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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Repubblica Rassegna Stampa
21.08.2007 L'eccezione dimenticata
in Israele l'omosessualità non è reato

Testata: La Repubblica
Data: 21 agosto 2007
Pagina: 19
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Beirut, la speranza dei gay in fuga dal mondo arabo»
Su REPUBBLICA del 21 agosto un interessante articolo di Francesca Caferri sugli omosessuali nel mondo arabo e sulla relativa sicurezza di cui godono in Libano viene riassunto così:
"Qui come nel resto del Medio Oriente l´omosessualità è reato: ma vige la regola del "vivi e lascia vivere"
Quattro anni fa è nata la prima associazione gay della regione. E poi discoteche, spiagge e ristoranti che attirano clienti da tutta l´area
Il caos politico aiuta gli omosessuali: "I politici sono troppo impegnati a sopravvivere per curarsi di noi"
A REPUBBLICA dovrebbero ricordare che non in tutto il Medio Oriente l'omosessualità è reato. L'eccezione, naturalmente, è Israele.

Ecco l'articolo:



BEIRUT - Il sabato sera Acid è affollato come non mai. Venti dollari di ingresso garantiscono musica e open bar fino alle cinque della mattina, una rarità nei locali di Beirut, dove un solo drink può costare altrettanto. Ma i ragazzi in fila fuori dalla porta non sono qui solo per questo: Acid ha successo perché è una discoteca apertamente gay, un luogo raro in un mondo arabo dove l´omosessualità è un reato che può essere punito con la pena di morte.
Anche in Libano ufficialmente essere gay è contro la legge, ma qui la maggior parte delle volte la polizia chiude un occhio di fronte a locali e spiagge gay friendly. Non altrettanto accade in Iran, in Egitto o in Arabia Saudita: negli ultimi anni per i gay ci sono state retate, arresti, torture e condanne a morte. Per questo decine di omosessuali del mondo arabo ogni anno cercano rifugio in Libano. E per questo nei fine settimana in centinaia, dal Libano e dal resto della regione, si ritrovano in posti come Acid, dove si respira aria di libertà.
«Qui prevale la legge del "vivi e lascia vivere"», spiega George Dazzi. Capelli scuri e fisico asciutto, 28 anni, è il presidente di Helem - acronimo per Protezione libanese per lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ma anche "sogno" in arabo - la prima associazione di omosessuali nel mondo arabo. Nata quattro anni fa a Beirut, Helem è stata la prima a parlare pubblicamente di diritti dei gay in questa parte del mondo: un modello a cui si stanno ispirando gruppi simili nei Territori palestinesi e in Marocco.
Nel week end molti dei suoi membri di ritrovano ad Acid: dentro la discoteca gay, lesbiche, qualche drag queen ma anche molti eterosessuali ballano al ritmo della musica tecno e dell´arab pop di Haifa e Alissa. Le coppie si sfiorano da vicino ma stanno ben attente a non toccarsi: l´articolo 534 del Codice penale libanese punisce chi compie reati "contro natura" e gli addetti alla sicurezza vigilano che nessuno si baci o si tocchi, atti che sarebbero perseguibili. Acid cammina su un sentiero stretto: nel marzo 2003 un raid della polizia portò all´arresto e all´incriminazione di 200 persone in base all´articolo 534. Nessuno finì in carcere per più di qualche ora ma il monito era chiaro: «Pochissime persone negli ultimi anni sono state condannate - racconta Dazzi - ma la norma è sempre lì e noi non ci sentiamo protetti: se ti succede qualcosa non puoi rivolgerti alla polizia perché potrebbero perseguirti. Se qualcuno vuole vendicarsi di te, ti denuncia e spera che ti incastrino».
