Pubblichiamo un commento di Angelo Pezzana sulla notizia della banda di neonazisti arrestata in Israele:
La notizia c’è, sarebbe assurdo negarla. Ci sono otto giovani neonazisti, il più grande ha 19 anni, sorpresi un anno fa a imbrattare una sinagoga con delle svastiche. Dopo un anno di indagini per capire l’ambiente nel quale erano cresciuti i giovani delinquenti, la polizia ha redatto il suo rapporto e sono partite le denunce ed è scattata la procedura giudiziaria. Se fosse avvenuto in qualsiasi altro paese, cosa che avviene purtroppo abbastanza spesso, quel rigurgito nazista, capace di annebbiare le facoltà mentali di otto ragazzi, avrebbe avuto poca eco sui giornali, poche righe in cronaca, come usa dire. Cimiteri dissacrati, svastiche sui muri di edifici di culto ebraico, aggressioni a persone e cose, fanno tutte parte di quel fenomeno che va sotto il nome di ripresa dell’antisemitismo, che in Europa comincia a preoccupare, legato soprattutto alla diffusione dell’islamismo fascista. Ma il fatto non è avvenuto a Francoforte o a Parigi, e nemmeno in qualche città dell’Europa orientale. E’ successo a Petah Tikva, una cittadina non lontana da Tel Aviv, in Israele. Ma dalle quattro righe in cronaca agli articoloni che abbiamo letto oggi ce ne corre. “Israele scopre con orrore i nazisti nel cortile di casa”, titola la Stampa, “Incredibile in Israele: arrestati 8 ebrei nazisti” sul Giornale, “Neonazisti,Israele sotto choc, sgominata una cellula ebraica”,ipotizza addirittura il Corriere della Sera, fornendo al lettore l’idea che il fenomeno può essere esteso, se esiste una cellula ce ne saranno sicuramente altre. La storia in realtà non richiede particolari lauree in sociologia per essere capita, e non fraintesa, come invece è avvenuto. Gli otto ragazzi sono tutti figli di immigrati dall’ex URSS, da quando a partire dagli anni ’90 ne sono arrivati in Israele un milione, quasi tutti integrati nel nuovo Stato che li ha accolti. Fra loro, qualche migliaio, non erano neppure ebrei, un fatto comprensibile se si pensa alle famiglie derivate da matrimoni misti. Si poteva escludere nonni, suoceri o altri famigliari quando tutto un nucleo emigrava in Israele ? No di certo, e questa è la semplice spiegazione dell’arrivo in Terra d’Israele di russi non ebrei. Su sette milioni di israeliani, quanto pesano, quanto contano otto ragazzi di origine russa, sette dei quali nemmeno ebrei, invasati dal virus nazista, che è diventato il cemento ideologico che giustifica i loro comportamenti criminali ? Che il fatto preoccupi è sacrosanto, ma che senso ha estrapolare da una riflessione di Olmert “ abbiamo fallito come società” ? E Petah Tikva, la loro città diventa per un certo immaginario giornalistico “un quartiere dormitorio alla periferia di Tel Aviv” ? Comprendiamo il bisogno di sensazionalismo che contraddistingue certo giornalismo, e arriviamo anche a capire se un fatto da classificare quale puro teppismo giovanile, visti i contenuti, possa essere qualificato in maniera molto più forte se accade in Israele. Ma c’è un limite. In sessant’anni Israele è riuscito a creare una società democratica, dove la libera informazione è uno dei pilastri che ne qualifica l’altissimo livello di libertà, politica, economica e di costume. Non saranno otto ragazzini bisognosi di un supplemento di educazione a minarne le fondamenta. Leggendo i giornali italiani verrebbe da pensare il contrario.
I quotidiani del 10 novembre 2007 affrontano la vicenda della banda di neonazisti arrestata in Israele.
Se i testi sono più o meno scorretti, i titoli e il grande spazio dato in pagina alla vicenda attestano il sensazionalismo con il quale è stata affrontata.
Di seguito, dal CORRIERE della SERA, l'articolo di Davide Frattini, intitolato : "Neonazisti Israele sotto choc, sgominata una cellula ebraica". Il termine "cellula" fa pensare a una rete di formazioni analoghe, della quale non si ha nessun indizio.
