Olmert come Assad ? no, per un leader democratico la guerra non può essere una "via d'uscita"
Testata: Europa Data: 18 agosto 2007 Pagina: 0 Autore: Saad Kiwan Titolo: «Israeliani e siriani si fi utano e per ora si rifi utano. Ma dietro le prove di guerra c’è voglia di pace»
EUROPA del 18 agosto 2007 pubblicaun articolo di Saad Kiwan sul rischio di guerra e sulle prospettive di pace tra Israele e Siria. Il fallimento di queste ultime viene attribuito a una presunta intransigenza israeliana (in realtà la Siria rifiutò a suo tempo la proposta di Barak, disponibile a cedere il Golan). La guerra viene invece presentata come una possibile "via d'uscita politica" sia per Olmert che per Assad. Per Assad, a capo di unregime dittatoriale che si rafforza con la costruzione propagandistica di nemici esterni, forse. Per Olmert, leader democratico di un paese che vuole la pace, certamente no.
Ecco il testo:
Qualcosa di strano sta succedendo tra Siria e Israele. Da un paio di settimane i due si guardano come cane e gatto. Si scambiano accuse ma poi uno tranquillizza l’altro. Damasco accusa Tel Aviv di prepararsi alla guerra e Tel Aviv accusa Damasco di voler attaccarla. Il vicepresidente siriano Faruq al-Sharaa dichiara poi che la Siria non attaccherà Israele e gli risponde il primo ministro israeliano Ehud Olmert, dicendo che il suo governo non ha nessuna intenzione di andare alla guerra, ma se guerra ci sarà vuol dire che c’è stato un «malinteso»... Intanto, i due si preparano “cautelativamente”, rinforzando le postazioni, in particolare sulle alture del Golan occupato nel 1967 da Israele. Ne rende conto la stampa israeliana e anche quella araba. Il consiglio di gabinetto israeliano ristretto per la sicurezza si è già riunito sei volte in un mese e mezzo per esaminare la situazione al confine con la Siria, nel Golan. Nell’ultima riunione di pochi giorni fa, la stampa israeliana ha definito l’incontro «molto delicato», riferendo che ai ministri è stato chiesto di consegnare i loro cellulari nell’ufficio del primo ministro prima di entrare in sala. Ancora più curiose e significative sono le parole di Olmert al termine del consiglio: «Abbiamo esaminato i nostri preparativi, nel caso la parte siriana avesse frainteso le nostre operazioni militari, in particolare, quelle in corso nel Golan». Poi chiarisce: «Ma questo non significa che abbiamo delle informazioni riguardo un nuovo dispiegamento dell’esercito siriano. Israele non ha nessuna intenzione di attaccare la Siria e viceversa». Però: «Israele deve essere pronta per ogni eventualità e se guerra ci sarà sarebbe il risultato di un malinteso». È stato praticamente un consiglio di guerra, al quale hanno partecipato, oltre a Olmert, il ministro degli esteri Tzipi Livni, quello della difesa Ehud Barak, nonché ex primo ministro e leader del Partito laburista, e i ministri degli affari strategici, della sicurezza, delle telecomunicazioni, delle infrastrutture, della giustizia e il vice primo ministro. Alla vigilia di questo incontro, il capo del Military Intelligence Corps, il generale Yussi Baidetz, aveva detto che la Siria teme un attacco israeliano, vedendo il movimento delle truppe israeliane. E poi ha minimizzato, aggiungendo: «Ma Damasco non prenderà l’iniziativa». Di avviso contrario, l’esperto militare del quotidiano israeliano Yediot Ahronot, il quale sostiene che «la Siria aspetta il momento opportuno, e che questo non sarà lontano». Poi afferma che questa volta la guerra non sarà come le altre (del 1967 e del 1973), bensì come l’ultima con Hezbollah, (luglio 2006) ma a più larga scala. Il generale ha quindi rivelato che Damasco sta ultimando una nuova rete missilistica con testate esplosive cariche di centinaia di chilogrammi, in grado di raggiungere Tel Aviv, proprio dal Golan. Oltre ai proiettili anti-aerei e anti-mezzi corazzati di fabbricazione russa. Il regime siriano sembra assumere lo stesso atteggiamento. Al-Sharaa dice che «la Siria si tiene pronta perché ha capito che Israele trova sempre una scusa per entrare in guerra, come ha fatto nel luglio 2006 contro il Libano. Per questo dobbiamo essere pronti per affrontare qualsiasi aggressione». Poi puntualizza: «Certo, non saremo noi a prendere l’iniziativa. Abbiamo sempre affermato che la pace è la nostra scelta strategica, ma le masse siriane (!) non cederanno, non si faranno sottomettere e chiedono che i negoziati portino a un ripristino delle proprie frontiere, così come erano prima del 4 giungo 1967». Cioè, dove erano gli eserciti prima della guerra dei sei giorni. Cosa che Israele ha finora rifiutato. Nel frattempo, l’ex direttore generale del ministero degli esteri israeliano, Alon Liel, ha affermato che Israele ha soltanto tre mesi per intavolare negoziati con la Siria, altrimenti la guerra diventa una «scelta obbligata». Liel aveva partecipato, a Ginevra, a negoziati segreti con personalità siriane. Negoziati iniziati tre anni fa, proseguiti proprio durante la guerra del luglio 2006 contro il Libano, e, secondo fonti palestinesi, in corso tuttora. Questi negoziati sono stati rivelati da una personalità americana di origine siriana, Ibrahim Suleiman, il quale si è recato ufficialmente a Tel Aviv nei mesi scorsi, per incontrare lo stesso Liel su incarico del regime siriano. Ma Damasco, per bocca del presidente Bashar Assad, ha smentito, definendo la visita di Suleiman come una «iniziativa personale» (!). Liel spinge ovviamente per una trattativa con la Siria. Egli sostiene la tesi secondo cui all’Iran i tre mesi bastano per finanziare la Siria e per permetterle di armarsi e di prepararsi per una guerra, e quindi di spingersi sempre di più nelle braccia degli ayatollah. In altri termini, Assad non può rimanere appeso a un filo e accerchiato da tutte le parti. Ha già aperto una breccia con gli incontri dei cosiddetti “comitati per la sicurezza”, riunitisi la settimana scorsa per due giorni a Damasco, con lo scopo di esaminare la situazione in Iraq. A questi incontri hanno partecipato gli stessi Stati Uniti. Ad Assad si chiede di controllare i suoi confini e di impedire il flusso (pilotato?) dei “volontari” mercenari che vanno a compiere attentati contro i marines in Iraq. Damasco vuole invece avere un ruolo politico non solo in Iraq, ma anche in Libano e in Palestina, come fu ai tempi di Assad padre. Ma gli americani si oppongono, e il presidente George Bush sta cercando di attivare un difficile negoziato tra palestinesi e israeliani, al quale Olmert crede poco, vista la posizione difficile del presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), indebolito dalla spaccatura consumata con gli integralisti di Hamas. Inoltre, Bush impedisce a Israele di trattare con la Siria. Come dire: essendo tutti e due in difficoltà, paradossalmente, Assad e Olmert potrebbero trovare nella guerra una loro “via d’uscita” per capovolgere la situazione a livello regionale e mettere in difficoltà la stessa amministrazione Usa.
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