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La Stampa Rassegna Stampa
12.03.2007 Hy Brown, l'ingegnere che ha costruito le Twin Towers, oggi vive in Israele
l'intervista di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 12 marzo 2007
Pagina: 15
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Ho visto le mie torri squagliarsi»
Da La STAMPA del 12 settembre 2007:

La mattina dell’11 settembre 2001 Hy Brown era adagiato sulla poltrona del dentista a Boulder, in Colorado: «All’uscita c’erano decine di reporters ad aspettarmi. Ho scoperto così di essere l’unico ancora vivo del team che aveva costruito il World Trade Center». Sei anni dopo l’ingegnere capo delle Torri Gemelle, l’uomo che ha visto il lavoro più importante della sua carriera sgretolarsi in trentacinque minuti, vive a Gerusalemme, ha fatto «aliya», cioè è emigrato, nel 2003: «Mi sono trasferito qui perché sentivo che per me, ebreo, questa era l’unica risposta possibile alla sfida dei terroristi, gli stessi che dal 1947 minacciano l’esistenza d’Israele».
Quella del padre delle Twin Towers è una storia controcorrente. Negli ultimi anni molti israeliani, delusi dalle aspettative di pace e allarmati dall’islamizzazione della causa palestinese, hanno abbandonato il Paese: lui l’ha adottato. Sessantacinque anni, una cattedra all’università del Colorado, vedovo con tre figli, seguiva il Medio Oriente in tv, da lontano: «Sono cresciuto in una famiglia molto religiosa a Brooklyn, ma non avevo mai pensato di lasciare gli Stati Uniti - racconta Hy Brown al telefono dal Colorado, dove si trova in questi giorni per un seminario -. È stata la mia seconda moglie, Nancy, a convincermi. Era una quacchera, insegnava storia all’università, dopo un ciclo di lezioni sull’Olocausto ha cominciato a interessarsi all’ebraismo fino a convertirsi, una conversione ortodossa».
L’attentato di New York è arrivato rivelatore come un segno divino: «Ci illudevamo che con la fine della guerra fredda si morisse più solo in Medio Oriente. Sbagliatissimo. Da allora il mondo è peggiorato, il conflitto è globale, bisogna scegliere da che parte stare». Proprio ieri mattina ha iniziato a leggere «World War IV: The Long Struggle Against Islamofascism», l’ultimo saggio del politologo americano neo-con Norman Podhoretz sul pericolo dell’islamismo jihadista.
«I terroristi usano il cervello», dice. L’ha capito studiando le macerie dell’11 settembre: «Osama bin Laden sapeva quel che faceva. Era un ingegnere civile proprietario della più importante impresa di costruzioni del Medio Oriente». Il 15 settembre 2001 il professor Hy Brown ha convocato i migliori venti tra i suoi studenti per analizzare il crollo delle Torri: cinque anni e 45 milioni di dollari dopo, l’inchiesta avviata dal governo americano è giunta alla stessa conclusione.
Brown la spiega con un esempio semplice, come l’ha sintetizzata ai suoi nipoti: «Se posiamo un coperchio di carta sopra 20 spaghetti e ne rompiamo 2 il coperchio non cade. Non cade neppure se ne rompiamo 10 e perfino se ne rompessimo 19 ci sarebbero chances per il coperchio di restare su. Ma basta mettere gli spaghetti nell’acqua bollente perché si ammoscino facendo cadere il coperchio. In altre parole: non è stato l’impatto degli aerei a far crollare il WTO ma la combustione del carburante a 2000 gradi Fahrenheit. Il calore ha fuso l’acciaio e le putrelle si sono sciolte in un momento».
A distanza di sei anni mister Brown si domanda ancora se abbia delle responsabilità. L’uomo è severo, sente il peso di aver ignorato «la minaccia alla civiltà». L’ingegnere invece, finisce per assolversi ogni volta: «Quando iniziai a progettare la prima Torre, nel 1967, appena laureato, l’aereo più grande era un Boeing 707. E sono certo che l’edificio avrebbe retto all’impatto con un Boeing 707. Nessuno però, all’epoca, considerava l’eventualità di utilizzare il carburante come esplosivo».
Oggi sarebbe diverso, tecnologia ed esperienza fanno scuola: «Se foderate interamente con mattonelle di ceramica, le travi portanti di un grattacielo resistono anche a 2000 gradi Fahreneit. Ma si tratta di una spesa vertiginosa pensabile forse per un edificio pubblico a rischio tipo la Knesset, il parlamento israeliano, inimmaginabile per una costruzione privata».
È la lezione più richiesta dagli studenti del College of Judea and Samaria di Ariel, dove Hy Brown insegna ora. Cosa è accaduto tecnicamente l’11 settembre 2001? Si poteva prevedere? Si può evitare che avvenga di nuovo? L’ingegnere ripete, paziente, la storia degli spaghetti; l’uomo preferisce raccontare la propria, quella di un pioniere del XXI secolo che si trasferisce in Israele per sfidare chi lo vuole annientare: «Non amo i memorial, neppure quello che probabilmente costruiranno al posto delle Twin Towers. Il modo migliore di ricordare è andare avanti».
Così, a 65 anni suonati, si è rimesso sotto a progettare: ha vinto il bando per l’edificazione di un villaggio a energia solare nel deserto del Negev, un sistema che sfrutta il calore accumulato in quattro giorni per alimentare in maniera ecologica un mese intero di riscaldamento, frigorifero, lavastoviglie e lavatrice.
Tra un paio di settimane, una volta tornato in Israele, metterà mano alle carte: «L’unica arma efficace contro chi distrugge è costruire».

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