GERUSALEMME — Il numero tatuato sul braccio non è il ricordo tragico dei campi di sterminio, il marchio che i sopravvissuti all'Olocausto portano ancora sul polso. La cifra è una sola: «88», il significato doppio. Un simbolo che vuole esaltare l'orrore nazista e l'ottava lettera dell'alfabeto: «Heil Hitler». I giovani dalla testa rasata, arrestati dalla polizia israeliana, lo esibiscono in mezzo a croci celtiche e svastiche.
Otto ragazzi, attorno ai vent'anni, fermati dopo un'indagine lunga un anno. Sono accusati di pestaggi contro religiosi ebrei (davano la caccia a chiunque indossasse la kippah), immigrati stranieri, omosessuali, drogati. Avrebbero riempito di svastiche una sinagoga a Petah Tikva. Tutto documentato in video che si sono girati da soli. Mentre prendono a calci un uomo a terra o spaccano una bottiglia di birra in testa a un cinese. Mentre fanno il saluto nazista e imbracciano un fucile mitragliatore M-16.
Israele non ha neppure una legge contro l'antisemitismo o l'apologia del nazismo, le norme puniscono in modo generico l'incitamento all'odio razziale, perché nessuno pensava che sarebbe potuto succedere qui. Che un gruppo di adolescenti, immigrato dall'ex Unione Sovietica e cresciuto nel Paese, potesse esaltare ed esaltarsi per l'ideologia che ha prodotto la Shoah.
I ministri del governo, riuniti per il consiglio domenicale, hanno visto i filmati. «Nessuno in questa nazione può rimanere indifferente alle immagini», ha commentato Ehud Olmert. «Mostrano che noi, come società, abbiamo fallito». Il premier parla comunque di «caso isolato, che non tocca la comunità russa nel suo insieme». I telegiornali spiegano che le origini ebraiche degli arrestati sono «dubbie», parte di quell'immigrazione massiccia dalle ex Repubbliche sovietiche agli inizi degli Anni Novanta, quando in molti decisero di chiedere la cittadinanza più per ragioni economiche che per attaccamento alle radici o ideali sionisti.
Il capo della banda si fa chiamare Eli il nazista. Ha diciannove anni. Ai poliziotti che lo interrogavano ha replicato: «Non mollerò mai. Sono un nazista e resterò un nazista. Non avrò pace fino a quando non li avremo uccisi tutti». Gli agenti hanno trovato nelle loro case coltelli, palle di ferro chiodate, esplosivi. Il gruppo era in contatto via Internet con organizzazioni neo-naziste all'estero. Nei video, riprendono il sangue sparso sui pavimenti, le facce degli aggrediti ridotte in poltiglia.
«La tragica ironia è che sarebbero stati scelti per lo sterminio da quei nazisti che vogliono emulare», ha commentato un portavoce dell'Anti-Defamation League dagli Stati Uniti. «E' un fatto marginale ed estremo. Ma resta intollerabile e dovremo affrontarlo», dice Avner Shalev, presidente di Yad Vashem, il museo dell'Olocausto.
Due anni fa gli investigatori avevano arrestato Vladimir Ternorozky. Anche lui portava una svastica tatuata sul petto, nell'appartamento materiale di propaganda dell'Unione Israeliana Bianca. Bersagli dell'odio, gli stessi del gruppo di Petah Tikva: ebrei, stranieri, arabi, omosessuali. Vladimir aveva fatto il servizio militare, su Internet giravano le sue foto mentre fa il saluto nazista con indosso la divisa di Tsahal. Il caso rivelato ieri è più scioccante per il Paese perché la polizia l'ha definita una cellula organizzata: «Stavano anche pianificando un omicidio», ha spiegato un portavoce.
Il ministero degli Interni adesso sta cercando di capire se sia possibile revocare la cittadinanza ai fermati, scavando nel loro passato per scoprire se abbiano falsificato le origini ebraiche. Ministri e parlamentari propongono di cambiare la legge del ritorno, per rendere più rigide le regole che rendono possibile l'immigrazione in Israele.
Uno degli otto ventenni arrestati inneggia a Hitler nell'aula di tribunale di Ramle.
