Il fanatismo dell'Arabia saudita un articolo di Dimitri Buffa sul caso della Saudi Arabian Airlines, che nega la libertà religiosa
Testata: L'Opinione Data: 11 settembre 2007 Pagina: 0 Autore: Dimitri Buffa Titolo: «Vietato “peccare” sui voli sauditi»
Da l'OPINIONE dell'11 settembre 2007:
Il caso aveva mobilitato il saggista Daniel Pipes due settimane orsono con un articolo, "Coalizzarsi per escludere la Saudi Arabian Airlines", in cui si chiedeva in pratica a tutti paesi occidentali di negare alla compagnia di bandiera saudita l'accesso ai loro aeroporti "a causa di un inammissibile brano contenuto nel sito web in lingua inglese della compagnia aerea". In pratica, alla faccia del diritto internazionale, le aerolinee di bandiera di casa Saud avvertono, ancora prima che uno straniero metta piede a Riyad, che in quell'illuminato paese islamico, anzi “moderato”, detenere una Bibbia, una croce o una stella di Davide è equiparato a detenere armi, droga o esplosivi. E questo le persone possono leggerlo persino al desk per l'accettazione e il check in. Magari qualcuno penserà che è inutile essere ipocriti e che anzi è meglio prevenire l'ignaro turista da spiacevoli conseguenze una volta in loco spiegandogli come stanno le cose in Arabia Saudita e quale sia il loro concetto di libertà religiosa.
Qualcun altro però, e tra loro lo stesso Pipes, si è invece detto scandalizzato che simili regole che incitano al razzismo religioso e alla discriminazione possano trovarsi sul sito internet di una compagnia di bandiera nonché nei depliant informativi distribuiti in aereoporto. Depliant in cui si possono leggere istruzioni del tipo: "Per motivi di ordine religioso e a causa delle disposizioni locali, non è permesso portare nel Regno Saudita un certo numero di oggetti. Tra essi: le bevande alcoliche, la carne di maiale e i prodotti da esso derivati, sostanze narcotiche e stupefacenti proibite, armi da fuoco, esplosivi, armi da taglio e materiale pornografico". E fin qui lo scandalo sarebbe relativo. Inaccettabile invece, secondo Pipes, sarebbe il secondo paragrafo di queste "istruzioni": "Oggetti e articoli appartenenti a religioni diverse dall'Islam sono altresì vietati. Tra essi: Bibbie, crocifissi, statuette, sculture, oggetti con impressi simboli religiosi come la Stella di David e altri".
Dopo le proteste e gli articoli di Pipes e di altri adesso le linee aeree saudite lo hanno fatto scomparire sia dal sito Internet sia dal depliant. Però il divieto e la pena shariatica del carcere e delle frustate per "chi si macchia di questo reato" purtroppo restano. E questo è un altro capitolo della infinita vergogna che leggi religiose islamiche nei paesi fondamentalisti portano con sé. Il commento di Pipes alla parziale soddisfazione ottenuta è stato lapidario: "La decisione di omettere il secondo paragrafo sulle restrizioni doganali rivela il senso di vulnerabilità dei sauditi, che non è affatto sorprendente. A livello demografico, il Regno Saudita è un piccolo Stato circondato da predatori (l'Iran in particolare), che dipende dalle entrate prodotte da un'instabile derrata. Esso non ha affatto bisogno di aggiungere delle complicazioni ai rapporti con gli Stati Uniti e con altri governi occidentali".
D'altronde senza andare in Arabia Saudita né al desk della Saudi Arabian Airlines, anche qui a casa nostra, nell'Ucoii, c'è chi definisce peccatori gli omosessuali cui lo stato italiano accorderebbe asilo politico per non farli morire lapidati o impiccati in Iran. Giorni fa Noureddine Chemmaoui, responsabile del dipartimento affari sociali e diritti umani dell'Ucoii, ha avuto qualcosa da dire sul fatto che l'Italia dia asilo politico alla lesbica iraniana detenuta in Gran Bretagna in attesa di venire estradata a Teheran. Secondo Chemmaoui, bontà sua, nel caso di Pegah Emambakhsh, "lo Stato italiano può dare aiuto per salvare un'anima dal peccato". Mica per salvare una povera lesbica dalla forca.
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