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La Repubblica Rassegna Stampa
02.09.2007 Tutto bene per le donne musulmane e per la laicità della Turchia
le rassicurazioni politicamente corrette di Elif Shafak

Testata: La Repubblica
Data: 02 settembre 2007
Pagina: 35
Autore: Elif Shafak
Titolo: «Come essere musulmane e magari essere anche felici»

Non esiste un problema specifico della condizione della donna nell'islam, e pensarlo è sostanzialmente assimilabile a una forma di razzismo.
Inoltre l
´Akp, il partito di governo in Turchia, non è un partito islamico. I suoi aderenti dovrebbero piuttosto essere chiamati "musulmani moderati".

Lo stato di oppressione, sociale e legale, di milioni di donne nel mondo islamico, alla scrittrice turca Elif Shafak
appare forse come una fantasia "occidentale" (nonostante il fatto che sia stata denunciata in primo luogo da coraggiose donne musulmane o provenienti dall'islam).

Le molte ambiguità dell'Akp (il premier Erdogan ha definto la democrazia un autobus, da abbandonare una volta giunti a destinazione, il presidente Gul si considera "figlio" spirituale di Erbakan, che vuole debellare il "morbo" ebraico), allo stesso modo, non sono rilevanti. Non le cita nemmeno e non prova a spiegarci perché non dovrebbero entrare nel nostro giudizio sul partito al potere in Turchia.


