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Il Foglio Rassegna Stampa
07.09.2007 La Turchia del presidente Gül non minaccia Israele, sul breve termine
le opinioni di tre analisti

Testata: Il Foglio
Data: 07 settembre 2007
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Perché Israele non teme la nuova Turchia del presidente Gül»
Dal FOGLIO del 7 settembre 2007:

Istanbul. A luglio il partito turco Giustizia e sviluppo (Akp), conservatore in materia di religione ma liberale in economia, ha vinto le elezioni parlamentari. Alla fine di agosto, dopo due votazioni andate a vuoto, l’islamico Abdullah Gül, compagno di partito e spalla di lunga data del premier Recep Tayyip Erdogan, è diventato l’undicesimo presidente della Repubblica turca. A Gerusalemme, gli analisti si confrontano per cercare di capire gli effetti del movimento islamista di Gül non soltanto sulla politica interna, ma anche sul suo stretto vicino, nonché alleato strategico, Israele. Yossi Melman, esperto di servizi segreti di Haaretz, sostiene che l’ascesa di Gül a presidente “porterà indubbiamente a un’accentuazione della crisi interna in Turchia tra i laici, guidati dai militari, bastione dell’establishment laico, e il religioso Akp”. Michael Rubin, studioso all’American Enterprise Institute di Washington, conviene, sostenendo in modo inequivocabile, che “la presidenza di Gül cambierà il carattere della Turchia”. Ci dice: “La mia preoccupazione non ha nulla a che vedere con il velo della moglie, piuttosto con il monopolio del potere. Ogni volta che il primo ministro Erdogan ha assunto un atteggiamento dubbio rispetto alla Costituzione durante il suo primo mandato, per esempio con la minaccia del carcere per gli adulteri, l’allora presidente Ahmet Necdet Sezer ha risposto con un veto. Ora non ci sono più quei pesi e contrappesi. La Turchia, di fatto, è diventata uno stato a partito unico”. Uri Dromi, direttore dell’International outreach all’Israel democracy institute di Gerusalemme, ritiene che se l’esercito turco fosse sconfitto il partito Akp avrebbe la strada per il potere completamente sgombra. E’ però ottimista sul futuro: “E’ un paese che, nonostante le tensioni in corso tra islamisti e laici, ha trovato una sorta di equilibrio”. E aggiunge: “Trovo molto interessante il pragmatismo della politica turca: forse può fungere da modello per altri partiti religiosi in altri paesi, come l’Egitto, che proprio ora si trova a scegliere ‘o l’uno o l’altro’”. Allontanandosi da Rubin aggiunge: “La realtà in Turchia è che già ora ci sono tre o quattro generazioni di turchi laici. Detto questo, penso che gli islamisti capiscano che non è possibile fare della Turchia un paese degli ayatollah”. Ci saranno effetti importanti con la nuova presidenza di Gül sulle relazioni con Israele? Sia Melman sia Droni ci dicono “non molti, perché tanti degli interessi turchi nella regione, a livello economico e di intelligence, coincidono con quelli d’Israele”. Rubin scuote la testa in disaccordo: “Di facciata, entrambi diranno che tutto va bene. Ma dietro la burocrazia turca lavorerà per interrompere i lavori sulla maggior parte dei contratti tra i due paesi. Ci saranno altre crisi, come è successo per l’accoglienza che l’Akp ha dato ad Hamas, e ogni crisi erode ulteriormente le relazioni”. “Alla fine del mandato di Gül – prosegue Rubin – le relazioni tra Israele e la Turchia saranno molto simili a quelle tra Israele e la Giordania, ovvero pacifiche e normali, ma fredde”. ma l’arrivo di Gül non porta nuovi timori per la sicurezza dello stato d’Israele. Gli analisti rispondono all’unanimità: “No, non sul breve termine”. Ma, come sottolinea con decisione Melman, “forse sì, sul lungo termine. Rispecchia l’ulteriore spostamento della Turchia verso il mondo islamista che Israele si trova ad affrontare nella regione. Queste paure non sono soltanto degli israeliani, ma sono condivise da altri paesi filo occidentali nella regione, come l’Egitto, l’Arabia Saudita e la Giordania”.

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