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La Stampa Rassegna Stampa
18.08.2007 La "pace" delle minoranze nell'Iraq di Saddam Hussein
e nella Siria del massacro di Hamaù: Farian Sabahi apologeta delle dittature

Testata: La Stampa
Data: 18 agosto 2007
Pagina: 28
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Nuova Iraq e vecchia intolleranza»
Farian Sabahi sulla STAMPA del 18 agosto 2007 scrive sugli attentati contro la minoranza yazide in Iraq.
La sua condanna non è rivolta principalmente ai terroristi che hanno che hanno compiuto la strage, ma agli americani che abbattendo il regime di Saddam avrebbero posto fine a una secolare condizione di "pace" delle minoranze in Iraq.
La stessa Sabahi scrive però che "una legge del 15 novembre 2005 nega la cittadinanza agli ebrei e gli armeni lottano invano per ottenere la restituzione delle proprietà espropriate da Saddam. "
Per altro, soprattutto ebrei e curdi, tra le minoranze,  nell'Iraq di Saddam non sono stati soltanto espropriati, ma perseguitati e massacrati. La maggioranza sciita ha subito  un destino simile. Per altro comune, con maggiore o minore violenza , a tutti gli iracheni, sottoposti a un regime di terrore. I palestinesi, è vero, sono stati privilegiati dal regime. Ma nemmeno a loro sono stati riconosciuti diritti. Piutttosto, appunto, sono stati concessi privilegi, sempre revocabili dal regime criminale che li elargiva.
Dove Farian Sabahi vede  la "pace" delle monoranze nell'Iraq  di Saddam Hussein, dunque ?
Lo capiamo dal successive parole sulla Siria "Dopotutto, appartenendo alla setta alawita in odore di eresia, per la dinastia degli al-Assad il rispetto delle minoranze è da sempre un’esigenza. A costo di usare la mano pesante contro gli integralisti islamici, come nel massacro dell’82 ad Hama."
Ecco, ora è chiaro. La pace cui fa riferimento la Sabahi è quella dei cimiteri ù8e il rispetto delle minoranze è quella di un paese nel quale un ministro della Difesa ha pubblicato un libello antisemita  dove sostiene la veridicità della calunnia del sangue contro glie ebrei)

Ecco il testo:


Il bombardamento di due villaggi vicino a Mosul, abitati dalla minoranza degli yazidi, è stato uno dei peggiori attentati in oltre quattro anni di guerra. I morti sono 250 e i feriti almeno 350 ma, mentre si scava sotto le macerie, le cifre rischiano di salire. Imputata dai militari americani ai terroristi di Al-Qaeda, che cercano di diffondere maggiore discordia in un Paese già diviso, la strage può essere uno spunto di riflessione sulla difficile condizione delle minoranze religiose ed etniche in Iraq e sul fallimento dell’esportazione della democrazia.
L’Iraq sorto dalle ceneri della dittatura di Saddam non è lo Stato di diritto che ci si aspettava: una legge del 15 novembre 2005 nega la cittadinanza agli ebrei e gli armeni lottano invano per ottenere la restituzione delle proprietà espropriate da Saddam. Secondo l’inchiesta Assimilazione, esodo e sradicamento delle minoranze in Iraq dal 2003 dell’associazione inglese Minority Rights Group, il governo Maliki non sta facendo abbastanza per le minoranze, spesso troppo piccole per organizzarsi e proteggersi.
I non musulmani rappresentano il 10% della popolazione e alcune comunità vivono in Mesopotamia da oltre duemila anni. Oltre agli yazidi (500 mila nel mondo, per lo più nel nord dell’Iraq), vi sono cristiani, bahai, curdi failiti (sciiti), ebrei, mandei, shabak (sono 400 mila, per lo più sciiti), turcomanni (musulmani sunniti, sono il 3-4% della popolazione). Tra le minoranze etniche spiccano, oltre ai curdi, i palestinesi. Sono loro a versare nelle condizioni peggiori, denuncia Laura Boldrini dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. Arrivati nel ‘48 dopo la creazione di Israele, i palestinesi sono scesi da 35 a 12 mila e sono invisi a tutti perché considerati baathisti: Saddam li aveva integrati, assumendoli nell’amministrazione pubblica e concedendo abitazioni a prezzo politico. Nel 2003 sono stati licenziati e cacciati dalle case, i ragazzi espulsi dalle scuole, decine assassinati nei loro quartieri. Scaduti i permessi di soggiorno il 28 marzo 2006, hanno tentato di andarsene, ma Siria e Giordania non li fanno entrare, costringendoli a vivere in campi spontanei, non organizzati e quindi degradati, a ridosso dei confini.
Dopo i palestinesi, a essere perseguitati sono i cristiani perché la loro fede è associata all’Occidente e quindi agli invasori. Composta di 700 mila persone (2% della popolazione), in questi quattro anni la comunità cristiana si è dimezzata. È da sempre divisa in molti gruppi: armeni cattolici e ortodossi, caldei che seguono un rito orientale della Chiesa di Roma, assiri della Chiesa nestoriana e siriaci (ortodossi orientali). Il loro desiderio di scappare va di pari passo con la violenza, ma la maggior parte dei Paesi rifiuta i passaporti della serie S emessi nel 2004 e falsificabili ed è necessario trovare un passaporto della nuova serie G stampata in Germania: si possono richiedere soltanto in un ufficio di Baghdad e le donne devono andarci accompagnate da un parente.
Secondo l’Onu, finora sei milioni di iracheni sono sfollati all’interno del loro stesso Paese e altri due hanno trovato scampo soprattutto in Siria e Giordania, mentre 54 mila sono entrati in Iran. È una situazione paradossale: per secoli le minoranze hanno vissuto in pace in Iraq e oggi la Siria, «Stato canaglia», diventa un modello di pluralismo. Dopotutto, appartenendo alla setta alawita in odore di eresia, per la dinastia degli al-Assad il rispetto delle minoranze è da sempre un’esigenza. A costo di usare la mano pesante contro gli integralisti islamici, come nel massacro dell’82 ad Hama.

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