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Il Giornale Rassegna Stampa
27.08.2007 Diritti umani in Iran
il caso Pegah potrebbe avere una svolta positiva, ma il regime degli ayatollah è sempre più repressivo

Testata: Il Giornale
Data: 27 agosto 2007
Pagina: 10
Autore: Gaia Cesare - la redazione - Gian Micalessin
Titolo: «Svolta nel caso Pegah: "La lesbica iraniana non sarà rimpatriata - La lapidazione deve avvenire in pubblico - La pena per i gay ? Da 100 frustate al patibolo - Teheran dà la caccia ai barbieri "Basta acconciature immorali"»

Dal GIORNALE del 27 agosto 2007 un articolo sul caso di  Pegah Emambakhsh, lesbica iraniana rifugiata in Gran Bretagna ( pagina 10):

Se fosse costretta a tornare in Iran rischierebbe la tortura, almeno cento frustate, e se fosse accertata la recidività, la condanna sarebbe la lapidazione o l’impiccagione. E allora meglio morire che tornare nel suo Paese d’origine.
Pegah Emambakhsh è lesbica. È questa la sua «colpa», è questa la sua macchia per un regime inflessibile nei confronti degli omosessuali. Così nel 2005 - allora aveva 38 anni - fugge dal suo Paese passando dalla Turchia e approda nel Regno Unito. A casa lascia due figli, nati da un matrimonio combinato, e una compagna, condannata alla lapidazione perché il suo amore di donna per un’altra donna è stato già giudicato «immorale» da Teheran.
Pegah oggi è al centro di un caso internazionale in cui l’Italia potrebbe giocare una parte decisiva. Perché dopo il suo approdo nel Regno Unito, lo scorso 13 agosto, è finita in un carcere, a Yarls Wood, nei pressi di Sheffield: la richiesta di asilo politico sarebbe stata respinta perché la giovane non sarebbe stata in grado di provare la sua omosessualità. Ora l’Italia si è mobilitata, lanciando la proposta di sostituirsi a Londra. L’idea di offrire asilo alla donna è stata lanciata dal ministro per i Diritti e le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, e la mobilitazione e l’attenzione mediatica attorno al caso potrebbero presto portare a una svolta. Lo conferma al Giornale, pur mantenendosi cauta, Patrizia Sentinelli, sottosegretario agli Affari Esteri: «La situazione è ancora molto incerta. Ma ci auguriamo che possa farsi più chiara nelle prossime ore. Noi stiamo premendo per arrivare a una soluzione prima possibile». Insomma, già da oggi le pressioni del governo italiano potrebbero portare i primi frutti. Londra, d’altra parte, non si è mostrata contraria a spostare il caso sul fronte italiano e a lasciare che Roma conceda l’asilo a Pegah. Ma il sottosegretario Sentinelli lascia intendere al Giornale che il pressing italiano possa spingere Londra a rivedere la decisione: «Che il caso si risolva in Inghilterra ci sembra il modo più conforme per chiudere questa vicenda. Siamo in continuo contatto con il governo inglese, che sta procedendo alla verifica dello status di rifugiato. In ogni caso, Londra ha offerto ampia disponibilità perché Pegah possa venire in Italia se in Inghilterra non ci fossero le condizioni per accettare la sua richiesta di asilo. In un modo o nell’altro speriamo di chiudere presto, forse già domani ) e in modo positivo, questa triste vicenda».
Intanto la storia di Pegah, che poco risalto ha avuto sui media inglesi, non poteva lasciare indifferente Arcigay e Arcilesbica. Oggi a Roma si terrà un sit-in di fronte all’ambasciata britannica per chiedere a Londra la concessione dell’asilo politico. «Quello che è successo è sorprendente - spiega al Giornale l’onorevole Franco Grillini -. C’è una donna in Iran condannata alla lapidazione e un’altra, nell’evoluta Europa, che rischia di essere rimpatriata nel suo Paese e fare la stessa fine. Per questo domani (oggi, ndr), saremo in piazza, per dire il nostro «no». E per sollecitare il nostro governo a prendere posizione una volta per tutte». Grillini poi si spinge a un’amara considerazione: «La stretta contro gli omosessuali in Paesi come l’Iran, l’Egitto e l’Arabia saudita è il segno di un peggioramento nel trattamento dei gay, legato all’influenza dell’integralismo islamico».

