Per Sergio Luzzato l'apertura di Prodi non basta ancora per lui ad Hamas non si devono porre condizioni
Testata: Corriere della Sera Data: 17 agosto 2007 Pagina: 37 Autore: Sergio Luzzato Titolo: «Un passo in più»
Per Sergio Luzzato (già entusiasta recensore del libro di Ariel Toaff che riproponeva la calunnia antisemita del sangue, spacciandola per verità storica) Romano Prodi ha fatto bene ad aprire ad Hamas, ma avrebbe dovuto essere più esplicito e non fare cenni alla richiesta del riconoscimento di Israele. Dato che Hamas non la accetterà mai, sostiene Luzzato, chi l'ha posta voleva respingere "a priori" il gruppo terroristico. Si dovrebbe invece"esplorare la possibilità che Hamas sia disponibile ad accettare de facto lo spirito di quella Road Map che l'organizzazione palestinese ha sempre rigettato". Su questo punto, però, i fatti sono noti. Hamas continua a lanciare razzi kassam verso Israele, dunque della Road Map non accetta la richiesta di rinunciare al terrorismo. Accetta la creazione di uno Stato palestinese nelle frontiere del 67, con Gerusalemme capitale e con il riconoscimento del "diritto al ritorno" dei palestinesi in Israele. Ma non di negoziare su questi punti e, soprattutto, non in vista della pace, ma di una tregua che servirà a preparare una nuova guerra.
Nulla di preoccupante per la logica di Luzzato. E' chiaro per lui che non si deve chiedere ad Hamas di rinunciare alla distruzione di Israele, perché significherebbe escluderlo a priori dal "dialogo".
Ecco l'articolo:
Per quanto volenterose, le recenti prese di posizione di Prodi riguardo al conflitto israelo-palestinese sono state a mio parere imprecise, e comunque insufficienti. A cominciare dalla questione relativa al riconoscimento da parte di Hamas del diritto all'esistenza dello stato di Israele: riconoscimento indicato da Prodi stesso come una delle «condizioni» poste dal Quartetto, nel gennaio 2006, per coinvolgere Hamas nel processo di pace, dopo la clamorosa sua vittoria elettorale. In realtà, il riconoscimento dello Stato di Israele non fu propriamente una condizione posta allora dal Quartetto, bensì uno dei tre princìpi che il nuovo governo di Hamas veniva invitato a rispettare, oltre a quelli di una rinuncia alla violenza terroristica e di un progressivo disarmo. Il distinguo fra condizione e principio non è un cavillo giuridico. È il cuore del problema. Perché richiedere ad Hamas il riconoscimento formale di Israele quale prerequisito per ammetterlo al tavolo negoziale significa respingerlo a priori da quel tavolo. Il che è esattamente quanto si sono finora proposti due attori del Quartetto, Usa e Unione Europea, a differenza degli altri due, Russia e Onu. Oggi come oggi, piuttosto che richiedere a Hamas un riconoscimento de iure dello Stato ebraico, occorre semmai esplorare la possibilità che Hamas sia disponibile ad accettare de facto lo spirito di quella Road Map che l'organizzazione palestinese ha sempre rigettato. Prodi avrebbe dunque bisogno di fare ulteriore chiarezza. E non solo per evitare la critica di voler tenere insieme a tutti i costi, anche in politica estera, le varie anime della sua eterogenea coalizione. Avrebbe bisogno di fare chiarezza soprattutto perché, con l'arrivo di Blair ai vertici del Quartetto, è questo il momento opportuno per meglio definire il ruolo dell'Ue nel processo di pace in Medio Oriente. Finora, il Quartetto ha impiegato l'argomento della mancata disponibilità di Hamas a riconoscere Israele quasi come un pretesto per coprire un'azione diplomatica visibilmente ispirata dagli interessi filo-israeliani degli Usa. Da tale punto di vista, l'avvento di Blair non prefigura un cambiamento di rotta. L'Italia di Prodi intende fare qualcosa di concreto affinché la mediazione del Quartetto si affranchi dalle forme per occuparsi della sostanza? L'Autorità palestinese si trova oggi in una situazione drammatica. Non soltanto è lacerata dal dissidio politico tra Hamas e Fatah. È anche minata dal rifiuto di Israele di rendere sostenibile l'economia palestinese: permettendo collegamenti fra Gaza e la Cisgiordania, consentendo a Gaza il funzionamento dell'aeroporto e la costruzione di un porto moderno, riaprendo le frontiere ai lavoratori immigrati, facilitando il versamento all' Autorità del gettito sull'import-export palestinese. Sul fronte economico-finanziario, il Quartetto guidato da Blair dovrà quindi decidere se esercitare, diversamente che nel passato, una qualche forma di pressione su Israele, affinché l'Autorità palestinese acceda ad almeno alcuni degli attributi propri di uno Stato sovrano. Quanto al fronte politico, il Quartetto si troverà impegnato in una scommessa difficile. Dovrà decidere se investire sulla possibilità di un'intesa fra Olmert e Abu Mazen, cioè tra Israele e il fronte palestinese moderato, oppure sulla possibilità di coinvolgere nel dialogo anche il fronte palestinese radicale, attualmente al governo. Tutto lascia pensare che Blair privilegerà la prima opzione, ma poco autorizza a sperare che una simile scommessa si riveli vincente. Se Prodi ritiene che la cooptazione al tavolo negoziale di un Hamas «convertito» alla Road Map, e la pressione internazionale su Israele rispetto alla sostenibilità economico- finanziaria dello sviluppo palestinese, siano entrambi fattori indispensabili a un avanzamento del processo di pace, che lo dica chiaramente, senza più impiegare mezze parole.
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