Fallujah chiede agli americani di restare la vera notizia dall'Iraq, ignorata dai media italiani
Testata: Il Foglio Data: 21 agosto 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Gli iracheni di Fallujah chiedono agli americani di restare»
L'editoriale a pagina 3 del FOGLIO del 21 agosto 2007:
Ieri mattina abbiamo letto sui giornali italiani una serie di titoli a tutta pagina a proposito di una lettera che sette soldati americani in Iraq hanno scritto sulle op-ed pages del New York Times, le due pagine quotidiane di commenti e opinioni che rappresentano l’enclave più radical chic del mondo giornalistico liberal americano. L’opinione dei sette soldati, ben sintetizzata dai giubilanti titoloni dei giornali italiani, era del tipo “in Iraq abbiamo fallito miseramente”. Non una gran novità, visto che i sette non sono né i primi né gli ultimi militari americani a pensarla così, ma pur sempre una notizia, anche se soltanto qualche giorno fa s’è scoperto che l’ultimissimo soldato americano ad aver denunciato orrori ed errori in Iraq in una serie di “diari da Baghdad” per la rivista The New Republic s’era inventato quasi tutto e si trovava in Kuwait. Ma il punto non è mettere in dubbio le intenzioni dei sette soldati né le cose che scrivono e raccontano. Anzi. Il punto è che sullo stesso numero del New York Times che ha ospitato l’interessante opinione dei sette soldati, esattamente sullo stesso numero, ma posizionato in modo molto più visibile, cioè sulla prima pagina, c’era una lunga inchiesta dal fronte, scritta da uno degli inviati del New York Times in Iraq, il cui titolo avrebbe dovuto colpire l’attenzione dei desk esteri dei nostri giornali, ammesso che nelle redazioni ci sia davvero interesse a capire che cosa stia succedendo in Iraq (a proposito: il generale David Petraeus riferirà ufficialmente al Congresso l’11 settembre, una data che non pare scelta a caso). Il titolo dell’articolo sulla prima pagina del New York Times, sfuggito agli stessi giornali italiani che hanno invece scovato al volo l’opinione dei sette soldati pubblicata nelle pagine interne, era questo: “La calma di Fallujah è considerata fragile, se gli americani se ne andranno”. Qui a fianco troverete il resoconto, ma già dal titolo scelto dal Times, cioè da un giornale mai tenero con Bush e con la missione in Iraq, si capisce che si tratta di una notiziona, “l’uomo che morde il cane” non l’ennesima cronaca di un “cane che morde l’uomo”. Il titolo e l’articolo raccontano che l’ex casamatta dei jihadisti, l’irriducibile Fallujah, ormai è una città pacificata, grazie alla sicurezza garantita dagli americani e, ancora più importante, grazie al fatto che gli sceicchi e le tribù sunnite un tempo il cuore della guerriglia si sono rivoltate contro al Qaida e ora collaborano con il nuovo esercito iracheno e con i marine. A Fallujah, ed ecco la seconda notizia, questa pace è considerata fragile, perché la popolazione teme che gli americani se ne possano andare. Chissenefrega. Peace & Love.
L'articolo sulla situazione a Falluja:
Roma. “La calma di Fallujah è considerata fragile, perché gli americani se ne potrebbero andare”. E’ il titolo di uno dei grandi racconti del New York Times pubblicati dall’ex capitale della guerriglia irachena. Un titolo che rivela gli inaspettati progressi militari e strategici compiuti dagli americani, anche se è sovrastato dal resoconto – subito ripreso con enfasi in Italia – di sette soldati americani sulla tragedia della guerra. La vera notizia non sono, infatti, i dispacci dei soldati, genere letterario che ha scandito il conflitto, piuttosto che a Fallujah la nuova strategia del generale David Petraeus – che il prossimo 11 settembre, nel sesto anniversario dell’attacco a New York, farà rapporto al Congresso – sta dando i suoi frutti, e che adesso sono gli stessi sceicchi e capitribù sunniti, un tempo sodali di al Qaida a temere il disimpegno americano. Anche il presidente George W. Bush ha evidenziato i progressi raggiunti nella provincia di Anbar, un tempo roccaforte degli insorti, esprimendo l’auspicio che si estendano anche a Baghdad. “Negli ultimi mesi – ha dichiarato nel consueto discorso radiofonico del sabato – forze americane e irachene hanno sferrato forti colpi contro i terroristi di al Qaida ed estremisti violenti ad Anbar e in altre province”. Nella provincia di Anbar “gli sceicchi locali si sono uniti alle forze americane per cacciare i terroristi da Ramadi e altre città. Praticamente ogni città della provincia ha ora un sindaco e un consiglio municipale funzionante, e il rispetto della legge è stato ripristinato”. Nella