Un articolo sulla crudele pena della lapidazione in uso nella Repubblica islamica di Iran (pagina 10) :

La lapidazione è praticata in diversi Paesi dove vige la sharia, la legge coranica, come l’Iran, l’Arabia Saudita e alcuni Stati della Nigeria. La sharia prescrive l’esecuzione mediante lapidazione per le persone - donne e uomini - riconosciute colpevoli di relazioni extraconiugali. Il codice islamico descrive puntigliosamente sia i criteri per infliggere una condanna sia le modalità del crudele supplizio.
Gli adulteri devono essere colti in flagrante e il reato deve essere suffragato dalla testimonianza di quattro uomini, una prova quasi impossibile da acquisire. Per ogni testimone di sesso maschile mancante, serve la deposizione sotto giuramento di due donne, in quanto in molti Paesi islamici la testimonianza di una donna in tribunale vale la metà di quella di un uomo.
Le esecuzioni avvengono generalmente in pubblico. Le pietre non devono essere né troppo grandi, per evitare una morte troppo rapida, né troppo piccole, per non prolungare eccessivamente la tortura. Tra i carnefici vi sono generalmente un magistrato e i rappresentanti della parte lesa, anche donne. Tra un lancio di pietre e l’altro devono essere recitati versetti coranici.
I condannati vengono sepolti nella terra o nella sabbia ricoperta di pietre, gli uomini fino alla cintola e le donne fino alle ascelle. Se riescono a divincolarsi e a fuggire, devono essere graziati e tornare a piede libero. Le diverse modalità penalizzano tuttavia le donne, che difficilmente riescono a liberarsi con il corpo quasi completamente conficcato nella terra.
Nel 1999, sull’onda della liberalizzazione della stampa in Iran, un quotidiano pubblicò il parere di un esperto, secondo cui la mortale tortura con il lancio delle pietre è «contraria all’insegnamento» di Maometto e non è contemplata dal Corano. Nel libro sacro dell’Islam, la lapidazione è prevista solo per i «nemici del Profeta», mentre agli adulteri è riservata la flagellazione, secondo quanto ha affermato lo studioso iraniano, Farhad Behbahani.

Uno sugli articoli del codice penale iraniano che sanciscono la  persecuzione degli omoessuali (pagina 11):

Ecco le pene previste dal codice penale iraniano per gay e lesbiche. Nella Repubblica islamica, negli anni bui del khomeinismo, gli uomini accusati di rapporti omosessuali con minori di 15 anni venivano lapidati, mentre negli ultimi anni si sono registrate soltanto impiccagioni. Nessuna notizia di donne impiccate o lapidate per omosessualità anche se sono diverse quelle condannate a morte per adulterio.
DONNE
Articolo 134: «Se due donne senza vincoli di parentela si sono distese nude sotto la stessa coperta, senza necessità, saranno condannate a meno di 100 frustate. Se il reato e la punizione dovessero ripetersi tre volte, riceveranno 100 frustate». Art. 129: «La punizione per le tribadi (donna omosessuale) è di 100 frustate». Art. 131: «Alla quarta volta, la punizione è la morte».
UOMINI
Articoli 108-119: «La sodomia, attiva e passiva è punita con la pena di morte se entrambi i sodomiti, attivo e passivo, sono adulti, sani di mente e consenzienti. Le modalità dell’esecuzione sono a discrezione del capo del tribunale della sharia. Se il sodomita passivo è minorenne, verrà punito con 74 frustate. I sodomiti saranno riconosciuti colpevoli se confesseranno quattro volte o attraverso la testimonianza di quattro uomini di provata virtù».

