Quando si arriva in Terra d’Israele e si chiede beh, come va, com’è la situazione? La risposta, immancabilmente sempre la stessa, beh, sai, arrivi in un momento particolare… come se nella storia di quasi sei decenni dello Stato fosse esistito un momento non particolare. Per cui non mi sono affatto stupito l’altro mese, quando ho posto ad amici ed esperti nelle varie "situazioni" la classica domanda, sentirmi rispondere con la classica risposta. Con quello che è successo nelle ultime due estati, ero curioso di sapere se vi fossero delle previsioni per la prossima. Agosto è un mese piacevole da trascorrere a Gerusalemme, è una città in vacanza come tante altre, la maggior parte degli amici è via, non manca il tempo per studiare, leggere i quotidiani del venerdì il sabato mattina stesi a prendere il fresco sull’erba del giardino dell’Indipendenza, si chiacchiera del più e del meno con i compagni dell’Ulpan, si invidia un po’ chi è in qualche classe più su, si va in giro per la città alla ricerca luoghi ancora da scoprire. Ma due estati fa ci fu Gaza, un nome che imparai a pronunciare senza simpatia, quando il mese di agosto fu travolto dal quel dramma collettivo rappresentato dall’uscita forzata di una moltitudine disperata. Tutto il paese fu coinvolto nell’emozione di quell’avvenimento, che doveva verificarsi, che aveva un senso nel progetto di separazione dagli arabi voluto da Sharon, tutto vero, ma sentirsi nel mezzo di quella storia fu coinvolgente e, diciamolo pure, commovente. L’estate scorsa, in una situazione politica completamente mutata, in una Israele che sembrava disorientata di fronte alla perdita della guida del leader, colpita nelle sue speranze dalla vittoria elettorale di Hamas, ecco la guerra scatenata da un nuovo capo fanatico, Nasrallah, il cui nome è diventato subito, maledizione a lui, famigliare, insieme ai suoi Hezbollah. Missili su tutto il nord, Kiriat Shmona sotto il fuoco, Haifa colpita dai missili e la gente nei rifugi, l’orecchio sempre attento al suono delle sirene che preavvertivano l’arrivo di katiushot dal cielo. In più, ogni giorno, le foto dei soldati caduti, le scene strazianti in televisione durante i funerali, ma in un paese, malgrado la situazione difficilissima, sempre forte e pronto a resistere. I conti si sarebbero poi fatti a guerra finita, e dire che sono tornati è essere poco realisti. Troppe cose non hanno funzionato come avrebbero dovuto, ma la lezione, si dirà dopo, non è stata inutile, anche se è costata, ancora una volta, lacrime e sangue. Adesso Israele sa che non deve più illudersi, se mai si è illusa. Per il fanatismo islamico fondamentalista pace con lo Stato ebraico vuol dire la cancellazione di Israele dalla carta geografica, e ai nemici tradizionali se ne sono aggiunti di nuovi, perchè l’Europa, e una parte del mondo occidentale, non hanno ancora capito che è ora di finirla di chiedere cosa fa Israele per la pace, mentre la domanda va posta a quegli Stati che sembrano esistere solo per portare al mondo minacce e guerre. Eppure a questi Stati non vengono mai presentati i conti. Da Gaza, che di fatto è uno Stato indipendente, continuano a partire razzi contro Sderot, oltre ai danni ora si sommano anche le vittime, ma la cosa interessa poco o niente. Su quella striscia si continuano a scrivere le solite frasi di retorica terzomondista, come se la responsabilità delle condizioni nelle quali vivono i suoi abitanti sia di Israele, nemmeno il fatto che abbiano distrutto le serre lasciate gratuitamente da chi le aveva costruite e trasformate in un fattore produttivo dell’economia locale, ha suscitato domande nell’opinione pubblica occidentale. Invece di tirarsi su le maniche e dimostrare al mondo di essere capaci di dar vita ad uno stato, i palestinesi a Gaza hanno saputo solo attaccare Israele e ammazzarsi tra loro per la conquista del potere. La Siria viene additata da buona parte del mondo politico e diplomatico occidentale quale partner pronto alla pace, a patto che Israele restituisca il Golan, come se quelle colline avessero una qualche potestà che la Siria potesse rivendicare. Le ha usate sempre per sparare, uccidere, rendere la vita intollerabile agli israeliani che vivevano nelle pianure, sarebbe masochistico rimettere in piedi la situazione di prima. Pace contro pace, ecco quello che la Siria, con il suo passato e presente di Stato coinvolto in tutti i traffici più loschi della regione, può al massimo ottenere. Interessa veramente a qualcuno poi che l’Iran tra due anni possa avere l’arma atomica con la quale aggredire Israele. Fuori i nomi della lista, a me non vengono in mente. Una grande confusione regna anche sul Libano, il cui premier Siniora, non dimentichiamolo, dichiarò la scorsa estate che il suo governo sarebbe stato l’ultimo al mondo a riconoscere Israele. Se l’ha detto per tenersi lontano dai terroristi islamici, allora ha fatto male i suoi calcoli, perchè oggi se c’è un paese che sta per collassate sotto l’attacco terrorista, questo è il Libano. Dopo quest’estate, e l’entrata in carica ufficiale di Shimon Peres, aspettiamo altre buone notizie. Ad essere sinceri non sapremmo quali, ma da qualche parte usciranno fuori. Malgrado le mille ragioni dei pessimisti, sono certo che prevarranno quelle dei realisti. Angelo Pezzana da Karnenu del 10 settembre 2007