Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Il doppio volto di Tariq Ramadan la denuncia di Christopher Hitchens
Testata: Corriere della Sera Data: 12 settembre 2007 Pagina: 0 Autore: Christopher Hitchens Titolo: «Ecco il doppio volto di Tariq Ramadan»
Dal CORRIERE della SERA del 12 settembre 2007:
Un festival letterario a Mantova, antica capitale della Lombardia, rappresenta una buona occasione per riesaminare la questione se esista o meno la cosiddetta «civiltà occidentale» e se valga la pena difenderla. Qui è nato il poeta Virgilio e qui si ammirano gli affreschi di Andrea Mantegna, che lavorava al servizio dei Gonzaga. Ma il grande sacco della città, che le lasciò come unico tesoro superstite proprio l'opera del Mantegna, fu ordinato da un imperatore cristiano. E fu qui che, nel 1459, papa Pio II indisse una dieta per lanciare l'ennesima crociata, stavolta contro i turchi. Ero venuto a Mantova per difendere l'ateismo e il laicismo in genere, ma anche per aprire un dibattito con Tariq Ramadan, professore islamista residente a Ginevra che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé come uno degli «interpreti» più scaltri e sottili del fondamentalismo musulmano nei confronti dell'Occidente. Tariq Ramadan ha reso noto che non intendeva accettare il nostro confronto, così com'era stato inizialmente programmato, ma non c'era nulla che mi impedisse di andare al suo incontro e di tentare di rilanciare la discussione dalla platea. La scrittrice francese Caroline Fourest ha studiato a fondo le apparizioni contraddittorie di Ramadan in Europa e nel mondo musulmano, ed è giunta alla conclusione che il nostro accademico si esprime in termini assai ambigui, per dare volutamente impressioni diverse a seconda degli interlocutori. L'ho ascoltato e posso dire che non credo che il problema sia quello. Tariq Ramadan padroneggia il gergo postmoderno e sociologico (lo si avverte dall'uso ripetitivo di termini quali spazio e discorso per delineare l'area del possibile dibattito), ed eccelle negli eufemismi. Pertanto, rivolto alla televisione egiziana afferma che la distruzione dello Stato di Israele per il momento «non è possibile», mentre a Mantova descrive l'idea di lapidare le adultere come «di difficile attuazione ». Se si intuisce qualcosa di meno di una piena condanna, Ramadan si affretta ad aggiungere che una condanna netta e totale di tali cose sminuirebbe la sua «credibilità» agli occhi di un pubblico musulmano, che egli si propone invece, così sostiene, di modernizzare con l'astuzia. Anche le sue mosse politiche quotidiane mostrano la medesima intenzione equivoca. I contributi versati ad Hamas (donazioni che gli sono valse non poche difficoltà nell'ottenere un visto per insegnare all'università di Notre Dame, negli Stati Uniti, una posizione che è stato costretto a rifiutare) erano piccoli doni indirizzati all'ala «umanitaria » di Hamas. Se non è arrivato ad affermare che non esistono prove del coinvolgimento di Osama Bin Laden negli attentati dell'11 settembre, tuttavia ha ammonito il pubblico a non emettere giudizi affrettati. Spesso Ramadan critica gli attuali regimi che applicano la sharia, come quello dell'Arabia Saudita, in particolare per la loro corruzione, ma non di rado queste critiche lasciano intravedere una sua più marcata adesione islamista, anziché una presa di distanza. A Mantova ha affrontato la questione della doppia fedeltà, da una parte l'attaccamento all'Islam, dall'altro il rispetto delle leggi dei governi democratici laici nei quali gli immigrati islamici oggi vivono. Ramadan ha dirottato la questione al Sudafrica dove, ha detto, sotto il sistema dell'apartheid esisteva il dovere morale di non rispettare la legge. Dopo aver ascoltato questo e molti altri discorsi, mi sono alzato per fare alcune domande. Non era forse vero che la dirigenza musulmana in Sudafrica aveva in realtà appoggiato l'apartheid? E Ramadan non cercava di eludere la questione, dibattendo l'uso del velo (che copre solo i capelli) in Francia piuttosto di quello, molto più drastico, che copre interamente il volto (niqab) in Gran Bretagna? Non era forse vero che in Danimarca gli imam avevano sollecitato l'intervento delle ambasciate straniere per invocare la censura delle vignette blasfeme? E non è forse vero che Ramadan stesso deve la sua posizione come mediatore culturale non ufficiale al fatto che suo nonno, Hassan al-Banna, è stato il fondatore dei Fratelli Musulmani, un'organizzazione estremista di cui anche il padre è stato leader in Egitto? Ramadan ha definito la mia ultima domanda troppo «offensiva» per meritare una risposta. Sulla questione danese, ha esposto una tesi assai convincente, affermando che gli imam in questione erano una minoranza e pertanto non meritavano il sostegno dei governi stranieri. Sul velo integrale in Gran Bretagna ha preferito sorvolare, ignorando la richiesta di fornire prove che le donne lo indossano volontariamente, e infine ha ammesso che la leadership musulmana Deobandi in Sudafrica era stata in realtà un pilastro del vecchio regime. D'altro canto, ha aggiunto, alcuni musulmani si erano opposti all'apartheid, e quelli erano i «veri» musulmani. Difatti su ogni argomento, dalla lapidazione agli attentatori suicidi fino all'antisemitismo, Ramadan sostiene che il problema non è di per sé il «testo» del Corano e neppure l'Islam, bensì l'errata interpretazione dei suoi precetti. Molto comodo. Ramadan spesso può contare sull'ignoranza del pubblico occidentale. Sostiene che non esiste alcun precetto dottrinale che invochi l'uccisione di coloro che abbandonano la fede islamica, mentre nell'hadith, che possiede autorità canonica, l'apostata è condannato a morte senza tanti giri di parole. Quando mi sono recato all'incontro di Ramadan nel Palazzo d'Arco, avevo appena terminato la lettura dell'ultimo poema in prosa di Osama Bin Laden sulla ricorrenza dell'11 settembre. Anche qui si avvertono scaltri tentativi di manipolazione. Bin Laden si vanta degli attentati alle Torri gemelle, è ovvio (causando non poche grane a tutti coloro che li attribuiscono al Mossad o ad altri oscuri complotti), ma non dimentica di menzionare Noam Chomsky, Michael Scheuer (il defezionista della Cia) e la teoria di Oliver Stone sull'assassinio del presidente Kennedy. Esprime inoltre le sue preoccupazioni per il riscaldamento del clima, sul destino degli indiani d'America e persino sul recente crollo del mercato dei mutui subprime. Tutto quello che dice della guerra in Iraq, fino alla falsa compassione per le vittime civili e militari, viene presentato come se avesse ingaggiato uno sceneggiatore di Michael Moore in veste di consulente. Con tono che più suadente e ipocrita non si può, ricorda ai suoi spettatori che il Corano ha un'intera sezione in onore della Vergine Maria, un punto di convergenza ecumenica che avevo già notato in passato. (È tipico dei monoteismi scopiazzare le caratteristiche peggiori degli altri, da Abramo in poi). Sono convinto che questo imbonimento è troppo grezzo e volgare per funzionare, ma è proprio la volgarità e la rozzezza di Bin Laden a stimolare l'emergenza di un mediatore più «credibile», che sappia dissipare i timori e offrire rassicurazione. Sono passati solo sei anni, e già vediamo avanzare la corrente più accomodante e subdola dell'imperialismo islamico. Traduzione di Rita Baldassarre 5 New York Times Syndicate
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