Per Bush Baghdad non dovrà cadere come Saigon e anche molti democratici si stanno convincendo che in Iraq ci sono progressi
Testata: Il Foglio Data: 23 agosto 2007 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Democratici spiazzati da Petraeus, pure Obama vede progressi in Iraq»
Da Il FOGLIO del 23 agosto 2007:
New York. Improvvisamente la battaglia politica americana sull’Iraq ha cominciato a cambiare direzione. Fino a poche settimane fa, giornali liberal e oppositori politici del “surge”, cioè dell’invio di ulteriori 30 mila soldati americani deciso a gennaio da George W. Bush, giudicavano la guerra ormai “persa” e ogni sforzo della Casa Bianca inutile, se non dannoso. Ora, il generale David Petraeus è riuscito a convincere quasi tutti, compresi parecchi big del Partito democratico, dal presidente della Commissione Difesa, Carl Levin, fino ai singoli deputati che in queste settimane sono andati in Iraq a vedere con i loro occhi che cosa sta succedendo. Hillary Clinton è stata costretta ad ammettere che la nuova strategia militare in Iraq “sta funzionando”, peccato, dice, sia arrivata “troppo tardi” (ma lei era contraria all’aumento delle truppe). Barack Obama, di fronte alla platea di Kansas City con i reduci delle guerre americane all’estero, ha detto che non aveva dubbi che un maggiore impegno militare avrebbe migliorato la situazione sul campo (anche se, fino a poche settimane fa, diceva il contrario), ma secondo lui resta il fatto che in Iraq una soluzione militare non è sufficiente, quindi meglio tornarsene a casa. Il gruppo dei deputati democratici moderati, i cosiddetti Blue Dogs, rumoreggiano contro la leadership del partito ancora con le antenne sintonizzate sul sentimento pacifista e disfattista ben saldo tra i militanti democratici. Il Washington Post scrive senza giri di parole che il Partito democratico ora non sa più che pesci pigliare, perché aveva programmato una ripresa settembrina dei lavori congressuali all’attacco, ma ora ha capito che l’aria è cambiata, cioè che la strategia militare degli uomini di Bush sta funzionando e che non si potrà ignorarlo. I conservatori provano a sfruttare la novità e, a partire dalla prossima settimana, cominceranno una campagna di spot televisivi in 20 stati, al costo di 15 milioni di dollari, finanziata dal gruppo Freedom Watch. Sia pure con tutte le riserve e prudenze del caso, questo sembra il momento migliore degli ultimi anni per la dottrina Bush applicata all’Iraq, forse quello della possibile svolta, come confermano stimati analisti di importanti centri studi liberal. Sul terreno, è successo che i militari americani sono finalmente usciti dalle loro basi e hanno cominciato a garantire un minimo di sicurezza nei quartieri di Baghdad e nelle zone dell’Iraq dove sono stati dislocati. Il nuovo esercito iracheno è cresciuto e migliorato e, soprattutto, sceicchi e tribù che in questi anni, come era stato programmato da Saddam, avevano alimentato l’insorgenza antiamericana in alleanza con al Qaida, hanno cambiato fronte e adesso stanno con gli americani e il nuovo esercito di Baghdad.
Boicottaggio al Dipartimento di stato Il problema di Bush è che a Baghdad non si registrano altrettanti progressi politici. Il resoconto che l’ambasciatore Ryan Crocker si appresta a presentare al Congresso non è positivo: il governo di al Maliki non ha rispettato gli impegni presi. Bush appare più freddo nei confronti di Maliki, anche se ribadisce che spetta agli iracheni, non agli americani, decidere le sorti del governo. Sul fronte politico, l’unico aspetto positivo è il nuovo coinvolgimento della Francia, il cui ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, un socialista già favorevole alla destituzione di Saddam, è volato a Baghdad per provare una mediazione tra le varie fazioni. I democratici americani sembrano così orientati a mettere in secondo piano l’aspetto militare, che sta andando bene, per concentrarsi sulle difficoltà politiche e continuare su basi nuove a chiedere l’avvio di un ordinato disimpegno dall’Iraq. Petraeus parlerà al Congresso l’11 settembre, seguito da Crocker. Bush ha ricordato – ieri a Kansas City, ma si ripeterà martedì in Nevada – il contesto della guerra irachena, la sfida antitotalitaria simile a quella contro nazismo e comunismo, e le conseguenze disastrose in caso di disimpegno, esattamente come accadde dopo il ritiro dal Vietnam. Eppure, secondo il Washington Post, come da tempo dicono i sostenitori della dottrina Bush, i veri oppositori del presidente si trovano nel suo fronte, all’interno del Dipartimento di stato. L’inchiesta del Post svela che i diplomatici di carriera hanno boicottato le politiche democratizzatrici del presidente. Al punto che a giugno, in un colloquio a Praga con il dissidente egiziano Saad Eddin Ibrahim, Bush ha detto: “Tu non sei l’unico, a Washington anch’io sono un dissidente. La burocrazia negli Stati Uniti non è per il cambiamento. Sembra che Mubarak sia riuscito a lavargli il cervello”.
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