La legge di Hamas a Gaza un reportage di Rolla Scolari
Testata: Il Foglio Data: 24 agosto 2007 Pagina: 3 Autore: Rolla Scolari Titolo: «NELLE STRADE DI GAZA»
Per il FOGLIOdel 24 agosto 2007:
Per le strade della città di Gaza i membri delle Forze esecutive di Hamas, in uniforme della polizia o camicia nera, fermano le automobili: controllano revisione e licenze dei tassisti. A chi non è a posto con i documenti ritirano la patente. Dopo sei mesi di guerra civile strisciante e cinque giorni di violenza bellica, dopo la presa del potere del movimento islamista a Gaza, la Striscia e la Cisgiordania sono due entità separate non soltanto fisicamente. A Ramallah c’è il governo guidato da Salam Fayyad, appoggiato dalla Comunità internazionale. Nella Striscia, le regole le detta Hamas, ma la confusione è molta. Abu Mazen ha ordinato ai cittadini di Gaza di non pagare le bollette di gas, acqua ed elettricità, per evitare che i soldi finiscano nelle tasche dei rivali di Hamas, ma le Forze esecutive passano di porta in porta e qualcuno si è trovato a corto di corrente dopo aver rifiutato di saldare il conto: scatenando l’ira della Commissione europea, che paga il conto delle centrali elettriche e che questa settimana ha imposto un temporaneo blackout. A Ramallah, il weekend inizia sabato; a Gaza, Hamas ha stabilito come giorno feriale il venerdì islamico. I funzionari pubblici sono perplessi e c’è chi segue l’una o l’altra fazione. Le Forze esecutive, milizia nata circa un anno fa dalla volontà del ministero dell’Interno del primo governo di Hamas, hanno funzioni di polizia. Controllano il traffico, inaspettatamente ordinato; arrestano i ladri e gli spacciatori. Le prime reazioni dei cittadini della Striscia dopo l’instaurazione di Hamas, riprese con enfasi dalla stampa internazionale, sono state ottimistiche: le persone, dopo mesi di violenze, scontri tra fazioni e insicurezza hanno ripreso a uscire persino di sera. La scorsa settimana, le Forze esecutive hanno raccolto, in parte, le armi del potente clan dei Doghmush, legato al sequestro del corrispondente della Bbc, Alan Johnston. Ma la luna di miele sembra volgere al termine e crescono i timori per alcune mosse del movimento che vanno molto oltre il mantenimento dell’ordine. La stampa ha parlato di una maggior sicurezza a Gaza dopo l’avvento del Movimento per la resistenza islamica. “Ma è possibile utilizzare quest’argomento soltanto se si guarda alla sicurezza da un punto di vista superficiale – dice al Foglio Mahmoud Abu Rahma, di al Mezan Center for Human Rights, a Gaza – Gli scontri tra le fazioni sono terminati; certi crimini convenzionali sono diminuiti, come i furti. Ma c’è ancora violenza, violenza domestica, e non posso parlare di sicurezza in assenza di rule of law”. Pensa al vuoto istituzionale. Non c’è, infatti, un pubblico ministero al lavoro, non c’è polizia legittima, non ci sono tribunali. Se qualcuno è arrestato dalle Forze esecutive è interrogato e trattenuto, ma non è possibile processarlo, perché i giudici e i magistrati che rispondevano all’Autorità nazionale palestinese non sono pronti a mettersi al lavoro in assenza del potere centrale. Si è parlato, nelle settimane passate, di una volontà di Hamas d’istituire a breve nuove corti. Secondo il giovane Abu Rahma, esiste, dopo appena due mesi dagli scontri di giugno, un embrionale movimento di dissidenza emergente contro Hamas. “Ci sono arresti politici, succede ogni giorno – continua – a volte tengono la gente soltanto per poche ore per interrogarla. Si tratta, per la maggior parte, di membri di Fatah”. La sua organizzazione, come anche il Palestinian Center for Human Rights, sempre a Gaza, ha rilevato casi di violazione dei diritti umani da parte del nuovo potere di Hamas, e li ha descritti online, in comunicati disponibili in inglese e in arabo. Pochi giorni fa Ahmed Mughani, ex procuratore generale, vicino a Fatah, è stato arrestato per alcune ore e interrogato dalle Forze esecutive con l’accusa di aver trattenuto materiale sensibile e documenti definiti pericolosi. Il 13 agosto una manifestazione dei partiti membri dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in protesta contro la limitazione delle libertà è stata dispersa, in maniera violenta, sempre dalle Forze esecutive. La sera prima, il ministero dell’Interno di Hamas ha reso pubblica la decisione di bandire ogni manifestazione senza permesso. Prima, era necessario soltanto “notificare” la polizia con 48 ore d’anticipo per permettere alle forze armate di garantire la sicurezza dei manifestanti e il flusso del traffico. Walid al Awad è uno degli organizzatori della protesta. E’ un membro di Hizb al Shaab. Siede sulla terrazza di un bel hotel davanti al mare di Gaza, a pochi passi da una spiaggia insozzata