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La Stampa Rassegna Stampa
13.09.2007 Due posizioni di Tariq Ramadan "infastidiscono" Farian Sabahi
tutto il resto va bene ?

Testata: La Stampa
Data: 13 settembre 2007
Pagina: 38
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Incastrare Potrei se solo mi parlasse»

Farian Sabahi spiega sulla STAMPA del 13 settembre 2007 quali, tra le posizioni del fondamentalista islamico Tariq Ramadan, la "infastidiscono".
"La prima è che i ragazzini musulmani dovrebbero seguire un’ora di religione a parte (sull’Islam), non frequentare l’ora di educazione fisica (perché maschi e femmine sono insieme in pantaloncini o peggio ancora in costume da bagno) e nemmeno quella di biologia («perché Darwin non è nel Corano»). "
La seconda è l'affermazione che "il velo è obbligatorio".
Tutto il resto va bene? Per esempio la giustificazione del terrorismo suicida, i fianziamenti ad Hamas, le accuse antisemite agli intellettuali ebrei francesi che difendono Israele, vanno bene ?
Ecco il testo:

Come ha giustamente scritto Marino Sinibaldi nell’elzeviro di ieri, per sostenere un dibattito con Tariq Ramadan è necessario conoscere le sue opere e il suo mondo. Altrimenti si rischia di restare incastrati. In Francia sono stati pubblicati due volumi i cui autori confutano le tesi di Ramadan e confrontano i suoi scritti con le dichiarazioni rilasciate in varie occasioni, cogliendone appunto il doppio linguaggio. Alla Facoltà di Lettere di Ginevra, dove ho insegnato Storia dell’Iran, Ramadan ha sostenuto l’esame di dottorato nel 1998, con grandi difficoltà: la sua tesi era, secondo l’opinione del capo di dipartimento e degli altri colleghi, un’apologia del nonno Hassan al-Banna (fondatore dei Fratelli musulmani) e quindi priva dello spirito critico necessario. Alla fine ha superato l’esame, ma tra le molte perplessità del corpo docente.
Come musulmana sono almeno due le posizioni di Ramadan che mi infastidiscono. La prima è che i ragazzini musulmani dovrebbero seguire un’ora di religione a parte (sull’Islam), non frequentare l’ora di educazione fisica (perché maschi e femmine sono insieme in pantaloncini o peggio ancora in costume da bagno) e nemmeno quella di biologia («perché Darwin non è nel Corano»). Ma l’integrazione non può procedere su binari separati. Ed è quindi opportuno che gli studenti musulmani stiano sempre in aula. Anche durante l’ora di religione cattolica, così imparano qualcosa di più sulla fede del paese in cui i loro genitori hanno deciso di vivere.
La seconda posizione di Ramadan che suscita in me qualche dubbio rispetto alle sue buone intenzioni riguarda il velo: «Nessuna costrizione nella fede, ma il velo è obbligatorio». Io non ho nulla contro il velo, ma non penso sia obbligatorio per le musulmane in Europa. Lo sostiene anche una riconosciuta autorità religiosa come l’hojatoleslam iraniano Youssef Eshkevari (che per sostenere questa tesi ha scontato un periodo di carcere in Iran), secondo il quale le donne sono tutelate dal diritto, soprattutto in Europa. Ma Ramadan è sunnita e salafita, mentre Eshkevari essendo sciita fa largo uso dell’interpretazione (ijtihad), indispensabile per adeguare l’Islam alla modernità e al rispetto dei diritti della persona.
Ma si deve parlare o no con Tariq Ramadan? A me questa scelta è preclusa: è stato lui che non ha voluto parlare, quando gli ho chiesto un’intervista per La Stampa. Forse proprio perché - a differenza di Sinibaldi e di tanti altri - appartengo alla sua stessa cultura (europea e musulmana) e ho gli strumenti per ribattergli. Senza farmi incastrare.

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