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Il ministero dei casi speciali Nathan Englander
Traduzione Silvia Pareschi
Mondatori Euro 18,50
Più che ingrato e faticoso (c’è ben di peggio!) il mestiere dello scrittore è un delicato equilibrio fra ispirazione e pubblico, fra esigenze della creatività e richiami del mercato. Non perché sia tutta, come al solito, una faccenda commerciale: la questione è ben più seria. Lo scrittore ha bisogno del suo pubblico per esistere e produrre, chè altrimenti egli perde ogni ragion d’essere.
Venire incontro ai propri lettori non significa tradire la vocazione, anzi. Sempre che questa condiscendenza non si trasformi, come invece capita, in bulimia di scrittura, nell’insopportabile impulso a sfornare almeno un tomone all’anno.
A questa tentazione è certamente sfuggito Nathan Englander, giovane (classe 1970) autore vissuto sino ad ora fra New York, Gerusalemme e Brooklyn. Nato in una famiglia di stretta osservanza ebraica, proprio nella città santa Englander si è staccato dall’ortodossia optando per un sano, quasi svagato individualismo spirituale. Nell’ormai lontano 1999 uscì la sua raccolta di racconti, comparsa in traduzione italiana già quell’anno stesso, con il titolo “Per alleviare insopportabili impulsi” (Einaudi): e fu un grande meritatissimo successo. Quei racconti sono strepitosi. Ma da allora Englander ha regalato ai suoi lettori soltanto un avaro silenzio: nessun cedimento alle lusinghe del mercato, di fronte all’impegno di una scrittura esigente come poche.
Quand’ecco che finalmente, dopo anni di attesa e lavoro, arriva il suo primo romanzo, intitolato “Il ministero dei casi speciali, in uscita per Mondatori.
La storia non è facile da riassumere, più che una trama assomiglia a un vorticoso labirinto. Ad ogni modo, siamo a Buneos Aires intorno agli Anni Settanta, dentro una famiglia di ebrei piuttosto bizzarra. Kaddish, il padre, tira avanti cancellando nomi poco rispettabili dalle lapidi del cimitero. Il figlio Pato sembra riluttante a ricevere questa scomoda e ambigua eredità professionale, tesa ad aprire un abisso di oblio fra il prima e il dopo nella vita della comunità. Il prima è una specie di bordello (non in senso figurato), ma il dopo è più cupo che mai, sotto un regime opprimente che a un certo punto si porta via Pato stesso.
In questa sommaria cornice si muove una pletora di personaggi, avviene una quantità quasi innumerevole di episodi, incidenti, fatti più o meno comici e allegorici. Per le vie di Buenos Aires ma anche al cimitero con lo scalpello in mano, o dentro case dove la gente si ammucchia alla bell’è meglio. L’atmosfera è sovente surreale, come lungo la tortuosa vicenda delle plastiche ai nasi di famiglia. E’ altrettanto spesso simbolica: molti momenti trovano senso non nella loro attinenza alla realtà bensì nel carico di allusioni che si portano dietro. In particolare quando si tratta del rapporto fra padre e figlio e di quello fra passato e presente.
Ma questo romanzo è, almeno a parere di chi scrive, ben lontano dalle altezze degli “insopportabili impulsi”, dove il ritmo serrato del racconto non scomponeva mai la materia narrativa, senza un cedimento alla noia o alla confusione. “Il ministero dei casi speciali” è un libro assai discontinuo: qui la dimensione grottesca è sconnessa da quella tragica, a scapito dell’ironia che dovrebbe risultarne. E’ un romanzo per certi versi troppo carico di materiale, per altri un poco vuoto di sostanza avvincente: la lettura diviene così un’esperienza superficiale, che non arriva a toccare punti nevralgici né della testa né del cuore.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa
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