Arabi a favore di Israele le testimonianze di Tarek Heggy, Ali Salem e Nonie Darwish
Testata: Tempi Data: 01 settembre 2007 Pagina: 0 Autore: Valentina Colombo Titolo: «Gli arabi che non resettano Israele»
Da TEMPI datato 30 agosto 2007:
Una petizione firmata da duecento intellettuali italiani contro chi dice "viva Israele". Proteste durante le visite di ambasciatori israeliani alle università italiane. Boicottaggio degli atenei britannici nei confronti dei docenti israeliani. «Credevo che queste cose potessero accadere solo nel mio paese», commenta l'intellettuale liberale egiziano Tarek Heggy all'udire le notizie provenienti dall'Europa, quella che lui reputava la patria del libero pensiero, e dall'Italia, dove l'intellighentsia non ha esitato a mettere all'indice il libro Viva Israele e il suo autore, il vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam. «Ma che sta accadendo alla vecchia Europa?», si chiede Heggy, un intellettuale che ha ancora il coraggio di accettare inviti da parte delle istituzioni israeliane, di subire per questo le conseguenze in patria, di ammettere di avere molti amici tra Tel Aviv e Gerusalemme. Nel suo sito, www.heggy.org, sono numerosi gli articoli che testimoniano la sua ardua scelta di vita. Perché nel mondo arabo serve molto coraggio per non dirsi anti-israeliani. «Una volta - racconta Heggy - chiesi a un amico, direttore d'orchestra qui al Cairo, di accogliere l'invito a dirigere un concerto all'Opera di Tel Aviv. Accettò entusiasta, ma al suo ritorno in Egitto venne licenziato in tronco perché aveva avuto a che fare con "il nemico sionista". Da quel momento mi sono sentito in dovere di aiutarlo e sostenerlo perché responsabile della sua sventura». Di fatto Tarek Heggy è un uomo fortunato. Oltre ad essere un intellettuale di spicco è anche un dirigente di una multinazionale del petrolio. Il suo stipendio non proviene dallo Stato. Il che significa potere essere indipendente e libero di pensare e di scrivere. Una sorte simile a quella del direttore d'orchestra egiziano è toccata, invece, al suo connazionale Ali Salem, autore teatrale. Costui si è schierato pubblicamente a favore di Israele, sostenendo che solo così si potrà favorire il bene del popolo palestinese. Ha visitato almeno quindici volte lo Stato ebraico e ancora oggi è vittima di un boicottaggio che gli impedisce di portare in scena le sue opere. Eppure Salem continua a vivere in Egitto e a pubblicare, senza paura, i suoi articoli. In "Dobbiamo riconoscere l'esistenza del popolo palestinese" spiega chiaramente il motivo della sua posizione filo-israeliana e decisamente critica nei confronti dei governi arabi: «La questione palestinese - scrive - è stata e sarà il problema centrale dei governi arabi. [.] Questo è l'unico incartamento che tutti vogliono lasciare aperto per proteggere i governi arabi dalle sfide determinate dalla modernità, così come dalle sfide provenienti dalla presenza dello Stato ebraico con la sua concezione diversa del governo e dell'amministrazione. In termini ancora più espliciti per sollevare questi governi dal fardello dell'istituzione di uno Stato moderno. è lo stesso incartamento intorno al quale si riuniscono e si infervorano tutti i sostenitori del pensiero rivoluzionario politico e religioso, gli oppositori dei diritti dell'uomo da entrambe le parti, araba e israeliana. Questo è il motivo che spiega la forte indignazione con cui è stato accolto il ritiro israeliano da Gaza, da parte degli estremisti islamici e israeliani. Entrambi non vogliono che il blocco smetta di ruotare intorno al perno, entrambi non vogliono uno Stato moderno che interagisca con i cittadini in quanto tali». A seguito delle ultime elezioni nei Territori, Ali Salem ha commentato: «Questo è quello che chiedo al nuovo governo palestinese: non di ammettere l'esistenza di Israele perché Israele esiste e ha tutti i mezzi per salvaguardare la propria esistenza, bensì il nuovo governo deve riconoscere l'esistenza del popolo palestinese e del suo diritto alla vita».
«Non pubblicare il mio nome» Ma se un atteggiamento di critica e censura resta prevedibile in un paese come l'Egitto, dove a scuola si insegna l'odio verso gli ebrei e gli israeliani, dove per le strade accanto ai quotidiani si vendono i Protocolli dei Savi di Sion, questo atteggiamento stupisce nel caso di "intellettuali" italiani, che dovrebbero essere cresciuti all'insegna della libertà e della obiettività e che ritengono una sufficiente manifestazione di equidistanza tra posizioni palestinesi e israeliane l'aver invitato al memoriale dell'Olocausto, tenutosi attorno al binario 21 della stazione Centrale di Milano, una palestinese e un siriano, capace, nel suo discorso, di arrivare a equiparare la shoah alla condizione dei musulmani in Europa vittime dell'islamofobia. Dimenticando, tali intellettuali, che riconoscere l'Olocausto non significa riconoscere automaticamente lo Stato di Israele. Basterebbe visitare il sito www.arabsforisrael.com per comprendere che anche parte del mondo arabo la pensa diversamente da loro. "Arabi per Israele" nasce nel febbraio 2004 ad opera dell'intellettuale egiziana Nonie Darwish, autrice di un libro autobiografico dal titolo Ora mi chiamano infedele. Perché ho rinunciato al jihad per l'America, Israele e la guerra al terrore (Sentinel, New York 2006). Alla voce "Chi siamo" del sito viene chiarito cosa significhi essere arabo ed essere per Israele: «Siamo arabi e musulmani che credono di potere sostenere Israele e al contempo il popolo palestinese. Sostenere l'uno non significa cancellare il sostegno all'altro. Di potere sostenere lo Stato di Israele e la religione ebraica e al contempo valorizzare la nostra cultura arabo-islamica. Accettiamo l'esistenza dello Stato di Israele. Israele è uno Stato legittimo che non è una minaccia bensì un punto fermo in Medio Oriente. [.] La fine del boicottaggio di Israele tornerà a vantaggio degli arabi». Precisazione fondamentale, «noi non siamo anti-islamici né anti-arabi. [.] Ricordiamo con profonda tristezza gli arabi coraggiosi, noti e meno noti, che sono stati uccisi o puniti per avere promosso la pace con Israele». La Darwish continua a ricevere messaggi da parte di numerosi arabi che la pensano come lei: «Ho ricevuto e-mail da tutto il Medio Oriente e da musulmani da tutto il mondo. La paura degli arabi a esprimersi pubblicamente a favore di Israele era comprensibile, così, quando mi chiedevano "non pubblicare il mio nome", lo facevo». Ed ecco ritornare il problema iniziale: essere arabi ed essere a favore di Israele è pressoché impossibile, a meno che non ci si voglia esporre ad attacchi di ogni genere nel mondo arabo come in Occidente. Le testimonianze di Tarek Heggy, Ali Salem, Nonie Darwish e tanti arabi nell'ombra dimostrano che si può essere l'uno e l'altro. Chissà quanto tempo dovrà passare perché anche in Italia uno studioso di islam possa volere al contempo il bene dei palestinesi e degli israeliani.
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