Peres ribadisce l'impossibilità del dialogo con Hamas, annuncia la soluzione del contenzioso Israele-Vaticano, loda il governo italiano una cronaca, un commento e un' intervista a Riccardo Pacifici
Testata:Il Giornale - Corriere della Sera - Il Foglio Autore: Alessandro M. Caprettini - Gianna Fregonara - la redazione Titolo: «Peres gela Prodi su Hamas - Governo amico ? Si, ma con Berlusconi era meglio - Intesa giudaico-vaticana»
Dal GIORNALE del 7 settembre 2007 (pagina 13), un articolo sulla posizione del presidente israeliano Peres circa il "dialogo" con Hamas auspicato dal governo italiano :
Ma di Hamas come presenza necessaria per un produttivo tavolo della pace... D’Alema e Prodi gliene hanno parlato? Shimon Peres non fa una piega per non smentire il grande idillio tra il nostro governo e Israele di cui aveva parlato pochi attimi prima a conclusione dei due giorni di visita ufficiale in Italia, prima tappa estera della sua presidenza. Ma il fatto che accenni a «cibi diversi» nella cena con Prodi e nella colazione avuta poi con D’Alema già fa capire che qualcosa non quadra. Tesi che si rafforza quando ammette di sapere perfettamente che il titolare della Farnesina non fa che ripetere che bisogna dialogare con Hamas. «Ma al contempo - aggiunge gelido - sa che Hamas non risponde. Con loro si può installare un monologo e non un dialogo perché non hanno intenzione di discutere». E non è finita qui. Il presidente israeliano - che in precedenza aveva parlato di «grande simpatia» tra Roma e Gereusalemme e di «gratitudine» per il nostro governo «ma anche per l’opposizione» - spiega laconico che quelli di Hamas «vogliono un Medio Oriente molto diverso da quello che vogliamo noi». Non due Stati, Israele e Palestina, pronti a riconoscersi entrambi e a convivere pacificamente, ma un Paese solo «governato dagli ayatollah dell’Iran». E in ultimo, una nuova stoccata a chi nel governo Prodi insiste per un discorso aperto con «tutte le parti in causa». Dice Peres: «Se davvero si vuole un dialogo, inutile andare a Gaza. Bisogna partire da qualche altra parte. E cioè a Teheran: è da là che vengono gli ordini...». Il muro israeliano per un coinvolgimento dell’ala estremista dei palestinesi resta insomma in piedi e bello saldo. Come quello fatto costruire al confine coi territori che, rileva il presidente israeliano, «per ora resta come misura di sicurezza, visto che ha fatto diminuire dell’80% gli attentati dei kamikaze». Il muro vero potrebbe però anche esser distrutto - aggiunge scherzando - «visto che abbiamo una tecnologia vecchia di 4.000 anni in materia e ci inventammo a Gerico». Quello contro i terroristi, resta. Peres infatti chiarisce che Gerusalemme è pronta a concessioni, ma in cambio di fatti. Non di sole parole. Lo manda a dire a Damasco, ricordando che per ben tre volte, premier israeliani si dissero disposti a restituire le alture del Golan, ricevendo rifiuti. Lo comunica anche alla Lega Araba, che non solo non ha poteri su Hamas ed Hezbollah, ma fatica a trovare una linea comune. Sull’Iran è invece meno disponibile: lo ritrae come un Paese che pensa di essere una superpotenza e finanzia e arma terroristi dovunque può. Se la regione è ancora turbolenta, Peres - che ieri ha visto anche Benedetto XVI, dialogando con lui del rapporto Israele-Vaticano, ma anche di ecologia, «visto lo stato del pianeta e l’inquinamento che non ha certo bisogno di visti per passare i confini» - qualche «barlume di luce» dice invece di vederlo nel rapporto con Abu Mazen. Lui e Olmert, rivela, «stanno lavorando sodo» per una dichiarazione d’intenti comune che dovrebbe suggellare il vertice di Washington di metà novembre. E che si spera possa essere la pietra miliare della pace tra i due popoli.
