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Disobbedienza Naomi Alderman
Traduzione Baiocchi M.
Nottetempo Euro 18
L’ortodossia è un tema centrale nella letteratura ebraica: non c’è scrittore ebreo che non abbia affrontato l’insostenibile peso di precetti apparentemente incomprensibili e tradizioni decisamente antiquate. C’è chi lo ha fatto lanciando sboccati e irresistibili anatemi, come Philip Roth, e chi, come Chaim Potok, raccontando di grandi ribellioni sfociate poi in un ritorno nell’alveo della tradizione. L’esordiente Naomi Alderman, cresciuta nella comunità ortodossa di Hendon (Londra) e vissuta a New York, ha scelto la chiave della disobbedienza: quella di Ronit alle regole del padre, grande e riverito rabbino, e a quelle della chiusa comunità londinese da cui è fuggita per tornarvi, non rimpianta e meno che mai amata, alla morte del genitore. Ma, soprattutto, la disobbedienza di Esti, che a Hendon (la stessa comunità dell’autrice: il romanzo ha evidenti spunti autobiografici) è rimasta ed è diventata moglie del futuro rabbino: l’unica ad accogliere Ronit a braccia aperte, colma d’amore per lei.
Un amore impuro, inconcepibile, innominabile per i pii membri della comunità. Ma non per il Dio di una religione che, come l’ebraismo, invita a non guardare al cielo ma dentro di sé per risolvere le difficoltà dell’esistenza e che insegna come sia “giusto vivere secondo le nostre scelte anche se Dio ci comunica chiaramente che sono sbagliate”. Un Dio che “ci ha consegnato il mondo per un po’ di tempo. Ci ha dato la sua Torah. E come un buon padre, come un padre amoroso, ci ha gioiosamente lasciato liberi”.
Valeria Gandus |
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