Uno stato di insicurezza che Sooheil ha sperimentato sulla sua pelle: il fisico palestrato e la maglietta nera con gli strass rendono le sue preferenze sessuali piuttosto chiare. «Mi hanno tirato sassi e minacciato con un coltello - dice - certo, potrei vestirmi in modo meno vistoso: ma io sono quello che sono e non mi voglio nascondere. Le cose stanno lentamente migliorando, spero che continui». Il caos in cui il paese è precipitato dopo l´assassinio dell´ex primo ministro Rafiq Hariri nel 2005 ha aiutato la comunità gay. «I politici sono impegnati a sopravvivere e non si curano molto di noi», dice Dazzi.
Nessuno però sa se e quanto durerà. «Nella società araba ci si aspetta che gli uomini seguano l´idea comune di mascolinità. Qualunque cosa minacci questo modello è vista come una minaccia», racconta Brian Whithaker, autore di Unspeakable love, un libro sull´omosessualità in Medio Oriente. Whitakher racconta di gay e lesbiche cacciati di casa, sottoposti a cure anti-depressive e ad elettroshock per volere delle famiglie. «Un figlio gay nel mondo arabo getta disonore sull´intero clan. Se un fratello è omosessuale nessuno vorrà sposare le sorelle», spiega la psicologa Reina Sarkis.
Ramzi lo sa ma non vuole ammetterlo: «I miei amici e miei colleghi sanno che sono gay. Qualcuno si è allontanato, ma nel complesso sono stato fortunato», racconta al Bardò, un altro dei locali gay-friendly della scena notturna beirutina. E la famiglia? «Quella è un´altra cosa. Li sconvolgerebbe. Finchè la pressione per sposarsi non sarà troppo forte non ci parlerò, poi vedremo». I genitori di Sooheil invece sanno da quando aveva 18 anni. «Lo hanno accettato. L´unica volta che si sono davvero turbati è quando sono arrivato a casa con un ragazzo musulmano. Mia madre ha detto: "Fai sesso con chi vuoi, ma almeno che sia cristiano come te"». Pochi in Libano hanno il coraggio di Sooheil. «La maggior parte degli uomini sceglie di vivere una doppia vita - interviene ancora Sarkis - per le ragazze è più semplice: riescono a nascondersi meglio».
La condanna dei gay in Libano è una delle poche cose che mette d´accordo i leader delle diverse comunità religiose, cristiane o musulmane che siano: «Usano tutti le stesse parole - prosegue Dazzi - in sostanza ci danno dei pervertiti». Ma nel resto del mondo arabo il quadro è molto peggiore: in Egitto, dopo la retata del 2001 contro l´imbarcazione Queen Boat che ospitava una festa gay, decine di partecipanti sono stati incarcerati e torturati. In Iraq solo dopo molte insistenze l´ayatollah Al Sistani ha fatto togliere dal suo sito la fatwa con cui condannava a morte i gay. In Iran e in Arabia Saudita un incontro omosessuale può portare alla pena di morte.
Per questo nella regione le spiagge, gli hammam e i club gay friendly di Beirut sono considerati una sorta di paradiso: «A causa della crescita del fondamentalismo religioso e della situazione politica internazionale negli ultimi anni la situazione per i gay arabi è diventata più difficile», prosegue Whitakher. «Nella testa di molte persone la questione dei diritti sessuali è legata all´idea di Occidente. E quindi condannata», spiega.
Nello stesso tempo però Internet ha creato reti di solidarietà che prima non esistevano. La stessa Helem pubblica in Rete Barra, la prima rivista gay del mondo arabo: «Il fatto stesso che un´organizzazione così esista è importante: è come Al Jazeera negli anni ‘90: non diceva nulla di davvero nuovo, ma era la prima volta che certe cose erano dette in arabo e da un paese arabo», conclude Whitakher.
Sentirsi un´avanguardia dà ai membri di Helem la forza di continuare: pochi mesi fa il gruppo ha organizzato un dibattito sull´omofobia e per il prossimo anno prepara un evento internazionale. Forse allora la bandiera arcobaleno esposta negli uffici dell´associazione potrà essere spostata fuori dalla porta: «Non si può mai dire - conclude Dazzi - quattro anni fa la maggior parte dei giornali arabi ci davano dei pervertiti. Oggi già ci chiamano omosessuali. È un progresso, anche se quelli che dicono che dovremmo morire non mancano mai».

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