provincia di Anbar abita soltanto il 16 per cento della popolazione, ma lì è caduto l’ottanta per cento dei soldati americani. Ad Anbar gli attacchi lo scorso ottobre sono stati 1.300. Progressivamente sono calati. Questo giugno sono stati soltanto 225. Non c’è solo Fallujah. Da Ramadi ha reso conto dei progressi anche il Washington Post, con un articolo il cui senso è lo stesso di quello sul dila pace di Fallujah. Gli americani devono restare. IlWall Street Journal ha già descritto i grandi progressi sul campo. Nel 2006 i terroristi in città eseguivano circa trenta attacchi al giorno. Ora sono meno di uno. Nel giugno del 2004, i marine dicevano: “Dobbiamo tenere Ramadi o il resto della provincia andrà all’inferno”. Oggi è stata pacificata. Neanche lo scorso ottobre, al Qaida dichiarava Ramadi capitale dello Stato islamico dell’Iraq con una funebre parata pubblica sotto gli stendardi neri. Oggi la polizia a Ramadi è passata da 200 a 7.400 uomini. Quanto la risposta sunnita ad al Qaida sia consistente, lo si capisce dal materiale propagandistico prodotto dai tagliateste arrivati da tutto il medio oriente. In un video di al Qaida lo sceicco Abdul Sattar Buzaigh al Rishawi, che ha fondato l’Anbar Salvation Council in chiave antiterrorismo, viene definito “cane di Anbar”. Lo sceicco Majid Abdel Razzaq al Ali Suleiman, capo della più grande tribù sunnita di Ramadi, gli al Duleimi, ha spiegato perché tutti i capi delle tribù sunnite hanno deciso di allontanare i terroristi stranieri dal proprio territorio. “Abbiamo preso questa decisione – afferma – dopo aver visto che le autobomba colpivano anche i civili, gli studenti, gli ulema e gli ospedali. Questa non è resistenza. Adesso tra gli uomini della polizia e dell’esercito c’è gente della nostra tribù e noi ci fidiamo soltanto di loro”. In un quartiere sunnita di Ghazaliya, nel cuore di Anbar, sabato scorso il generale Petraeus è andato a inaugurare un nuovo battaglione della polizia. Ogni nuova recluta ha dovuto sottoscrivere un giuramento di fedeltà al governo centrale di Baghdad. “Abbiamo preso la decisione di armare questi ragazzi che combattono per il proprio paese” ha detto Petraeus. E’ la stessa località dove lo scorso febbraio lo sceicco sunnita Abu Jassim pronunciò una dichiarazione di guerra contro al Qaida. Pochi giorni dopo i terroristi lo uccisero con quaranta fedeli, tra cui donne e bambini. Quattro giorni fa il primo ministro sciita Nouri al Maliki è andato a Tikrit a ringraziare i sunniti per l’alleanza con le forze americane e irachene. “Combattere il terrorismo è la strada per unirci”. Il 16 agosto l’Herald Tribune pubblica un reportage dal titolo: “I sunniti stanno cambiando lato?”. Gli sceicchi di Anbar, regione grande quanto mezza Italia, non vogliono che l’enorme provincia, infiltrata da al Qaida passando per città come Rutbah, Hit, Haditha e al Qaim, venga trasformata dai combattenti stranieri nell’Emirato islamico. Dove regna la morte, la sharia, la distruzione e l’odio. “Stanno rischiando le loro vite, non è una questione economica” dice Petraeus degli amici sceicchi. Hamid al Hayas, presidente del Consiglio di Salvezza di al Anbar, dice che vorrebbe “trasformare il capoluogo della nostra provincia, Ramadi, nella Dubai dell’Iraq”. Succede che nella sua casa di Ramadi, lo sceicco Shakir Saoud Aasi ospiti il comandante americano Craig Kozeniesky. “Non siamo solo amici, siamo fratelli” dice lo sceicco. “E’ un nuovo inizio per entrambi”. L’odio sunnita verso i qaidisti è talmente profondo ormai che il potente sceicco Hamid al Hayas ha detto: “L’esercito americano tratta troppo bene i terroristi di al Qaida catturati”. Intervistato dal quotidiano al Sharq al Awsat, il capo tribù ha accusato gli americani di trattare fin troppo bene i detenuti di al Qaida e chiede che siano sottoposti alle dure regole del codice tribale. Poco dopo la strage dell’imam a Habbaniya, la controresistenza fece capire ad al Qaida di cosa era capace. Centinaia di terroristi si erano ammassati ad Amiriya, da cui è partita la rivolta contro i terroristi, per attaccare il convoglio di un leader dell’Anbar salvation council. La polizia intuì l’attacco e chiamò i combattenti locali appartenenti alla “Thurwa al Anbar”, la milizia sunnita aiutata dagli americani. Oltre 80 i qaidisti uccisi. L’errore più grave dei terroristi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso del risentimento popolare, fu di non restituire il cadavere di uno sceicco assassinato, negandogli degna sepoltura. Accadeva esattamente un anno fa, il 21 agosto del 2006.
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