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Il Foglio Rassegna Stampa
28.08.2007 Risposta ai sette militari americani per i quali la guerra in Iraq è persa
scritta da altrettanti commilitoni

Testata: Il Foglio
Data: 28 agosto 2007
Pagina: 4
Autore: Alan Patarga
Titolo: «Lettere dal fronte»
Dal FOGLIO del 28 agosto 2007:

Conflitti settari, assenza della legge, violenza indiscriminata. Questa non è la fotografia di una qualunque località dell’Iraq e tantomeno quella di Baghdad. Le brigate americane che si sono recentemente aggiunte al contingente hanno prima di tutto preso parte a una controffensiva che ha avuto come obiettivo le aree circostanti la capitale, riuscendo a interrompere l’afflusso di attentatori suicidi e negando la possibilità di trovare un rifugio ai militanti di al Qaida. Il risultato? Gli attacchi contro i civili sono al minimo registrato negli ultimi sei mesi e gli attentati con camion e autobomba in stile qaidista sono diminuiti del 50 per cento”. Potrebbe sembrare l’anteprima del rapporto che, il prossimo 11 settembre, il generale David Petraeus presenterà al Congresso degli Stati Uniti. Invece è la lettera di sette militari americani che hanno deciso di rispondere ai sette loro commilitoni che, con ampio risalto, avevano denunciato alcuni giorni fa sul New York Times “il fallimento” della strategia militare di Washington in Iraq. I sette soldati favorevoli all’operazione Phantom Thunder – David Bellavia, Pete Hegseth, Michael Baumann, Carl Hartmann, David Thul, Knox Nunnally e Joe Worley – hanno provato a replicare ai loro commilitoni sulle stesse colonne del quotidiano liberal newyorchese, ma senza fortuna: la loro lettera è stata cestinata. Così l’ha pubblicata il settimanale Weekly Standard, vicino alle posizioni della Casa Bianca: “Basta prendere l’esempio della provincia di al Anbar – scrivono i reduci dell’Iraq, tutti membri dell’organizzazione Vets (veterani) for Freedom – Nel 2006 al Qaida controllava la capitale Ramadi e l’intelligence dei marine la considerava una provincia perduta a tutti gli effetti”. Un rapporto trapelato in quei giorni faceva capire che non c’era nulla o quasi che le truppe della coalizione potessero fare: “Oggi Ramadi è una città pacificata – sottolineano invece i soldati favorevoli al piano Petraeus – e Anbar non è più un rifugio per al Qaida. Il risveglio tribale che ha portato alla riconciliazione politica e alla stabilità è stato il primo frutto dell’opera di messa in sicurezza della regione. Gli americani, infatti, non hanno soltanto ripulito Ramadi, ma l’hanno presidiata in ben 65 punti. Ciò ha consentito ai capitribù di mettersi contro gli occupanti qaidisti. Sulla scorta di questo successo le truppe americane e irachene stanno garantendo la sicurezza anche nelle province di Diyala e Babil”. I sette firmatari della lettera pubblicata dal Weekly Standard non attaccano direttamente i loro colleghi ancora sul campo (“fanno parte della 2a Brigata della 82a Divisione aviotrasportata, responsabile delle due zone più pericolose di Baghdad: Adihamiyah e Sadr City e hanno visto il peggio che al Qaida e l’Esercito del Mahdi possono offrire”, scrivono), ma la lettura che i mainstream media americani hanno dato del loro resoconto iracheno (“sicuramente accurato e onesto”). “Il fatto è che gli iracheni e i soldati nel settore di loro competenza – scrivono i sette di Vets for Freedom – non hanno ancora potuto apprezzare completamente i risultati della controffensiva che, è bene ricordarlo, è cominciata da appena due mesi”. “Quello che le forze americane e irachene stanno facendo per la prima volta dall’inizio di questa guerra – è il punto evidenziato dai militari sostenitori della strategia della Casa Bianca – è garantire sicurezza duratura alla popolazione dopo aver espulso dai quartieri più a rischio i cosiddetti insorti. Comprendiamo la frustrazione dei nostri commilitoni. Tutti noi eravamo in Iraq prima del ‘surge’, ma a dire il vero prima ci limitavamo a ripulire i settori di nostra competenza senza poi tenere la posizione. Spiace che i nostri amici della 82a non abbiano potuto ancora toccare con mano i benefici di questa strategia, ma essa garantirà un senso alle loro azioni e farà sì che i loro fratelli in armi non siano caduti invano”.

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