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Il Foglio Rassegna Stampa
23.08.2007 La diplomazia di Peres, i cristiani palestinesi, l'Unione europea e Gaza
tre articoli sul conflitto israelo-palestinese

Testata: Il Foglio
Data: 23 agosto 2007
Pagina: 2
Autore: Rolla Scolari - Salvatore Merlo - la redazione
Titolo: «Israele-Anp, il presidente Peres diventa il mediatore a tutto campo di Olmert - “Dhimmi” di Palestina - Gaza, provaci ancora Ue»
Dal FOGLIO del 23 agosto 2007(pagina 2 dell'inserto), un articolo sul ruolo del presidente israeliano Shimon Peres nella diplomazia mediorentale:

Gerusalemme. Ha in programma un incontro con il rais palestinese, Abu Mazen, e una settimana fa ha ospitato il premier, Salam Fayyad, nella sua residenza di Gerusalemme. Non spetta a un presidente israeliano essere politicamente così attivo. La carica, infatti, è puramente cerimoniale. Ma Shimon Peres, nonostante i suoi 84 anni, 65 di carriera politica, sembra intento a rivoluzionare le funzioni del primo cittadino. Non si tratta di un precedente che segna la trasformazione irreversibile della presidenza, spiega al Foglio Yael Dayan, figlia di Moshe Dayan, considerato uno dei padri fondatori dello stato d’Israele. Per lei, ex deputato laburista, poi attiva nella sinistra di Meretz, la mini rivoluzione ha a che fare con la personalità stessa di Peres. “Quando la Knesset (il Parlamento israeliano) lo ha eletto, i deputati sapevano che il suo ruolo non sarebbe stato soltanto cerimoniale. Non c’era ragione di pensare che non sarebbe stato attivo”. Il colloquio del presidente con Fayyad e il prossimo incontro con Abu Mazen sono stati coordinati con l’ufficio del primo ministro, Ehud Olmert. Peres, dopo un lungo passato nella sinistra, oggi fa parte del centro di Kadima, partito del premier. Sostiene la signora Dayan che il suo ruolo attivo non è antagonista con quello del governo. Al contrario: Olmert ha sostenuto la candidatura. “Sapevano che avrebbero esteso con Peres il governo alla presidenza. Se il presidente raccoglie consensi con le sue azioni, porta credito al governo”. L’unico settennato che può essere paragonato alle prime settimane di Peres è quello di Ezer Weizman (1993-2000). Anche lui, in più di un’occasione, non si limitò al ruolo cerimoniale, come quando invitò, nel 1996, l’ex rais palestinese Yasser Arafat nella sua residenza di Caesarea, sul Mediterraneo. Peres perse nel 2000 la gara presidenziale contro Moshe Katsav, della destra del Likud. Per Gideon Doron, presidente dell’Associazione israeliana per le Scienze politiche, l’insuccesso di allora fu proprio legato alla volontà degli elettori della Knesset di mantenere la presidenza low profile. Su questo si concentrano le prime critiche. “Shimon Peres è un uomo di tante imprese, con molto a suo credito, dicono, ma non può alzarsi sopra la politica e comportarsi da statista”. Il titolo dell’articolo del giornale Makor Rishon-Hatzofe è “L’instancabile presidente”, dal nomignolo dato a Peres, in tempi di rivalità politica, da Yitzhak Rabin, che lo definì “l’instancabile sovversivo”. Oggi, ricorda ancora Yael Dayan, Peres è anche impegnato in un processo di riabilitazione della carica, dopo l’affare Katsav. L’ex presidente, infatti, è uscito di scena dopo essere stato accusato di violenze sessuali. La vicenda ha indebolito l’istituzione stessa della presidenza. Qualcuno, spiega Doron, ha perfino pensato di abolirla. Nei mesi passati, in seguito alla guerra in Libano e alle critiche che hanno colpito l’establishment politico e militare in Israele, si è parlato di una crisi della leadership, di un vuoto lasciato dalla scomparsa, con la malattia dell’ex premier Ariel Sharon, di una generazione di storici statisti e generali. Shimon Peres è l’ultimo dei grandi nomi ancora sulla scena. Olmert, per mesi guida di un governo in bilico sotto i colpi dell’opinione pubblica, ha sicuramente pensato anche a questo il giorno in cui ha deciso di sostenere Peres alla presidenza. Il vecchio leader è anche Nobel per la pace, assieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat. Ha ottenuto il premio, nel 1994, per i negoziati di pace che hanno preceduto gli accordi di Oslo. Dopo mesi di rapporti di possibili guerre e conflitti imminenti, i toni della stampa israeliana sono ora cambiati, in seguito alla scissione tra Striscia di Gaza, in mano a Hamas, e Cisgiordania, controllata dal governo Fayyad, sostenuto dalla Comunità internazionale. E in vista della conferenza annunciata dal presidente George W. Bush, in autunno. “Se Israele sta pensando in termini di pace – dice il professor Doron – Shimon Peres è una gran bell’idea”.