da quattro giorni di sciopero dei netturbini a causa del mancato pagamento dei salari. Racconta al Foglio che quando “le persone hanno iniziato a raggrupparsi, membri delle Forze esecutive hanno impedito alla gente di raggiungere la piazza del Milite ignoto”, dove si teneva la manifestazione. “C’erano circa mille dimostranti (300 per l’Associated Press, ndr). Le forze di sicurezza hanno iniziato a usare bastoni di legno. Un amico ha cercato di proteggermi con il suo corpo, suo figlio è rimasto ferito. Hanno sequestrato il mio telefonino e lo hanno tenuto due ore. Come al solito, un portavoce del ministro della Giustizia (di Hamas) ha fatto sapere che si è trattato di scontri per motivi personali”. Alla manifestazione, il cameraman dell’emittente satellitare di Abu Dhabi, Mohammed al Sawalhi, è stato assalito, assieme alla squadra di Ramattan, l’agenzia di stampa palestinese. Il 10 agosto, a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, 18 persone (diverse fonti riportano dati leggermente differenti) legate a Fatah sono state arrestate. In seguito, un gruppo di donne ha marciato verso la stazione della polizia gestita dalle Forze esecutive, per chiedere notizie dei propri figli e mariti. Gli uomini di Hamas, secondo i testimoni, hanno iniziato a sparare in aria per disperdere la folla, poi hanno usato bastoni in legno provocando la dura reazione degli abitanti del quartiere, che hanno iniziato a lanciare sassi. Sono seguiti scontri, pestaggi, arresti. Più tardi, sempre nella stessa cittadina, una festa di nozze, celebrata tradizionalmente per strada, è stata presa d’assalto dalle forze di sicurezza. Un cameraman ha ripreso la scena, mandata in onda dalla televisione palestinese e reperibile su YouTube. Le Forze esecutive irrompono alla festa, i Suv un tempo guidati dagli agenti della sicurezza dell’Anp travolgono le sedie in plastica, gli uomini armati picchiano con bastoni di legno. Al matrimonio erano esposte bandiere di Fatah, fotografie dell’ex uomo forte della Striscia, Mohammed Dahlan, e si cantavano inni di Fatah. “Fatah la madre dei cittadini”, è il titolo di uno. “Le tue onde sono molto forti Yasser (Arafat) il tuo sangue non è mai stato dimenticato, dietro di te c’è un terremoto chiamato Sami Madhoun”, celebre comandante di Fatah ucciso nelle ultime ore del conflitto di giugno. Quanto basta per far infuriare Hamas, anche se le giustificazioni ufficiali sono diverse: motivazioni personali di alcuni agenti; presenza al matrimonio di elementi che complottavano contro Hamas; intervento contro i tradizionali spari celebrativi in aria, vietati qualche settimana fa dal movimento. Abu Jaafar, membro a Beit Hanoun del Fplp, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, era presente durante gli scontri. A piedi nudi, con un paio di bermuda, sembra arrivato dalla spiaggia. “C’è una sorta di riorganizzazione non militare ma popolare di Fatah – spiega – i matrimoni diventano manifestazioni con bandiere di partito”. Dice che non si tratta soltanto di una faida tra Hamas e quel che resta di Fatah a Gaza. Altri gruppi iniziano a manifestare dissapori. Perfino il Jihad islamico, vicino a Hamas, ha firmato un comunicato, assieme al Fplp di condanna delle Forze esecutive dopo gli eventi del matrimonio. Lo tira fuori dalla tasca e lo legge ad alta voce. “Non possono permettersi di perdere la strada e la strada era arrabbiata”, spiega. Mohammed Kafarna, 22 anni, anche lui del Fplp, mostra il piccolo pezzo di carta, ancora con i simboli dell’Anp, con la richiesta di presentarsi alla stazione di polizia (delle Forze esecutive) alle 7 di sera dello stesso giorno, perché “necessario”. Lui è convinto di sapere il motivo: “Durante il matrimonio, mentre picchiavano bambini e donne, ho detto che non era giusto”. Magd Houe, sulla ventina, mostra ridacchiando un livido dietro la spalla. Si è preso una bastonata nella mischia mentre tornava dalla stazione di polizia dove suo fratello, di Fatah, era stato portato poche ore prima, sempre il giorno della festa di nozze. A poca distanza, è appena terminato un altro matrimonio. Tra i festoni, alcune bandiere rosse del Fplp. Migdal Abu Oda, 21 anni, sta impilando le sedie di plastica colorate. Ha un cappellino da baseball in testa. Sotto, una benda spessa. La fasciatura copre l’intera testa. Anche lui era alla festa dei pestaggi e i dottori gli hanno dovuto dare, in seguito a una bastonata, 15 punti. I suoi due fratelli, nelle ore precedenti, erano stati arrestati e trattenuti due giorni. Camminano a malapena. Migdal, prima del golpe di Hamas, era membro della Forza presidenziale; ora fa qualche lavoretto ai matrimoni. Le Forze esecutive hanno anche fermato alcuni distributori di giornali in arrivo dalla Cisgiordania e da Gerusalemme (al Hayat al