Nonie Darwish, dissidente araba e fautrice della pace con Israele un ritratto di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 24 agosto 2007 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «L’egiziana che ha perdonato gli israeliani per la morte di suo padre»
Dal FOGLIO del 24 agosto 2007:
Nonie Darwish ha un invidiabile “nasab”, il merito acquisito in virtù degli antenati, uno dei pilastri della società arabo- islamica. Dissidente egiziana, Nonie è figlia del generale Mustafa Hafez, il fedayin glorificato come “martire” da Nasser e responsabile dell’uccisione di 400 soldati israeliani. In un’intervista ad al Arabiya, prima di visitare Israele, Nonie disse: “Sono venuta per dirvi che vi perdono per aver ucciso mio padre e vi chiedo di perdonarci per il terrorismo e le uccisioni di cui ci siamo macchiati”. Cresciuta nella Gaza sotto controllo egiziano e al Cairo all’epoca in cui Nasser si era lanciato nell’impresa di unire il mondo arabo contro Israele, Nonie è oggi una paladina del fronte antifondamentalista. La sua vita e le sue idee animano il best seller “Now they call me infidel”. Nella commemorazione del padre, Nasser si rivolse a Nonie: “Chi vendicherà la sua morte uccidendo gli ebrei?”. Nonie inizia l’intervista con una preghiera ai “veri eroi che vivono nel mondo arabo, i dissidenti uccisi per quello che dicono. Non dimentichiamo i loro nomi. I media occidentali amano chiamare ‘resistenti’ i terroristi islamici, io dico che sono gli oppressori del popolo arabo. Sono i perpetuatori della tirannia, uccidono gli apostati, i cristiani, le donne, gli ebrei e i musulmani ordinari”. Racconta che nelle scuole elementari di Gaza le venne insegnato l’odio verso gli ebrei. “Oggi è peggio, ci dicevano: ‘Gli arabi sono amici, gli ebrei sono cani’, animali considerati impuri nella cultura araba. Mi veniva detto di non accettare caramelle da estranei perché potevano essere ebrei che cercavano di avvelenarmi. Ho vissuto nel mondo arabo fino a trent’anni, assistendo a tre grandi guerre e alla crescente influenza dell’islam fondamentalista. I cittadini si erano adattati a vivere sotto i dittatori. Le statue e i ritratti dei capi erano ovunque”. Nonie osserva che la maggioranza dei musulmani in occidente è silente di fronte al gorgo che avvelena il mondo islamico. “Gli americani non capiscono che gli arabi hanno imparato a essere indifferenti al terrore prima che arrivassero in America. Il loro silenzio sulle uccisioni non è solo un insulto all’America dopo l’11 settembre, è la loro crudele cultura di odio, terrore, tortura e decapitazioni”. Nonie si è trasferita in America nel 1978, tra le prime di una lunga serie di dissidenti arabi. “Il mio primo lavoro mi venne offerto da una donna d’affari ebrea. Vidi cristiani ed ebrei praticare le rispettive fedi pacificamente. Mi sentii tradita dalla mia cultura d’origine, fautrice di violenza, che parlava di pace solo alla presenza degli occidentali”. Nell’istante in cui il secondo aereo colpì le Torri gemelle, Nonie comprese che il jihad era arrivato in America. “Con orrore ho visto che il paese che mi aveva dato rifugio, protezione e speranza subiva una mostruosa aggressione scaturita dalla mia cultura d’origine. Telefonai a diversi amici musulmani. Tutti cercavano giustificazioni per il terrorismo, negavano qualunque responsabilità della cultura islamica, e concludevano che l’11 settembre era frutto di una cospirazione degli israeliani. Non erano estremisti fondamentalisti: erano musulmani moderati, gente colta che ha girato il mondo. I veri guerrieri della libertà sono gli arabi che vogliono la pace e languono nelle prigioni arabe o sono uccisi per aver firmato trattati di pace, come Sadat”.
“Ogni arabo si ricorderà del voto a Baghdad” Torna sempre carica di tristezza da ogni visita in Egitto, dove vive la famiglia. “Ogni straniero è visto come uno della Cia, ogni ragazza bionda diventa una spia sionista. C’è sempre questa cospirazione, questa rabbia”. E’ scettica su una riforma dell’islam. “Una vasta campagna, all’opera dopo l’11 settembre, si preoccupa di tutelare l’immagine dell’islam. Ma non affronta la necessità fondamentale di imprimere una riforma all’islam, rividere i versetti dell’odio. Nutro un prudente ottimismo che il lato migliore della natura umana finirà col prevalere”. E’ orgogliosa di vivere in un paese che ha liberato decine di milioni di musulmani. “In Iraq, Bush ha dato agli arabi la possibilità di sperimentare la libertà. Gli stessi che criticarono Bush padre per non averlo fatto nel 1991, sono gli stessi che criticano il figlio perché lo ha fatto. I terroristi non si trovano casualmente in medio oriente. Il mondo islamico ha allevato generazioni a morire per 72 vergini. Jinni è uscita dalla bottiglia, ora i leader arabi non possono rimettercela. Dobbiamo celebrare le libertà che l’America ci ha dato estendendo la nostra compassione alle vittime del terrore che ci siamo lasciate dietro nei paesi di origine. Non ho perso la speranza perché gli iracheni hanno votato per i loro leader, niente sarà come prima. Ogni arabo dopo l’Iraq si ricorderà di cosa significa essere liberi. E’ un punto di non ritorno. Ricordo gli egiziani che nel 2005, al tempo delle elezioni a Baghdad, chiesero all’America di fare lo stesso. Fra dieci anni celebreremo Bush come l’eroe della democrazia in medio oriente”. Da dissidente che conosce il prezzo della libertà, Nonie spende le ultime parole contro il cinismo occidentale. “Gli iracheni hanno sconfitto il terrore uscendo di casa e andando a votare. Quanti occidentali avrebbero fatto lo stesso in quelle condizioni?”.
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