Un'intervista di Salvatore Merlo a  padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, sulla condizione dei cristiani nei territori dell'Autorità palestinese:

Rimini. Era giugno del 2004 quando Pierbattista Pizzaballa, appena 41enne, divenne Custode di Terra Santa e nel convento di San Salvatore, cuore della Gerusalemme cristiana, ricevette dalle mani del suo predecessore il sigillo della custodia: il simbolo detenuto da quel frate francescano designato a “custodire i luoghi della chiesa a nome della chiesa e per la chiesa”, come stabilito sin dal 1342, anno in cui Clemente VI affidò l’incarico di amministrare i luoghi della redenzione ai fratelli di Francesco. Quando padre Pizzaballa fu proclamato, Ariel Sharon era al governo di Israele e Yasser Arafat a capo di Fatah e dell’Autonomia palestinese. Oggi a tre anni di distanza lo scenario politico è radicalmente cambiato. “L’instabilità politica e la mancanza di un controllo del territorio stanno avendo un effetto devastante sulla vita di tutte le minoranze, in particolar modo di quella cristiana”, ha detto il padre francescano, incontrato dal Foglio in occasione del Meeting di Cl. Già nel 2005 Pizzaballa aveva portato l’attenzione sulle condizioni dei fedeli in Terra Santa criticando l’atteggiamento delle forze di polizia dell’Autonomia palestinese che nulla facevano per difendere i cristiani della Cisgiordania, “ma adesso la situazione non è migliore. Certo non c’è una persecuzione anticristiana paragonabile a quella che insanguina e fa inorridire l’Iraq”, è un manifestazione diversa, ma non per questo meno insidiosa, di intolleranza. Il religioso descrive “un fenomeno strisciante, che si verifica nella vita di tutti i giorni, quando ci si accorge delle scelte e dei messaggi foschi che le autorità, sia religiose che civili, lanciano con metodica costanza. E infatti il clima è davvero pesante, l’aria irrespirabile”. Pizzaballa fa riferimento a una generale intransigenza da parte dell’islam nei confronti delle religioni minoritarie in tutto il medio oriente che, sostiene, sarebbe in contrasto con la tradizione e la cultura dell’Islam medievale: “Basta girare le chiese della Giordania ammirando gli splendidi mosaici che le adornano, per comprendere come il clima fosse diverso nel periodo che va dal VI al X secolo dopo Cristo”. Così padre Pizzaballa spiega che in Palestina è in atto una “massiccia islamizzazione del territorio”, riconducibile a ragioni demografiche, ma non solo. I cristiani sono infatti una minoranza, “solo il dieci per cento della popolazione e quella che si innesca contro di noi è una dinamica già nota anche in contesti diversi”: piccole continue pressioni, soprusi e intimidazioni. Tuttavia quella cristiana, forse proprio perché una minoranza, dice Pizzaballa, può avere un ruolo importante nel favorire il dialogo tra i due popoli della Palestina. Una investitura, questa del dialogo, che il frate francescano, studioso accademico di lingua e cultura ebraica, ha sentito di dover raccogliere sin dall’inizio della sua opera da Custode dei Luoghi Santi, perché “noi frati rappresentiamo storicamente la cinghia di trasmissione tra Francesco e il Sultano, ma certo siamo amici del popolo ebraico e per questo possiamo costituire un esempio, offrire testimonianza per entrambi i popoli: dimostrare che una vita diversa, pur in così drammatiche e difficili circostanze, è possibile. Non è infatti sbagliato sostenere che la nostra missione, oltre che custodire i Luoghi Santi, oltre che animare la vita delle comunità cristiane, sia anche quella di essere punto di riferimento e di riconciliazione”. Pizzaballa è consapevole delle difficoltà, “della nostra inadeguatezza”, dice, nel raccogliere questo compito: perché “siamo pochi, la minoranza di una minoranza”. Così, forse, è per questo che, quando gli si chiede cosa possano fare le potenze occidentali per la Palestina, risponde sornione che non sa quanto siano in realtà “potenti”: “La comunità internazionale dovrebbe esercitare una pressione fortissima sui entrambi i governi della regione”. Pizzaballa è un cristiano che del dialogo con l’islam ha fatto la sua strada e la sua missione di vita. Dunque probabilmente anche per questo, pur non risparmiando nessuna critica ai palestinesi e al regime di violenza imposto da Hamas, è caustico nei confronti dei politici israeliani descritti come “bravi ai tempi dei pionieri”, ma a cui oggi mancherebbero secondo lui “visione politica e coraggio”.