Immigrati in Israele dall'ex Unione Sovietica negli anni Novanta, i ragazzi sono accusati di pestaggi contro religiosi, immigrati, omosessuali, drogati: tutto documentato in filmati girati dal gruppo.
La scoperta della cellula neo-nazista ha sconvolto la società israeliana
Da La REPUBBLICA l'articolo di Alberto Stabile:
GERUSALEMME - I nazisti d´Israele colpivano soprattutto la sera, fuori della sinagoga, alla stazione dei bus, al market del Carmelo. Capelli rasati, svastiche al collo, scarponi militari.
Attività preferita il pestaggio di omosessuali, punk, tossici, lavoratori stranieri ed ebrei ortodossi, e la devastazione di sinagoghe. Ed è proprio partendo dalla denuncia dei responsabili della sinagoga di Petah Tikva, a est di Tel Aviv, che gli inquirenti israeliani hanno smantellato ieri una cellula naziskin formata da giovani cittadini d´Israele originari dell´Unione sovietica che aveva legami con organizzazioni straniere di estrema destra. Otto componenti della cellula, tutti sotto i vent´anni, sono stati arrestati. Un nono si trova all´estero ed è latitante.
Israele è sotto shock. Tutti i media hanno dato ampio risalto alla notizia. Haaretz e Yedioth Ahronoth hanno pubblicato in prima pagina la foto di sei degli arrestati che fanno il saluto nazista, ed entrambi si interrogano: «Com´è stato possibile?».
«Credere che possano esistere simpatizzanti nazisti in Israele è difficile, ma è un dato di fatto», commenta Revital Almog, l´investigatore che ha guidato l´inchiesta. Nelle case degli arrestati sono stati ritrovati ritratti di Hitler, uniformi naziste, coltelli, pistole e cinque chili di esplosivo.
Alcune aggressioni del gruppo, che nelle sue spedizioni si spingeva fino a Haifa, venivano filmate: come quella a un tossicodipendente ebreo immigrato dall´ex Urss, costretto a inginocchiarsi e a chiedere «perdono alla Russia di essere un ebreo e un rifiuto umano».
Nessuno degli arrestati - tutti di religione cristiana - aveva la madre ebrea, la condizione necessaria per essere considerati ebrei dagli ortodossi. Ma la cittadinanza israeliana gli era stata concessa in quanto avevano almeno un nonno ebreo. Per questo ora sotto accusa è finita la «Legge del ritorno» del 1950, che non prevede controlli adeguati su chi ha titolo per richiedere la cittadinanza. Effi Eitam, deputato del Partito nazionalista religioso Ehud Leumi, ha annunciato che presenterà una proposta per impedire che Israele si trasformi «nel rifugio di chi odia Israele e gli ebrei».
La Anti-Defamation League invita però a non strumentalizzare un episodio «marginale» per attaccare tutti gli immigrati dall´ex Urss. Questi casi, osserva, possono nascere anche dal disprezzo con cui vengono trattati i cittadini israeliani originari dell´Est. Dello stesso avviso il premier israeliano Olmert, che in una nota ha affermato che si tratta di un incidente isolato e non di un fenomeno diffuso. Ma resta comunque un fatto che già quattro anni fa venne chiuso il sito web «L´alleanza bianca di Israele», animato da ragazzi venuti dall´Est che nel forum proponevano di sterminare gli ortodossi. E nel 2005 un altro sito internet, «Il centro nazionale russo», smantellato dalla polizia, prometteva il suo massimo impegno per evitare il ritorno degli ebrei in Russia.
Circa un milione di ebrei - in parte con coniugi non ebrei - immigrarono all´inizio degli anni Ottanta in Israele dall´ex Urss. L´afflusso di questa massa, in gran parte in possesso di titoli accademici, è stata poi un motore dello sviluppo economico e del grande successo dell´hi-tech israeliano negli ultimi anni. Ma pur tendendo all´integrazione di fatto, gli ebrei dell´ex Urss formano un gruppo a parte. Hanno un partito di riferimento con sei deputati alla Knesset, tre canali tv in lingua russa, giornali, settimanali. E il russo è la lingua più parlata dopo l´ebraico in Israele.