Da La REPUBBLICA del 2 settembre 2007

«Sei una scrittrice turca. E sei una donna. Dovresti raccontarci di più dei problemi delle donne musulmane. Vogliamo aiutarle, ma non sappiamo come». Queste parole mi sono state dette due anni fa a New York alla International Pen Conference da una donna americana di colore. «Pensi che ci sia una speranza per le donne turche, considerato che molte di loro vengono uccise dal marito o dal padre per motivi d´onore?». Questa cruda domanda mi è stata posta da un uomo di mezza età a una manifestazione letteraria che si è tenuta l´anno scorso a Londra. «Perché la Turchia è così patriarcale? Cosa possono fare le donne turche per opporvisi?». Questa domanda, infine, mi è stata rivolta quest´anno da un giornalista italiano a Roma.
A tutte queste domande vorrei rispondere ponendone alcune a mia volta: perché quasi sempre, quando si parla di donne musulmane, le si associa a dei problemi? Le donne musulmane non hanno motivi di gioia? Non provano mai piacere, felicità, soddisfazione? Come mai le donne musulmane sono sempre ritratte come creature oppresse, obbedienti, ignoranti, incapaci di descriversi da sole e bisognose che siano altri a farlo? Le donne musulmane hanno bisogno di essere salvate? Da chi? Alla base c´è un´altra domanda fondamentale: le donne musulmane sono culturalmente, biologicamente ed essenzialmente diverse dalle donne occidentali?
E chi sono poi queste "donne musulmane"? Stiamo parlando di una donna dell´alta borghesia di Dubai, il cui reddito annuale supera i 250mila dollari, di una povera contadina pachistana o di una immigrata marocchina che vive in un ghetto parigino? Non esiste un´unica categoria di "donne musulmane". Come si potrebbe classificare in un unico gruppo la complessità e l´eterogeneità delle donne del mondo musulmano?
All´interno della sorprendente diversità del mondo islamico, la Turchia occupa un posto particolare. È un paese prevalentemente musulmano e, allo stesso tempo, fermamente laico. È un paese che crede che Islam e democrazia occidentale possano e debbano coesistere. Ed è un paese che ha iniziato a modernizzarsi più di centocinquant´anni fa e che oggi vuole entrare a far parte dell´Unione europea. La discussione sulla condizione della donna in Turchia si trova al centro di tutto questo enorme dibattito ideologico e politico.
Oggi, in Turchia, qualsiasi discussione sulle donne e sul genere è quasi immediatamente oscurata dalla politica. Il corpo e l´immagine della donna sono diventati simboli grazie ai quali portare alla luce e mettere alla prova argomenti politici spinosi. E di tutti i simboli, il più potente è il velo. Oggi in Turchia si discute molto se la moglie del presidente possa indossarlo. Sono passati più di settant´anni dalla fondazione del moderno Stato turco laico e questa è la prima volta che si discute della possibilità di avere una First Lady che indossa il velo. Si parla molto di «come dovrebbe essere la donna turca ideale». Quotidiani, canali televisivi, seminari, convegni e conferenze vertono su questo tema.
Il linguaggio è il mezzo principale attraverso il quale noi esseri umani comunichiamo. Usiamo le parole per comprendere, analizzare e discutere un argomento. Ma, a volte, le parole possono tramutarsi in ostacoli. Ci impediscono di vedere le cose in modo chiaro. Allo stesso modo, il dibattito sul velo risente di una incapacità linguistica. Quando parliamo di velo, le parole confondono più di quanto spieghino.
Come scrittrice turca, nella mia lingua posso incontrare otto termini differenti per descrivere il velo, ciascuno dei quali ha un significato diverso. Essi riflettono il fatto che donne diverse indossano il velo per ragioni differenti. Alcune di loro lo fanno per tradizione, altre per motivi religiosi o culturali o politici. Un´anziana donna turca indossa il velo in modo diverso da una ragazza. Una donna abituata a vivere in città porta il velo in modo diverso da una contadina che lavora nei campi. Ma quando mettiamo tutto in una stessa categoria e usiamo un´unica parola - il velo - per descrivere tutto, questa complessità, queste sfumature, si perdono.
Se vogliamo comprendere meglio l´Islam turco, dobbiamo usare le parole con prudenza ed evitare le generalizzazioni. È vero che l´Akp, il partito di governo, proviene da un background religioso conservatore. Questo significa allora che l´Akp debba essere etichettato come un partito "islamico"? Non lo è. Per capire le dinamiche interne dell´Akp e il suo crescente successo politico dobbiamo abbandonare del tutto il termine "islamico" o "fondamentalista". Ad esempio, potremmo chiamarli "musulmani democratici". Oppure cercare un altro concetto. Ma non sono "islamici". Dobbiamo capire che non tutte le donne che indossano il velo sono "fondamentaliste". Non tutti i fedeli musulmani sono "islamici".
Per quanto acceso possa essere oggi in Turchia il dibattito sul velo, esso è più attinente alla scena politica che a quella sociale. Nella società turca le cose non sono divise in modo così netto come lo sono nella politica. La politica turca oggi sembra divisa tra "laici" e "conservatori". Ma la società turca non lo è. Nella vita di tutti i giorni gli opposti si confondono e si crea una sintesi. Basta fare una passeggiata in una strada affollata di Istanbul per vedere ragazze con il capo coperto e ragazze che non indossano il velo camminare una accanto all´altra, tenendosi per mano e scherzando. A volte una madre indossa il velo ma le sue figlie non lo portano. A volte una sorella lo indossa e l´altra no. Due fratelli possono essere sposati con due donne turche, una delle quali porta il velo e l´altra no. Nelle nostre famiglie le donne che indossano il velo vivono accanto a donne che non lo portano.
E forse questo è del tutto normale, considerando che siamo una società occidentalizzata con una struttura islamica. Siamo la sintesi tra Occidente e Oriente, tra modernità e Islam. In Turchia combiniamo continuamente elementi delle due diverse civiltà. Questo è il nostro ruolo nel mondo: siamo un paese di frontiera. E se impareremo ad allentare e a ridurre un po´ la tensione politica, scopriremo che in questo non c´è nulla di male. Così come non c´è niente di strano o di minaccioso nell´avere una First Lady che indossa il velo. Ciò che conta è quello che c´è dentro la testa della gente, non quello che c´è sopra

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