E uno sulle ultime disposizioni repressive del regime, contro tagli di capelli "satanici" e tatuaggi (pagina 11):

La battaglia per la fede comincia dalla poltrona del barbiere. Gli acconciatori e i tagliacapelli iraniani lo sanno bene. Da qualche settimana i «monkerat», le pattuglie specializzate nella lotta al vizio, li tengono nel mirino. Forbici e rasoi sono i nuovi strumenti dell’immoralità, gli arnesi del demonio colpevoli di aver disegnato chiome e zazzere in stile occidentale. Ogni «figaro» lo sa bene, soprattutto se annovera tra la propria clientela schiere di giovani poco disposti a inneggiare al presidente Mahmoud Ahmadinejad. Sono i giovani con troppi grilli per la testa. Per loro i barbieri «corrotti» hanno sempre pronto un catalogo scaricato da internet. Lì c’è tutto quello che un «pervertito» in erba può sognare di farsi crescere in testa. Chiome a cresta di gallo, zazzere colorate, sofisticate sculture scolpite a rasoiate e ravvivate a tinte vivaci. Tutto quel che turba la decenza e l’ordine dei viali di Teheran. La nuova parola d’ordine, dunque, è chiudere i saloni dell’immoralità.
«In sue settimane abbiamo già sospeso la licenza a 13 saloni d’acconciature maschili colpevoli di non aver rispettato le direttive», ha annunciato il comandante della polizia Mohammed Alì Najafi. Le direttive, diffuse dal sindacato barbieri, mettono all’indice i tagli all’occidentale, la brillantina, le pomate, lo sfoltimento delle sopracciglia e qualsiasi altro trattamento estetico capace di turbare il ruvido decoro islamico fatto di barbetta e sfumature alte. A spiegare ai cittadini la nuova campagna di moralizzazione ci pensano i reporter della televisione di Stato. Spetta a loro infiltrarsi nei centri di ritrovo giovanile, documentare la devianza, spiegare le connessioni tra le nuove acconciature e i tentativi occidentali di sovvertire la Repubblica Islamica.
In un reportage un zelante giornalista si mescola ai giovani frequentatori di un centro commerciale, racconta di star realizzando un servizio sui tagli alla moda, inquadra un ciondolo appeso al collo di un ragazzo. «Questo – spiega l’ingenuo - è il simbolo degli adoratori di Satana». Un secondo gli mostra una maglietta piena di scritte in inglese. Un altro esibisce un tatuaggio. «L’ho fatto con la lama di un rasoio... è il nome di un cantante americano». Infine il barbiere del centro commerciale spiega candidamente quel che sa. «Alcuni di questi ragazzi mi chiedono di tingergli i capelli. Molti amano la musica heavy metal, alcuni dicono di adorare Satana». Il giornalista tira le sue prime conclusioni. «Alcuni di questi ragazzi sono satanisti, praticano una religione sviluppatasi nel 19º secolo in Inghilterra e appoggiata dagli ebrei e dai capitalisti americani».
Mentre sullo schermo riecheggiano ritmi e immagini di complessi heavy metal, lui tempesta di domande altri ingenui passanti. Uno ha una cresta da cedrone alta venti centimetri, dalla fronte alla nuca. «Il mio taglio si chiama fascista, ma non so spiegarti perché - risponde al curioso giornalista - che ragioni dovrei avere per essermelo fatto, non lo so neanch’io, non so perché l’ho scelto, mi piaceva e basta». Un altro ragazzo mostra un bracciale con uno strano simbolo. Neanche lui sa dire perché lo porti. «L’ho visto sulla tv via satellite, è il simbolo di un artista rap, ma non ho idea di che cosa significhi». L’inviato, invece, lo sa bene e lo spiega agli spettatori. «Rap e heavy metal sono gli stili musicali in cui vengono usate le espressioni più indecenti, fanno di tutto per incoraggiare gli ascoltatori alla violenza, alla paura, alla mancanza di disciplina, all’insofferenza e alla paranoia». La telecamera cattura, intanto, due ragazzotti dai modi effeminati. «Gli uomini si comportino da donne e le donne da uomini», bisbiglia uno. «Guarda com’è carino, guardalo com’è bello», strilla l’altro. Musica per le orecchie del giornalista che - all’inquadratura successiva - già sentenzia. «Un tipo di abbigliamento e acconciatura assai diffuso è quello degli omosessuali, ma molti di questi sfortunati ragazzi manco sanno di essersi agghindati da omosessuali». Quanto basta, insomma, per sprangare i barbieri corrotti e gli altri covi del vizio

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