Da La STAMPA, l'articolo di Francesca Paci:
Il capo, Eli Buanitov, esce dal tribunale di Ramle, venti chilometri da Tel Aviv, con la maglietta verde tirata sul capo per evitare i fotografi. Sull’avambraccio destro ha tatuata una grossa svastica e la scritta in caratteri gotici «white power», potere bianco. Gli altri sette lo seguono, il volto nascosto come lui, t-shirt, bermuda, sneakers. Eli, conosciuto come «Nazi Eli», ha diciannove anni, gli amici qualche mese di meno. Tre sono minorenni. Provengono tutti da famiglie immigrate dalla Russia o dalle Repubbliche ex sovietiche, la madre colf, il padre addetto alla sicurezza davanti a un locale notturno. Sono stati arrestati ieri mattina a Petach Tikva con l’accusa di razzismo e violenza. È la prima vera cellula neonazista scoperta in Israele: da ventiquattr’ore i tg mandano a ripetizione il video che li filma mentre salutano con il braccio teso e prendono a calci un immigrato asiatico, un anziano rabbino con la kippà, un omosessuale. Il Paese, muto, guarda questi figli perduti, la caricatuta grottesca della memoria che non passa.
«Finora c’erano stati solo casi isolati» spiega il portavoce della polizia Shlomi Sagiv. Teenagers in rivolta contro «il pensiero debole dell’Olocausto», nostalgici di Hitler tanto per «épater le burgeois», scandalizzare il borghese, fanatici di band nazipunk tedesche tipo i Landser, i Reich War. Stavolta è diverso, c’è un’organizzazione seppur ristretta, ci sono le aggressioni, c’è una rete che attraverso Internet rispolvera falsi miti e odi reali. Gli otto di Petach Tikva («porta della speranza») in ebraico chiamano in causa i genitori, l’educazione, i valori. Ma non solo. «Abbiamo fallito come società», commenta il premier Olmert alla Knesset.
La mamma di Y., minorenne, «responsabile» della propaganda online, l’unico ebreo del gruppo, nasconde lo sguardo dietro gli occhiali da sole. Bionda, alta, si tormenta le mani con le unghie laccate: «Siamo arrivati dalla Russia otto anni fa, mia suocera è sopravvissuta al campo di sterminio...». Anche il nonno del capobanda, «Nazi Eli», era ebreo, lui no. Come gli altri, è arrivato dall’ex Unione Sovietica grazie alla Legge del Ritorno che assicura la cittadinanza israeliana a chiunque vanti una goccia di sangue ebraico nelle ultime due generazioni. Eli però non si è sentito accettato, urla la madre ai cronisti: «L’hanno discriminato. Ha smesso di andare a scuola perché gli arabi lo picchiavano e la polizia non interveniva. Non è un nazista».
Eli e gli altri festeggiavano il compleanno del Fuhrer. Come password del computer avevano scelto il numero 88, l’ottava lettera dell’alfabeto che raddoppiata sta per HH, Heil Hitler. La polizia ha cominciato a seguirli un anno fa, si «divertivano» a disegnare svastiche sui muri della sinagoga di Petach Tikva. L’avvocato Yeuda Frid sostiene che sarà difficile incriminarli, Israele, unico tra i Paesi occidentali, non ha una legge specifica contro il neonazismo.
«Inseriremo il nuovo reato e sarà punito severamente» annuncia il ministro degli Affari speciali Avigdor Lieberman. Domani il giudice di Ramle deciderà la sorte degli otto. Yaakov Edri, responsabile dell’immigrazione minimizza: «è un fenomeno marginale». La maggior parte degli adolescenti russi «sono integrati, fanno il servizio militare». Loro, i ragazzi, si difendono dicendo che magari hanno esagerato, che i tatuaggi con la svastica in fondo non significano nulla. Una giustificazione debole dovunque, impossibile qui.
Dal GIORNALE, l'articolo di Gian Micalessin:
Israeliani e nazisti, quasi un ossimoro della cronaca, ma per lo stupore e l’indignazione di tutto il popolo d’Israele quell’ossimoro esiste ed è cresciuto nel suo seno. Ha le sembianze slavate di otto ventenni figli delle steppe, progenie di quel milione di ebrei, o supposti tali, scappati tra gli anni Ottanta e Novanta al crepuscolo dell’Unione Sovietica. Ma i loro volti adesso sono il simbolo di un altro orrore. O, meglio, di un inimmaginabile paradosso. Eppure è tutto vero, tutto provato, tutto documentato. Basta gettare un’occhiata al filmato proiettato ieri nella sala del Consiglio dei ministri sotto gli occhi attoniti e increduli del premier Ehud Olmert.
