Le prospettive di pace in Medio Oriente e l'apertura di Prodi ad Hamas, che vuole la guerra
Testata:Il Giornale - Il Foglio Autore: R. A. Segre - la redazione Titolo: «La scommessa di Olmert - L’Italia tra Hamas e l’Iran»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 17 agosto 2007, l'editoriale di R. A. Segre:
Nella politica israeliana il paradosso è sempre di casa. C’è ad esempio il paradosso di un primo ministro, sbeffeggiato quotidianamente dai media, sconfessato nei sondaggi, invitato dal suo più popolare ministro degli Esteri e dal suo potente ministro socialista a dimettersi ma che si guarda bene dal farlo. Anzi rinforza costantemente la sua posizione parlamentare e internazionale se non la sua credibilità personale. C’è il paradosso di Benjamin Netanyahu, capo dell’opposizione. Ha trionfato nelle primarie del Likud e ora sfida Ehud Olmert a nuove elezioni anticipate. Molti a Gerusalemme tuttavia si rendono conto che queste sue dichiarazioni hanno lo scopo di rinforzare il suo controllo sulla malconcia destra israeliana, ma sono prive di ogni interesse affinché il premier lasci il governo. È chiaro a tutti che prima o poi Israele dovrà raggiungere un compromesso coi palestinesi, compromesso che Netanyahu non potrebbe mai realizzare perché implicherebbe l’evacuazione dei coloni dalla Cisgiordania. Il premier Olmert per la sua sopravvivenza punta molto sul raggiungimento di un compromesso politico e territoriale con Abu Mazen. Non respinge perciò l’idea avanzata da Terje Roed-Larsen, il norvegese rappresentante dell’Onu nella Regione. Larsen ha sottoposto «in maniera privata» ai governi israeliano, palestinese, americano, giordano, egiziano e saudita un piano che si fonda su una semplice verità: tutti sono stufi del conflitto palestinese e si rendono conto che un successo, anche piccolo ma concreto, farebbe in questo momento comodo a molti. Il successo potrebbe essere realizzato con un accordo di principio per il riconoscimento immediato di uno Stato palestinese con frontiere «temporaneamente non definite» e potrebbe essere un tema di interesse comune da discutere alla conferenza internazionale di pace prevista per novembre. Questo Stato palestinese riconosciuto da Israele rappresenterebbe un enorme successo, non solo di immagine, per Abu Mazen; lo farebbe uscire dalle strettoie dell’Anp ereditata da Arafat giustificando la creazione di nuove istituzioni meno dipendenti dall’Olp e da Al Fatah e soprattutto nuove elezioni. Un accordo su un piano del genere aiuterebbe Arabia Saudita, Giordania ed Egitto ad allargare il loro sostegno per il presidente palestinese e soprattutto Israele a sviluppare rapporti nuovi coi palestinesi senza essere accusato di avvantaggiare una parte di loro contro l’altra. Netanyahu conscio della stanchezza del pubblico israeliano e del fatto che nessun accordo può essere raggiunto coi palestinesi senza l’evacuazione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, preferisce che sia Olmert a condurre questa operazione che il suo partito e i coloni aborriscono. Salvo poi riconquistare il potere nelle prossime elezioni con la continuazione della politica economica e sociale che ha portato avanti con successo come ministro delle Finanze nel governo Sharon. Quanto a Olmert egli punta tutte le sue carte su un possibile accordo coi palestinesi e, se le condizioni lo permettono, anche con la Siria. Intanto ha già incassato un forte incentivo con la firma, ieri, dell’accordo finanziario con Washington che garantisce a Israele ben 30 miliardi di dollari in aiuti militari nei prossimi dieci anni. Un regalo del genere non viene fatto a un primo ministro perdente. Naturalmente la soluzione del conflitto è ancora lontana e Hamas e gli hezbollah dal Libano faranno di tutto, come in passato, per far naufragare la conferenza di pace. Olmert e Netanyahu sanno però che questa volta Israele non è più solo ad affrontare il pericolo islamico. Forse a Roma non se ne rendono conto. Ma il contratto per la creazione di una zona industriale che i ministri degli Esteri israeliano, palestinese e del Giappone - grande promotore e finanziatore del progetto - hanno firmato mercoledì a Gerico è più un atto di fiducia che di speranza sull’avvenire di questa martoriata Terra Santa.
Da pagina 3, l'editoriale del FOGLIO :
Se si osserva l’evolversi concreto della situazione palestinese, dopo il colpo di stato militare di Hamas riuscito a Gaza e fallito in Cisgiordania, si vede quanto siano insensate le profferte di amicizia del governo italiano alla formazione paraterroristica. Un decreto del presidente Abu Mazen, presidente eletto e legittimo, mette fuori legge le Forze esecutive di Hamas, che contemporaneamente hanno sequestrato (loro dicono arrestato) il procuratore generale dell’Autorità palestinese, cercando di imporgli inaccettabili condizioni. Abu Mazen propone di indire elezioni generali, comprese quelle presidenziali, con regole certe che impediscano l’intimidazione degli elettori da parte del partito armato, e naturalmente da Gaza gli rispondono di no. Il problema non è quello di riannodare il dialogo con Hamas, che di dialogo non vuole sentir parlare, tant’è vero che ha avviato il colpo di stato per evitare l’insediamento di un governo di coalizione, del quale peraltro avrebbe mantenuto la guida. Al contrario di quel che dicono Massimo D’Alema e Romano Prodi, il problema vero è quello di aiutare le istituzioni legittime rappresentative della popolazione palestinese a reggere all’assalto di un gruppo terrorista e golpista. Queste istituzioni, peraltro, rappresentano l’ultima, esigua speranza di una possibilità di autogoverno palestinese, che è sempre stata l’aspirazione della sinistra italiana. La ragione per la quale invece oggi si giochi spregiudicatamente sul tavolo delle intese, peraltro impossibili, con chi rappresenta la negazione di questa speranza di autogoverno appare in sostanza incomprensibile. Può darsi che si tratti della presunzione vanitosa e provinciale di “correggere” i presunti errori in cui cadono le ingenue diplomazie di tutto il resto del mondo e soprattutto dell’America. E’ assai probabile che a questo sentimento di eroicomica superiorità si possa ascrivere l’altro tentativo eccentrico di dialogo, quello con la teocrazia iraniana, condannata dall’Onu per i suoi piani nucleari, ma che trova orecchie attente a Roma, dove peraltro risiede l’unico premier occidentale che abbia deciso di incontrarsi con il presidente iraniano, capo dei pasdaran che l’America si appresta a definire terroristi. Così, con i nobili principi dell’autonomia e della dignità nazionale, si coprono atteggiamenti di disponibilità verso soggetti pericolosissimi, e con la fraseologia dei pacifisti la comprensione per i peggiori guerrafondai.