sulla cooperazione militare. Accordo firmato a Mosca dal presidente russo, Vladimir Putin, e da quello siriano, Shar el Assad. Da allora sono stati forniti a Damasco postazioni mobili antimissili e antiaeree modello Patriot passati da Washington a Israele (se ne sono accorti i piloti israeliani durante l’incursione di inizio settembre contro il centro di ricerca nucleare sull’Eufrate, nel nord della Siria). La Russia sta rifacendo il sistema di difesa elettronica di Damasco. Ha fornito l’aviazione siriana dei nuovi Mig.31E. E sta ricostruendo la base navale di Tartus, diventata ormai il punto di riferimento russo nel Mediterraneo. Lì è stato installato un sofisticato sistema antimissili e antiaerei S-300 PMU-2-Favorit, manovrato da tecnici russi. Tale impianto fornirà, una volta perfezionato, una copertura aerea a ben due terzi del territorio siriano. I russi hanno prestato assistenza ai siriani nella sperimentazione di missili ScudB con un raggio di 300 chilometri e uno ScudD con raggio di 700. Nelle basi siriane, al ministero della Difesa di Damasco, nella sede del servizi di intelligence si vedono circolare, come un tempo, esperti militari russi. A tutto ciò si deve aggiungere un’intensa attività diplomatica: un via via di nomine di Mosca (ottimi i rapporti del ministro degli esteri russo, Seghei Lavrov) e di Damasco (l’uomo dei russi è il vicepresidente siriano, Abdel Halim Khaddam). Tale intensa collaborazione fra Putin e Assad fa salire la febbre a Washington, visto che la Siria è la principale base di appoggio, con l’Iran, del terrorismo antiamericano in Iraq e della continua destabilizzazione del paese. Da qui il via libera americano a Israele. Per il governo di Gerusalemme il riarmo siriano è ora la principale fonte di preoccupazione insieme con l’Iran e le sue dirette attività contro lo stato ebraico. Oltre che nella Beirut di Hezbollah, l’Iran ha stabilito ormai una solida piccola base nell’area di Gaza, dove opera incontrastato il gruppo terroristico palestinese di Hamas. Subito dopo la presa di Gaza da parte di Hamas, nel mese scorso un esponente dei servizi segreti iraniani si è incontrato a Damasco con esponenti di Hamas, Khaled Meshaal e Muhammad Nazal. Nell’incontro è stato stabilito che un nucleo di guardie rivoluzionarie (pasdaran della forza al Quds, una specie di legione militare internazionale dell’Iran che già opera in Libano e in Iraq) sarebbe stata impiegata a Gaza. L’obiettivo di tale insediamento (che è già avvenuto) è quello di potenziare l’efficienza militare di Hamas. A tale scopo l’Iran ha portato i finanziamenti a 300 milioni di dollari l’anno. I pasdaran sono entrati a Gaza via Egitto attraverso il valico di Rafah. I contatti degli iraniani a Gaza sono l’ex premier, Ismail Haniyeh, e Ahmad Jaban, comandante militare di Hamas nella Striscia. L’obiettivo a medio termine dell’Iran a Gaza è quello di rifare in loco l’esperienza degli hezbollah libanesi.
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