Gaza city è lontana solo tre kilometri dal Kibbutz Sa’ad. Oltre ai palazzi, alle case, si vede il mediterraneo. Sa’ad è un Kibbutz agricolo di frontiera, come lo sono molti, creati nei posti difficili per garantire la sicurezza, il controllo di confini non riconosciuti nei trattati internazionali. Gaza, consegnata ai palestinesi nella sua totalità due anni fa, poteva essere l’inizio di uno Stato. Invece le cose sono andate diversamente, come molti temevano. I palestinesi si sono dimostrati incapaci di amministrarsi, e in più hanno mandato al potere Hamas, che, da Gaza, ha continuato la guerra contro Israele. Abbiamo negli occhi le immagini Tv di Sderot colpita dai missili Kassam, la disperazione della popolazione che da anni vive nell’angoscia del suono della sirena che ne annuncia l’arrivo, lasciando 15 secondi per trovare un rifugio. Che sovente non c’è, perchè non si costruiscono rifugi in poco tempo. Ma volevamo vedere come vivevano questa pericolosa atmosfera di attesa uomini e donne non abituati alle telecamere, alle interviste, perciò abbiamo lasciato Sderot e siamo arrivati a Sa’ad, un’oasi di verde e fiori nel deserto del Neghev. Ci ha accolti Susanna Cassuto, è dalla sua casa, che si vede, senza bisogno del binocolo, Gaza e il mare. “E’ da lì che arrivano i Kassam, sì, hanno colpito anche noi, ma per fortuna senza vittime. Hanno una pessima mira, malgrado ciò hanno colpito diverse case, i missili ne hanno sfondato una decina, distruggendo le cose ma non le vite. Ma noi del Kibbutz non abbiamo fatto dichiarazioni in Tv, abbiamo preferito lasciar credere a quei criminali che la loro mira è talmente bislacca che non sono mai riusciti a centraci. E dire che ne sono caduti di Kassam, intorno al Kibbutz almeno una cinquantina”, dice Susanna, una signora mite e gentile ma dall’aria decisa. Ha 71 anni, ed è arrivata in Terra d’Israele nel ’45 insieme ai fratelli Daniel e David ( che negli anni ’90 è stato vice-sindaco di Gerusalemme), “ Mio padre, che a Firenze, dove abitavamo, era medico oculista e divenne poi rabbino della comunità dopo aver perso il lavoro all’ospedale per causa delle leggi razziali, fu catturato dai tedeschi con mia madre, furono portati ad Auschwitz, dove lui resistette a tutte le sofferenze fin quasi all'arrivo dei russi e venne trucidato in una delle marce della morte. Mia madre si salvò e ci raggiunse qui nel ’48. Io e i miei fratetelli eravamo nascosti a Firenze presso famiglie cattoliche e così ci siamo salvati. Io ero presso una famiglia che abitava vicino a San Niccolò,il nonno aveva un commercio di cornici e avevano una figlia più piccola di me, che non ho mai più rivisto, chissà, se leggerà queste righe, la rivedrei molto volentieri.” Susanna vive a Sa’ad da 52 anni, si è sposata e ha avuto 6 figli, “ quando sono arrivata in Israele, pensavo che qui non mi sarebbe mai più successo niente, invece nel ’48 mia madre, che aveva trovato lavoro come praticante infermiera, è rimasta uccisa in un attentato arabo, hanno fatto saltare l’autoambulanza dove lei accompagnava dei malati, e nel ’78 è morto mio figlio Nathan nell’operazione Litani in Libano, dove Tzahal combatteva contro al- Fatah di Arafat” mi dice mentre mi fa visitare il Kibbutz, uno degli ultimi a cambiare regole e stili di vita, che è ancora comunitaria come agli inizi. “ Siamo 165 famiglie, in tutto circa 8oo persone, ci conosciamo tutti, ci preoccupiamo gli uni degli altri, nessuno ha la macchina, ma se a qualcuno serve basta che la prenoti il giorno prima, poi può andare dove vuole”, mi dice mentre guarda i segni lasciati dai Kassam, “ non ci penso, sennò divento matta, e pensare che quando sono andata a fare il militare, mi hanno messo in mano un fucile, ho pensato adesso mi posso difendere, ero anche una buona tiratrice, invece oggi sono qui davanti a Gaza, in un paese con l’esercito fra i migliori del mondo, e questi terroristi primitivi ci scagliano addosso i missili e il nostro governo non usa l’esercito per difenderci e farla finita una buona volta, nessun paese può sopportare a lungo una situazione come questa. A volte penso che siamo nella condizione degli ebrei negli anni ’30 “, conclude, non triste ma combattiva.
Sa’ad in ebraico vuol dire aiuto, sarà un caso. Molti la pensano come Susanna Cassuto, gente pacifica, che non chiederebbe altro che vivere in pace. Gente che non capisce perchè Israele debba sopportare attacchi terroristici sul suo territorio, senza reagire come farebbe qualunque altro stato di questo mondo. Una domanda alla quale, prima o poi, una risposta dovrà essere data. Angelo Pezzana da Libero del 23 agosto 2007 |