Con l'apertura ad Hamas, Prodi ha violato le regole della diplomazia un commento di Piero Ostellino
Testata: Corriere della Sera Data: 18 agosto 2007 Pagina: 33 Autore: Piero Ostellino Titolo: «La diplomazia e i giochi che si fanno ma non si dicono»
Dal CORRIERE della SERA del 18 agosto 2007:
Prima di un'imprudenza politica, Romano Prodi e Massimo D'Alema, dicendo di voler «dialogare» con Hamas, hanno — secondo me — commesso un errore di grammatica e di sintassi internazionali. Errore che molti nostri diplomatici denunciano a bassa voce nei corridoi della Farnesina con ironica indulgenza. Errore che, del resto, è stato lo stesso Prodi a rivelare, precisando che un conto è dialogare, un altro negoziare. Questa è, infatti, tutta la differenza che corre fra la cosiddetta «diplomazia coperta» — affidata spesso a soggetti politicamente non responsabili, come i servizi segreti o intermediari internazionali non qualificati, per sondare il terreno, senza impegnarsi, in vista di possibili sbocchi negoziali — e «diplomazia pubblica », che non è mai gratuita, perché, per impegnare formalmente l'interlocutore, occorre che, in una certa misura, ci si impegni a propria volta. Insomma, Prodi e D'Alema hanno detto ad alta voce ciò che, in politica, qualche volta «si fa ma non si dice». Nessun negoziato formale può, infatti, incominciare se le parti non hanno già individuato una base comune sotto il triplice profilo del fine che esse si propongono di raggiungere, delle prospettive che il negoziato apre, delle procedure da seguire. Nel caso di un negoziato con Hamas, il fine dovrebbe essere la pace in Medio Oriente, la costituzione dello Stato palestinese, la sicurezza per Israele; le prospettive dovrebbero sostanziarsi nella volontà di chi negozia di arrivare quanto meno a un compromesso accettabile; le procedure dovrebbero concretarsi nel preliminare riconoscimento di Israele da parte di Hamas. La forma, in diplomazia, precede la sostanza. È essa stessa sostanza. Ma che fine, quali prospettive e, in ultimo, che procedure negoziali sarebbe possibile individuare con un movimento terrorista che persegue dichiaratamente la fine di Israele, non vuole pervenire ad altro risultato e non riconosce la propria controparte? Nello stesso errore di grammatica e di sintassi mi pare siano incorsi anche coloro i quali si sono chiesti, sui giornali, perché gli Stati Uniti possano legittimamente parlare con gli Stati «canaglia», Siria e Iran, e non sia altrettanto legittimo, da parte dell'Italia, parlare con Hamas. La risposta è: perché Siria e Iran sono, appunto, degli Stati, cioè dei soggetti legali, organizzati in, e governati da, istituzioni politiche centralizzate, che controllano un territorio e la sua popolazione. Poiché, inoltre, la somma dei tre elementi — territorialità, popolazione, istituzioni — non prefigura ancora una «definizione giuridica» di Stato, tutto si concreta nel suo legale «riconoscimento» da parte degli altri Stati e delle organizzazioni internazionali. Affinché anche certi nostri politici possano capire: per riconoscimento non si intende qui un'espressione del tipo «quello deve essere l'Iran; quella la Siria», bensì l'atto formale con il quale lo Stato diventa soggetto di diritto internazionale ed entra a far parte a pieno titolo della comunità mondiale. Il controllo del territorio e della popolazione, la presenza di istituzioni politiche centralizzate, il riconoscimento da parte degli altri Stati e delle organizzazioni internazionali si concretano nel concetto di sovranità. Che ne garantisce la «continuità» indipendentemente dai governi e dai regimi («canaglia» o non) che si potranno succedere nel tempo alla sua testa. Fine della lezioncina. postellino@corriere.it
Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante lettere@corriere.it