Jadida, al Quds, al Ayyam), perché, a detta degli stessi membri della milizia, i quotidiani contenevano articoli contro Hamas. L’organizzazione, qualche settimana fa, ha richiesto l’interruzione dell’emissione “The red line”, programma settimanale, talk show di Hassan al Kashef, giornalista laico, critico nei confronti del movimento islamista: “Sono stato chiaro che sono per una legge, un’autorità e un governo legittimo e che sono contro il coup”. Pochi giorni dopo queste esternazioni, una lettera non firmata è arrivata all’agenzia Ramattan, che ospita il programma, dal ministero dell’Informazione di Hamas: ordinava alla televisione di non mandare più in onda lo show, che è infatti terminato. Il caso più grave, su cui indagano le agenzie per i diritti umani, è quello di Walid Abu Dalfa, arrestato con il fratello con l’accusa di collaborazionismo con Israele e morto sotto custodia delle Forze esecutive. Secondo un comunicato del Palestinian Center for Human Rights, i dottori dell’ospedale Shifa dove gli stessi membri della milizia avrebbero condotto l’uomo, gli hanno trovato addosso “lividi” ed “ematomi”. L’ex ministro degli Esteri di Hamas, Mahmoud Zahar, parla invece di una nuova sicurezza. “Controlliamo le violazioni, in accordo con la legge”, dice al Foglio. Indossa una specie di sahariana. “Stiamo riformando il sistema di giustizia. Per quanto riguarda i soldi stiamo soffrendo, ma oggi abbiamo pagato i salari dei funzionari governativi”. Tuttavia, dalla presa di potere di Hamas la chiusura dei valichi, imposta da Israele, blocca completamente le esportazioni delle società della Striscia e secondo la Bbc le compagnie hanno perso in due mesi 23 milioni di dollari. Zahar siede nel suo ufficio al ministero degli Esteri, un palazzo di due anni, nuovo ma già fatiscente, mai rifinito. Gli ascensori non funzionano e davanti alla porta d’ingresso della sala del ministro un’enorme parte di muro ristrutturata alla buona e non imbiancata ricorda dove i bombardamenti israeliani hanno colpito, durante l’operazione dell’anno scorso, in seguito al rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit. Con una guardia in camicia nera delle Forze esecutive, si parla di barzellette. Apparentemente da quando Hamas è al potere, a Gaza ne circolano molte. Prima si rideva con le storielle inventate dai vicini egiziani. Il giovane di Hamas, poco sorridente, dice di averne una buona: “Da quando il movimento è al potere le macchinette dei bancomat non distribuiscono più soldi, ma datteri”, importante simbolo religioso islamico. Con uno o tre datteri si rompe quotidianamente il digiuno nel mese sacro di Ramadan. “Non credete alle storie fabbricate – dice Zahar riguardo agli episodi degli ultimi giorni, manifestazione e matrimonio – Ieri hanno detto che ero stato colpito da un missile. Al matrimonio a Beit Hanoun hanno messo un cameraman, hanno rubato le armi ai poliziotti e le Forze di sicurezza hanno inseguito persone per riprendere le pistole. Non metto in dubbio che ci siano violazioni, ma si tratta di episodi personali. Ci sono 5.000 uomini della sicurezza; prima erano 80 mila e non facevano nulla. Sono sotto pressione. Non tutti sono di Hamas. Alcuni di loro sono stati licenziati. Detenzioni politiche? Le associazioni per i diritti umani facciano nomi”. Alcune delle recenti mosse di Hamas, spiega ancora Mahmoud Abu Rahma di al Mezan, “possono essere in reazione al comportamento di Fatah contro i membri del movimento in Cisgiordania”. Soprattutto nei primi giorni di gestione separata del potere, in seguito al coup militare di Gaza, le detenzioni di membri di Hamas in Cisgiordania sono state centinaia, la maggior parte arbitrarie e le accuse di trattamenti fisici brutali sono frequenti. Le istituzioni e gli uffici delle associazioni legate a Hamas sono stati assaliti da uomini armati legati a Fatah, e spesso distrutti o dati alle fiamme soprattutto in centri come Nablus, dove il movimento islamista è politicamente forte. Lo stesso governo di Ramallah continua a sopravvivere grazie a decreti presidenziali, ma dopo i primi 30 giorni di “emergenza” la sua legalità non è stata ratificata dal Parlamento, perché l’Assemblea è a maggioranza Hamas. Gli aneddoti politici vogliono che l’organizzazione islamista sia spaccata: un’ala pro dialogo con Ramallah, una contro. Per Zahar non c’è alcuna frattura: “Ahlan wa sahlan (benvenuto) al dialogo con Fatah, ma senza precondizioni”, dice. Il 18 agosto, Abu Mazen ha tagliato gli ultimi legami con Hamas, organizzazione messa fuorilegge in Cisgiordania subito dopo il golpe di Gaza: il rais, con decreto presidenziale, ha dichiarato illegali tutte le cariche dei membri del Movimento islamista all’interno del governo.
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