Arafat fu invitato a parlare alle Camere. Peres no. un' occasione perduta
Testata: Libero Data: 13 settembre 2007 Pagina: 14 Autore: GIANALFONSO D'AVOSSA Titolo: «Peres doveva parlare alle Camere Come si fece con Arafat»
Da LIBERO del 13 settembre 2007:
Parlare d'Israele è quasi sempre rischioso. I fraintendimenti sono facili e l'allergia di quel Paese - nato appena sessant'anni fa - a ogni tipo di critica, rende le analisi più difficoltose. Mi riferisco alla recente visita del presidente Shimon Peres in Italia. Certo è stato ricevuto con tutti gli onori al Quirinale, a Palazzo Chigi, al Tempio, nel Palazzo Apostolico, sul Campidoglio, infine fra industriali e alta finanza sul lago di Como. A parte i percorsi ufficiali e qualche rilievo sulla stampa e nei media, essa però si è svolta nell'indifferenza popolare. Eppure poteva essere l'occasione per qualche necessario chiarimento dei rapporti con il popolo palestinese, sulle cui spalle si è scaricata troppo facilmente la responsabilità morale e politica dell'Europa. Poteva servire a comunicare al popolo israeliano il grado reale di coinvolgimento della pubblica opinione italiana, che non sempre conosce bene la realtà di quella Nazione, impegnata come è dalla sua nascita in una drammatica lotta di sopravvivenza. Poteva essere ancora il motivo di una convocazione anticipata del Parlamento in vacanza, per offrire al nuovo capo dello Stato israeliano, figura storica sulla scena mondiale, nobilitata da un meritatissimo premio Nobel per la pace, quanto fu offerto in passato ad Arafat. Parlare cioè alla Camera dei Deputati del dramma del suo Paese e delle dolorose contraddizioni che continuano ad avvelenare il Medio Oriente. Gli stessi comandanti italiani in Libano, di riconosciuta e apprezzata capacità, il generale degli Alpini Graziano e quello dei Paracadutisti Fioravanti, alla testa di quel contingente di ben 30 Nazioni Unite, potevano essere convocati a Roma, rafforzando così la nostra credibilità, a testimoniare l'operato generoso, efficace e imparziale dei nostri soldati. C'era però il pericolo - ecco il punto debole della posizione del nostro governo di apparire troppo filo-americani. Sì, quindi, a ogni tipo di riconoscimento e a un attivismo diplomatico a tutto campo. No, invece, a un'analisi certamente di parte come anche lo storico capo dell'OLP aveva a suo tempo svolto, ma coraggiosa, tutta politica, aperta, propositiva, chiarificatri - ce delle incognite e responsabilità sul tappeto e che nessun altro come Peres era in condizioni obiettivamente di fare. Figuriamoci se da una presidenza Bertinotti della Camera, ci si poteva aspettare tanta effettiva imparzialità! L'occasione poteva essere utile anche per due gesti concreti - siamo a Roma, non a Beirut visto che proprio Peres ci ha tenuto ad affermare, nell'incontro con Napolitano, che quella attuale e' «la stagione migliore nelle relazioni tra Italia e Israele» e vorrebbe «estenderla a tutto il mondo». Si continua ad accettare come normale che la scuola ebraica, al Lungotevere, prima di ponte Garibaldi, abbia tuttora le sbarre alle finestre. Possiamo bene immaginare lo stato d'animo dei giovani studenti che la frequentano e continuano a crescere sentendosi qui in Italia, non in Israele o Palestina, permanentemente e fisicamente minacciati. Si dà per scontato, inoltre, che sia e debba restare sbarrata al traffico via Michele Mercati ai Parioli, solo perché vi si affaccia l'ambasciata d'Israele in Italia. Con Peres a Roma si potevano riaprire le finestre dei nostri giovani scolari di religione ebraica al sole della capitale, liberalizzando anche quel traffico da troppo tempo interdetto. Lo capisco, questo era un sogno di mezz'estate: irrealizzabile!
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