In quel “promo”, intitolato “pattuglia 36”, introdotto da teschi e tibie incrociate, ritmato dal riecheggiare ossessivo di una voce che ripete «bang bang» il führer 19enne Eli Boanitov, e i sette adepti dell’inedita cellula nazi-israeliana mostrano il peggio di sé. O, dal loro punto di vista, le più “esemplari” violenze inflitte agli “omosessuali depravati”, ai “puzzolenti immigrati asiatici”, alla “feccia drogata” e a tutta la “spazzatura ebraica” con mantella nera, barba e kippà. Arrivano di corsa in un sotterraneo, circondano una vittima, la scaraventano a terra, la piegano a calci nelle reni, la finiscono con una scarpata in faccia. Il poveretto si tiene il volto. Il branco gli rimane addosso, posa con gli scarponi sul trofeo umano insanguinato. «Bang bang», canta la voce stridula e siamo in strada, alla luce del sole. Un giovane rapato avvicina un passante, finge di chiedergli qualcosa, solleva la bottiglia vuota da dietro la schiena, gliela spezza sul capo. «Bang bang» strilla la colonna sonora, l’immagine sfuma nel disegno di un naziskin a braccio teso, nella bandiera rossa con la celtica nera, riprende con un’altra aggressione, altri calci in faccia, altro sangue. Di nuovo «bang bang» e infine tutti assieme dietro a una bandiera tedesca, le braccia alzate nel saluto, la scritta Sieg Heil sullo sfondo.
«La nostra società ha fallito nell’educare questi giovani» sussurra Ehud Olmert quando nella sala del Consiglio dei ministri torna la luce. «Voglio capire se esiste la possibilità legale di revocare la loro cittadinanza e buttarli fuori da questo Paese, se esiste non esiterò a farlo - promette il ministro degli Interni Mair Sheetrit –, nello Stato d’Israele non c’è spazio per chi crede nel dogma nazista».
Sette degli otto figli dell’anatema arrivano da Petah Tikva, il quartiere dormitorio alla periferia di Tel Aviv dove l’ebraico si confonde con il russo e i dialetti del Caucaso. L’ottavo camerata invece è fuggito, vive all’estero. Per arrestare e inquisire gli otto neonazi la polizia israeliana ha impiegato oltre un anno. Tutto inizia nel 2006 quando svastiche e scritte naziste deturpano per due volte la sinagoga di Petah Tikva. Il 23 giugno prove e indizi sono completi e la polizia va a prendersi Eli Boanitov, Eli il Nazi come lo chiama la gente del quartiere, ed Ilya Bondranenko, un ventenne considerato il suo braccio destro. Loro negano tutto, ma a casa hanno nascosto giornali e insegne naziste, i filmati delle loro bravate, le foto di gruppo a braccio teso, i coltelli, le mazze chiodate, le armi contundenti usate nelle almeno 15 aggressioni al “nemico” e un po’ di esplosivo.
Per mamma Boanitov, figlia di ebrei perseguitati, Eli è il solito bravo ragazzo sfortunato, ignorato dalla società e costretto a lasciare la scuola perché accoltellato e minacciato dagli arabi. Forse un mezzo delinquente; non di certo, spiega la mamma, un nazista. “Eli il Nazi” non le va troppo dietro. Nelle e-mail ai suoi “terribili sette” raccomanda di santificare il compleanno di Hitler e giurare fedeltà alla razza bianca. Quanto agli altri, i gay, gli arabi i drogati e gli ebrei, meglio ucciderli tutti. «Non mi arrenderò mai - giura in un’e-mail - sono nazista e rimarrò nazista». L’unico problema del caparbio Eli sono quegli infami d’antenati. «Non voglio figli – scrive orgoglioso a un camerata - mio nonno era mezzo giudeo e non voglio lasciarmi dietro progenie con spazzatura ebrea nel sangue».
Roberto Romagnli firma un lungo articolo sul MESSAGGERO. Nel testo silegge addirittura di una "rete" neonazista. Nel titolo, ricompare la cellula.
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