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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.09.2007 D'Alema a Ramallah sostiene Abu Mazen, ma vuole il dialogo tra Fatah e Hamas
senza menzionare la precondizione del riconoscimento di Israele

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 settembre 2007
Pagina: 5
Autore: Massimo Caprara
Titolo: «D'Alema: «Sosteniamo Abu Mazen. E la pace»»

Dal CORRIERE della SERA del 4 agosto 2007, una cronaca di Massimo Caprara sulla visita di D'Alema a Ramallah.
Caprara mette in luce la differenza tra le prese di posizione   tra il ministro degli Esteri e il presidente del consiglio italiani:
"Come requisito per la «riconciliazione» tra palestinesi che spesso si sparano a vicenda D'Alema ha evocato il concetto generale di legalità.
Prodi su Hamas non la pensa in maniera opposta, ma ha indicato come condizione l'accettazione delle tre condizioni del Quartetto di Usa, Ue, Onu e Russia: basta violenza, riconoscimento di Israele e degli accordi con lo Stato ebraico."


RAMALLAH — Senza compiere svolte radicali, Massimo D'Alema è ricorso a una messa a punto nel suo lancio di segnali favorevoli a un coinvolgimento dei fondamentalisti islamici di Hamas in un processo di pace tra palestinesi e Israele. È come se il ministro degli Esteri avesse ritenuto di dover limare qualche spigolo esteriore delle tesi che gli erano costate parecchie critiche in luglio. Lo ha fatto all'imbrunire nel cortile della Muqata, la fortezza di Yasser Arafat. «Siamo qui a incontrare Abu Mazen e il premier Salam Fayyad e non Hamas. Lo dico a proposito di forzature circa le posizioni del governo italiano. E non abbiamo mai avuto dubbi che la nostra scelta è sostenere le forze che si battono per la pace», ha dichiarato a Ramallah il titolare della Farnesina. Il presidente Abu Mazen, pragmatico che studiò in Urss e adesso negozia con il primo ministro israeliano Ehud Olmert, era lì accanto.
Nessuno si aspettava un appuntamento con Hamas. È stata una precisazione voluta, da parte di D'Alema, durante la sua prima visita al gruppo dirigente palestinese moderato da quando esiste il governo Fayyad, nato in giugno perché Hamas si è impossessata di Gaza massacrando uomini di al Fatah. Romano Prodi aveva manifestato il suo appoggio all'impresa negoziale di Abu Mazen con una visita a Ramallah il 10 luglio. D'Alema invece in quel periodo, il 16 luglio, poneva l'accento su un altro aspetto: «Hamas è una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese». Ieri il ministro, mesi fa risoluto nel giudicare positivo il governo di unità nazionale palestinese ormai caduto, ha cominciato la giornata ricevendo a Roma il direttore dell' American jewish committee, David Harris, e poi ha cercato di sfatare l'impressione che ci sia stata una sua tiepidezza verso gli sforzi recenti di Abu Mazen. Davanti ai giornalisti, a Ramallah, ha avvisato che «forse non è il caso di esportare delle discussioni italo-italiane » e ha riformulato il suo augurio di un dialogo con il primo partito dei Territori, ritenuto organizzazione terroristica dall'Unione europea, così: «Abbiamo detto e confermiamo che sul cammino della pace dovrà compiersi anche una riconciliazione nazionale palestinese sulla base dei principi di legalità di cui il presidente Abu Mazen è garante». Quest' ultimo, che tanti di Hamas vorrebbero morto, ha sottolineato: «Non neghiamo l'esistenza di Hamas. Abbiamo detto che deve retrocedere da questo golpe (quello di Gaza, ndr) e poi si comincia un dialogo».
Nelle pieghe delle frasi ci sono dettagli di rilievo. Come requisito per la «riconciliazione» tra palestinesi che spesso si sparano a vicenda D'Alema ha evocato il concetto generale di legalità.
Prodi su Hamas non la pensa in maniera opposta, ma ha indicato come condizione l'accettazione delle tre condizioni del Quartetto di Usa, Ue, Onu e Russia: basta violenza, riconoscimento di Israele e degli accordi con lo Stato ebraico. Ad Hamas, che non vuole riconoscere Israele, le differenze non sfuggono. «Shukran, raìs». Grazie presidente, ha detto il ministro a Abu Mazen che lo aveva accolto da «amico». «Io venni a incoraggiare Abu Mazen il giorno che Arafat lo nominò primo ministro, molto prima che molti lo scoprissero», ha ricordato D'Alema. «Non credo di dover essere incoraggiato a sostenerlo», ha aggiunto.
Oggi D'Alema è in Egitto. Domani, visita in Israele.

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