Dal CORRIERE della SERA, un'intervista a Riccardo Pacifici:
ROMA — Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica romana, lei che è sempre così «puntuto» con il centrosinistra, se l'aspettava che Peres lodasse le relazioni tra Italia e Israele? «Non si può dire che ci sia una politica italiana ostile a Israele. Le azioni del governo Prodi sono in linea con il Quartetto e con l'Europa in fatto di embargo ad Hamas o sulle condizioni per un eventuale dialogo». Quando si parlò di D'Alema alla Farnesina ci fu una vera e propria sollevazione della Comunità. «Sono due cose diverse. Un israeliano, che giudica le azioni del governo, non percepisce il nostro disagio. A disorientare gli ebrei italiani è che D'Alema sostiene delle tesi, su Hamas per esempio, che sono il contrario di quel che fa». Si spieghi meglio. «L'Italia ha grossi meriti in Medio Oriente: penso alla presenza nel Sud del Libano, al sostegno al nuovo corso di Abu Mazen». Come Berlusconi? «Con Berlusconi sarebbe stato meglio. E poi c'è il dibattito interno. Non è un segreto che D'Alema sia un nostalgico delle icone palestinesi, come Diliberto». Almeno non va ai cortei... «Ma con questo suo modo di parlare alimenta un clima di ostilità nei nostri confronti. Trovo inaccettabile, come ha detto anche Leone Paserman davanti a Peres al Tempio, che si parli di ebrei buoni e democratici solo quando criticano il governo israeliano».
Riguarda ancora la visita di Peres a Roma, in particolare l'aspetto molto importante che riguarda i rapporti di Israele con il Vaticano:
Il presidente israeliano Simon Peres, dopo l’udienza papale, ha affermato, riferendosi al contenzioso storico tra Israele e il Vaticano, che “entro la fine dell’anno possiamo chiudere gli argomenti pendenti”. Secondo Peres, che da ministro degli Esteri aveva lavorato intensamente a questi problemi e quindi ne ha una conoscenza di prima mano “l’ottanta per cento dei problemi” esistenti nei rapporti bilaterali tra Israele e Santa Sede sono stati risolti. Il presidente ritiene quindi che le divergenze relative all’Accordo fondamentale, siglato tra le due parti nel 1993, potrebbero essere appianate. Si tratta di materie complesse, che vanno dalla custodia dei luoghi santi del cristianesimo, contesa tra le varie confessioni sostenute più o meno direttamente da diversi stati europei, alla gestione dei pellegrinaggi, alle esenzioni fiscali, che Israele pare deciso a concedere alla chiesa riconoscendo l’importanza del suo contributo umanitario. In questo clima, anche il desiderio di Benedetto XVI di recarsi a pregare in Terra Santa sembra vicino a essere esaudito. Naturalmente questo successo diplomatico è il risultato di un’azione iniziata durante il pontificato di Giovanni Paolo II e proseguito fino a oggi. Tuttavia si può osservare quanto risultino infondate, anche alla luce degli attuali avvenimenti, le insinuazioni per una minore attenzione del Papa tedesco nei confronti degli ebrei e degli israeliani, al paragone di quella espressa dal suo predecessore polacco. Uno dei primi atti dell’attuale Pontefice è stata la visita a una sinagoga bavarese, luogo simbolico dello sterminio nazista del popolo ebraico. Il dialogo cordiale e la profonda comprensione di ieri con il presidente dello stato ebraico, insieme con la costante iniziativa per promuovere la pace in Terra Santa, danno la misura di un interesse non episodico o solo diplomatico del Papa per Israele, per il diritto dei suoi figli a vivere in pace e in sicurezza. Israele riconosce ora l’importanza dell’amicizia della Santa Sede, e questa è la migliore risposta a tante pretestuose polemiche.