Nuovi mezzi per un vecchio fine: distruggere Israele un'intervista a Mustafa Barghouti
Testata: Il Manifesto Data: 12 settembre 2007 Pagina: 3 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Barghouti: così sarà la nuova intifada»
Fallita la "resistenza armata", "protagonista" della sceonda intifada si passa alla lotta non violenta. I mezzi sono la delegittimazione di Israele, il boicottaggio, la richiesta irrealizzabile e pretestuosa del ritorno ai confini del 67 anche a Gerusalemme, la menzogna su Hamas, disponibile, apprendiamo, a riconoscere Israele. L'obiettivo è "lo Stato unico", cioè la distruzione di Israele, come al solito.
E' quanto emerge dalla solidale intervista di Michelangelo Cocco a Mustafa Barghouti, pubblicato dal MANIFESTO del 12 settembre 2007. Ecco il testo:
Mustafa Barghouti è il leader palestinese che più di ogni altro s'identifica con la società civile. Il fondatore di Mubadara, che ha ottenuto circa il 20% dei voti alle ultime elezioni presidenziali, ha trascorso un paio di giorni in Italia, dove ha incontrato i principali leader del centrosinistra e preso parte al Comitato centrale della Fiom. La sua visita di ieri alla redazione del manifesto è stata l'occasione per fare il punto sulla resistenza nonviolenta in Palestina, dopo che l'Alta corte israeliana ha dato ragione agli abitanti di Bilin, il villaggio della Cisgiordania dove un'inedita coalizione di contadini, attivisti di Stop the wall, anarchici israeliani e militanti internazionali ha riportato un'importante vittoria: il muro, lungo un tratto di 1.7 chilometri, dovrà essere riportato all'indietro, fuori dalle terre palestinesi che aveva invaso. Perché considerate tanto importante la vittoria degli abitanti di Bilin? La Corte suprema israeliana ha deciso che il Muro deve essere spostato da Bilin, ma anche che parte di una colonia ebraica può rimanere in quel villaggio. Quindi si è trattato di una vittoria parziale, ma è stata la prima volta che abbiamo costretto Israele a spostare il muro. Avevamo bisogno di una vittoria morale, per dimostrare che una lotta pacifica e nonviolenta è in grado di fare la differenza. Tre anni di manifestazioni, ogni settimana, tutti i venerdì: ora tutti credono che la vera lotta riparta da qui, perché il nostro obiettivo non è spostare il muro ma abbatterlo, in accordo col parere della Corte internazionale di giustizia del 2004. A garantire il nostro successo è stata la combinazione di nonviolenza, solidarietà internazionale e attivismo di alcuni pacifisti israeliani. E stiamo replicando il modello Bilin: ci sono già sette villaggi che, da due mesi, hanno iniziato lo stesso tipo di protesta. Puntiamo ad arrivare a 70 manifestazioni e al coinvolgimento di altrettanti centri. Gaza però sembra intrappolata in una spirale repressione-resistenza armata-repressione. Sì, ma anche la gente di Gaza ammira ciò che stiamo facendo. La differenza tra Bilin e altre iniziative è che altri dicono «la resistenza armata non va bene», ma non forniscono alternative. L'Anp dichiara che la sua lotta è il negoziato, che però non è una battaglia, può essere solo il risultato di una lotta. Noi stiamo dimostrando che esiste una forma diversa di lotta che è tuttavia certamente una resistenza. Tutti hanno visto che le forze d'occupazione ci hanno picchiati più volte, io stesso sono stato ferito in due occasioni da proiettili di gomma. La resistenza nonviolenta è la forma di lotta più efficace, non meno eroica, meno rivoluzionaria di altre. La gente di Hamas ha partecipato alla resistenza di Bilin? Alcuni, non in gran numero. Ma in altri villaggi, come ad Aboud, ce ne sono di più. Hamas si sta evolvendo. Quando ero membro del Governo d'unità nazionale mi chiamarono a tenere una lezione a Gaza sulla resistenza nonviolenta e l'importanza della Comunità internazionale. La prima intifada vide come protagonista la società civile, la seconda la resistenza armata. Cosa vede in futuro? La nostra democrazia è in pericolo: Hamas minaccia la libertà d'espressione e d'associazione a Gaza, Fatah chiude le ong in Cisgiordania e restringere le libertà civili. Daremo un ruolo ancora più forte alla società civile. Militarizzare la seconda intifada è stato un grave errore e per questo Bilin è così importante, perché mostra il potere della nonviolenza. Dieci, venti, 70 Bilin, così nascerà la nuova intifada. Fatah ripete come un mantra: «due popoli, due stati», mentre ormai lo stato palestinese sembra impraticabile. Hamas non esplicita una strategia. In realtà sulla strategia tra i due gruppi c'è una sola differenza, cioè che gli islamisti non vogliono dire che riconoscono Israele fino a quando lo Stato ebraico non accetterà di stabilire i confini dello Stato. La Comunità internazionale ci aveva detto: se accettate i due stati, il problema sarà risolto. Così nel 1988 tutto il movimento palestinese adottò questa linea. Sul terreno però gli israeliani stanno distruggendo questa possibilità. Io credo che o Israele è disposto a darci uno Stato che comprenda esattamente tutti i Territori occupati nel 1967 - compresa Gerusalemme est - o, se continuerà a distruggere l'opzione dei due stati, ne resterà una sola: quella di uno stato unico, democratico, con eguali diritti per tutti i suoi cittadini. Se la Comunità internazionale lascerà mano libera a Israele, noi non accetteremo i bantustan. Trasformeremo la nostra lotta in una lotta contro l'apartheid. Cosa pensa dell'atteggiamento del governo italiano nei confronti del conflitto israelo-palestinese? Apprezzo molto le dichiarazioni di Prodi e D'Alema sulla necessità di non isolare Hamas. Il problema è che quando abbiamo varato il Governo di unità nazionale, l'Italia ha avuto le mani legate, perché è rimasta ostaggio dell'Ue, che a sua volta non può avere una politica indipendente poiché gli Stati Uniti e Israele ne controllano le decisioni. L'Italia è il quarto partner commerciale d'Israele. Ci inviterebbe al boicottaggio? Il boicottaggio è molto efficace da un punto di vista psicologico, più che economico, perché fa sentire isolato il paese colpito. Ma se non si vuole boicottare Israele, un paese come l'Italia, che rispetta i diritti umani e il diritto internazionale, almeno non dovrebbe avere alcuna cooperazione militare con lo Stato ebraico. Perché l'Italia fa compravendita di armi con Israele, che viola il diritto internazionale, pratica l'apartheid e uccide quattro bambini palestinesi a settimana? Almeno smettete di lavorare con questa macchina da guerra e sanzionate l'establishment militare israeliano. Dove porteranno gli incontri tra Olmert e Abu Mazen che escludono dalle decisioni gran parte dello spettro politico palestinese? Ripetono gli stessi errori di Oslo: un accordo temporaneo che, nel 1999, avrebbe dovuto portare a una soluzione definitiva. Siamo nel 2007, ciò che doveva essere temporaneo è diventato permanente. Israele continua un'annessione territoriale de facto con la costruzione del Muro, l'annessione di terra, l'espansione degli insediamenti. Non è stato rimosso nemmeno un posto di blocco, al contrario sono stati ingranditi. Hanno rilasciato 250 prigionieri e al loro posto hanno messo dietro le sbarre 400 persone.
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