Dal GIORNALE del 14 settembre 2007 cliccare sul link sottostante:
«Un grande buco nel deserto». così viene descritto in Israele il risultato visibile dell’invisibile operazione di cinque jet F15, i bombardieri israeliani a lungo raggio che giovedì della scorsa settimana alle 13 hanno lasciato cadere i serbatoi vuoti sul territorio turco per volare poi, sembra, a bombardare un sito nel nord della Siria che, secondo le rivelazioni del Washington Post di ieri, sia stato costruito dalla Corea del Nord. Un’operazione segreta ma con un timing e un significato strategico molto definito, la prima operazione di deterrenza verso la strategia distruttiva costruita dall’Iran di Ahmadinejad per sfidare e schiacciare l’ordine mondiale, e per distruggere Israele. Israele sembra aver voluto segnalare simbolicamente l’inizio di un’era nuova: ieri infatti è entrata nell’anno 5768. Le radio e le tv fino a stasera (il Capodanno dura due giorni) trasmettono poche notizie; il traffico è scarso, la gente passeggia, mangia, ride, prega, si sentono per strada le chiacchiere delle famiglie e degli amici, volano nell’aria le canzoni trasmesse dalla radio invece del continuo tipico chiacchiericcio politico. Dalle sinagoghe esce il suono dello shofar, il corno di montone che si suona ritualmente per Rosh ha-Shana: è la voce che viene dai millenni, quando già l’ebraismo indicava a pastori e profeti la nuova strada del monoteismo.
Ma scendendo a Gerusalemme fra le case di pietra, i pini e le bouganvillee, le famiglie e i ragazzi in gita, il misterioso buco nel deserto è il centro delle domande, il segno dell’anno che verrà. Che è successo? Che deve ancora succedere dopo la guerra in Libano, l’ascesa di Hamas, la messa in discussione dell’intera classe dirigente? Israele in realtà capisce già quello che probabilmente verrà alla luce presto: una grossa operazione ha cercato di ristabilire una situazione di deterrenza, ha sfidato le nuove alleanze iraniane, ha avvertito la Siria che quel bel sistema russo Pantsyr S1E nuovo di zecca, comprato con l’aiuto iraniano, non può fermare Israele anche se lancia 12 missili al minuto a 10 chilometri di altezza sparando a 2 obiettivi diversi. Israele l’ha ingannato. «Non l’hai visto in Tv Gaby Ashkenazi, il capo di stato maggiore, con quel sorriso da gatto quando ha fatto gli auguri di buon anno ai soldati?» dice la gente a Capodanno. Indovinando, se l’azione ha avuto luogo adesso, è segno che non poteva più essere rimandata. Che qualcosa doveva essere subito fermato, e che l’occasione era buona solo adesso. Si dice che sia cominciato l’arruolamento del cav shmone, le riserve di emergenza. Ma non è chiaro e la gente ne parla con lievità mentre benedice la mela inzuppata nel miele, sperando in un anno fortunato.
Gli Usa suggeriscono da tempo (John Bolton, ex ambasciatore all’Onu fu il primo) che la Corea del Nord collabora con la Siria a un programma nucleare. Nel marzo 2003 a Pechino un ufficiale nordcoreano minacciò di «trasferire materiale nucleare ad altri Paesi» e ora si capisce dove. L’opposizione siriana è a conoscenza di un impianto in costruzione a Deir al Hajjar da anni; nessuno, però, l’aveva preso sul serio nel mondo per l’impossibilità della Siria di finanziare un’impresa così importante. Ma da quando nel gennaio 2005 Ahmadinejad visitò la Siria e cominciò la nuova stretta collaborazione militare le cose sono cambiate. La Siria è capace oggi di piani ambiziosi, e di accordi come quello per l’acquisto dei sistemi russi, finanziato dall’Iran. Sono i nuovi tempi, quelli della guerra islamista che Israele vede affacciarsi spaventevoli alle sue finestre insieme al 5768, e noi guardiamo da lontano con l’espressione di chi non si è ancora svegliato bene. Dobbiamo invece pensare che Israele si sia svegliato? Certo è, per ora, che la Siria ha reagito molto debolmente, che nessun Paese arabo ha solidarizzato davvero, che l’Onu per ora non si è mosso, che i siriani, che sembra possiedano schegge di metallo che dimostrano l’uso di armi israeliane sul suo territorio, temporeggiano, che l’unica reazione scandalizzata è quella nordcoreana, guarda un po’. Israele non parla («è un tipo di notizia che non commentiamo» dice il portavoce dell’esercito; e la ministra degli Esteri Tzipi Livni ha detto al ministro degli Esteri francese Khouchner di non considerarla materia di commento): e di ora in ora si capisce che probabilmente con il supporto di soldati di terra, forse addirittura penetrati in Siria, qualcosa di grosso, di operativo o di quasi operativo, qualcosa di molto pericoloso per Israele sembra essere stato distrutto. È un’operazione che può dare risultati importanti: Bashar Assad è un nemico estremista di Israele, tanto da ospitare in Siria Hamas, col suo capo Khaled Mashaal, e la jihad islamica; è il maggiore sostegno logistico degli hezbollah che ha rifornito di missili iraniani anche dopo la guerra. Bashar Assad, con grande pericolo per tutto il Medio Oriente, ripone la strategia di sopravvivenza della sua dinastia nel rapporto con l’Iran di Ahmadinejad che, tramite il controllo degli hezbollah, gli consente di minacciare Israele e insieme di mantenere la presa sul Libano, strangolato anche dall’integralismo iraniano degli hezbollah. Israele è penetrato a fondo dentro la Siria, è riuscito a confondere i sistemi russi, ha toccato la Siria in un interesse profondo e così segreto da non potere essere rivendicato, ha scelto la strada della deterrenza anche se era impegnato sul fronte meridionale con Hamas e aveva avuto il disastro di Zikim, 69 soldati feriti. E soprattutto forse ha distrutto una facility nucleare costruita nell’ambito di una strategia nuova e spaventosa, che il mondo non sa da che parte pigliare. Un’ispirazione contro la violenza dilagante.
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