Da pagina 3, un editoriale sul comportamento dell'Unione europea nella vicenda delle forniture di gasolio alla centrale elettrica di Gaza (prima sospese e poi riprese)
Ecco il testo:

La decisione assunta dall’Unione europea di sospendere le forniture di gasolio alla centrale elettrica di Gaza, in mano agli estremisti golpisti di Hamas, quando è nato il dubbio che da lì la formazione estremista ricavasse impropriamente fondi per la propria organizzazione, e quella di riprendere le forniture quando quelle preoccupazioni sono state fugate, rappresenta un precedente importante. Dimostra che è possibile, se si agisce con determinazione e intelligenza, distinguere il boicottaggio di regimi considerati pericolosi per la pace e la stabilità da quello della popolazione civile sottoposta alla loro dittatura. Naturalmente per ottenere risultati di questo genere bisogna fare sul serio. Hamas non avrebbe mai accettato un’inchiesta sulla destinazione delle risorse economiche generate dall’erogazione di elettricità se Gaza non fosse stata lasciata al buio per un paio di giorni. Forse se le sanzioni decretate in anni passati contro altri regimi canaglia fossero state gestite con eguale determinazione, non sarebbe poi stato necessario prendere atto della loro inefficacia. Ovviamente la popolazione subisce gli effetti nefasti del dominio di una consorteria terroristica che la considera carne da cannone, che la tiene in ostaggio per cercare di imporre ai cuori teneri una qualche comprensione per la loro causa criminale che, bisogna ricordarlo, consiste in una seconda “soluzione finale” della questione ebraica. Però se la comunità internazionale non si fa abbindolare da questo ricatto falsamente umanitario (con l’eccezione penosa di Romano Prodi e di Massimo D’Alema) ed esercita una seria vigilanza, può assestare duri colpi alla leadership terrorista riducendo i danni per la popolazione civile, che in questo modo è messa in grado di comprendere chi sono i suoi amici e chi i suoi nemici. Questo è importante per oggi e per domani, perché dà la sensazione che non ci si rassegna a pensare a Gaza come a un’inespugnabile enclave terroristica da isolare, ma si punta a una reazione civile dei suoi abitanti contro Hamas che li opprime.

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