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Il Foglio Rassegna Stampa
18.08.2007 Condanna a morte per gli apostati dall'islam
decretata dall'università Al Azhar

Testata: Il Foglio
Data: 18 agosto 2007
Pagina: 4
Autore: Carlo Panella
Titolo: «La voce di al Azhar»
Dal FOGLIO del 18 agosto 2007:

Roma. “Chi rinuncia all’islam è un apostata e merita di essere ucciso”: questa terribile sentenza non è stata pronunciata da un membro di al Qaida, o da un estremista musulmano, ma da un esponente di spicco dell’islam “moderato”: Soad Saleh, rettore della facoltà di Ricerche islamiche dell’Università al Azhar del Cairo. E’ dunque il parere di uno dei massimi dirigenti della più autorevole fonte del diritto islamico, membro del consiglio che guida l’ateneo e che quindi ha voce in capitolo nella scelta dell’imam della preghiera della Grande moschea di Roma (che per statuto spetta ad al Azhar), e che poche settimane fa, con ogni probabilità, avrebbe accompagnato lo sheikh al Tantawi, rettore di al Azhar, nella sua visita a Benedetto XVI in Vaticano, se soltanto questa non fosse stata posticipata per motivi tecnici. Questo parere giuridicoteologico è di fondamentale importanza, perché unisce nella barbarie totalitaria l’islam terrorista che ha ucciso in Iraq, Indonesia e in Turchia centinaia di cristiani accusati di proselitismo e centinaia di islamici accusati di apostasia, con l’islam moderato, incarnato, appunto, nella guida di al Azhar. La sola distinzione tra questi due islam, certo non secondaria, ma ininfluente dal punto di vista dell’essenza totalitaria della teologia, sta nel fatto che Soad Saleh ritiene che “ciò non significa che i fedeli comuni sono tenuti a uccidere l’apostata, ma che questo è il dovere dello stato” e ha anche aggiunto che “gli apostati che non si vantano e non annunciano in pubblico la loro apostasia non sono passibili di morte”. Pena che invece, a suo parere, la giustizia egiziana dovrebbe comminare al venticinquenne Mohamed Hegazy, nato musulmano, convertitosi al cristianesimo, che ha chiesto di essere riconosciuto come cristiano nella sua carta d’identità, e ha dovuto nascondersi in clandestinità dopo aver ricevuto minacce di morte, “tanto più che si vanta e si felicita d’aver lasciato l’islam facendosi fotografare con la moglie vicino al Vangelo”. Questo giudizio di Soad Saleh va ben oltre dunque il dibattito politico interno all’Egitto, perché quando uno dei massimi esponenti della massima autorità religiosa sunnita teorizza l’obbligo dell’uccisione dell’apostata e quindi del cristiano che tenti di convertire il musulmano, questo ha terribili ricadute non soltanto nel mondo musulmano, ma anche in Europa. Proprio su pressione di questo islam “moderato”, agli stati musulmani che già applicano la pena capitale per gli apostati (Pakistan, Afghanistan, Iran, Arabia Saudita, Yemen, Sudan e Mauritania), si aggiungono oggi altri stati “laici” come l’Algeria e la Siria che la puniscono con forti pene detentive o pecuniarie o che la considerano reato grave. Ma questa tendenza liberticida ha immediate conseguenze anche in Europa, perché gli imam che fanno riferimento alle strutture religiose dei regimi più moderati (Marocco, Tunisia, Egitto) sono spinti, proprio dall’insegnamento di al Azhar, a predicare nelle moschee europee una teologia che prevede la pena di morte per chi abbandoni l’islam. E’ evidente che questo terribile freno alla libertà religiosa e alla libertà di pensiero, costituisce sia un vulnus inaccettabile per le libertà personali, sia un freno formidabile alla integrazione delle stesse comunità musulmane nel contesto europeo. Il fallimento dei vari modelli europei di integrazione dei musulmani (ma solo dei musulmani, non degli indù, o dei filippini, o degli ortodossi extracomunitari), ha in questa minaccia di morte per chi abbandoni l’islam una sua evidente radice, gravida di infinite conseguenze. Tra queste, anche quella di chi, in terra non musulmana, applica questo precetto di persona, come fece il padre di Hina Salem a Brescia due anni fa, uccidendola proprio perché apostata, perché stava per sposare un cristiano (fatto esplicitamente proibito dalla sharia, proprio perché induce alla conversione della donna, sottoposta all’autorità tutoria dell’uomo). Stupisce infine, in questo contesto, la mancanza di reazione pubbliche – a quanto consta – del nunzio apostolico al Cairo, il cardinale Michael L. Fitzgerald, già responsabile nella Curia per il dialogo interreligioso. A suo tempo defenestrato da Benedetto XVI, col seguito di autorevoli voci ufficiose vaticane che lo accusavano di “dilettantismo”, Fitzgerald si è poi molto speso per fare incontrare con il Papa in Vaticano lo sheikh al Tantawi, (che concorda con Saleh sulla pena di morte per gli apostati) e ora tace a fronte di questo segnale di intolleranza e di violenza che proviene dalla loro autorevolissima al Azhar.

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