Basterà una pace qualsiasi? analisi e considerazioni tra politica, economia ed internet, di Federico Steinhaus
Testata: Informazione Corretta Data: 16 agosto 2007 Pagina: 1 Autore: Federico Steinhaus Titolo: «Basterà una pace qualsiasi?»
L’attenzione dei media da qualche tempo si è concentrata (giustamente) sul conflitto che contrappone Hamas al Fatah , ponendo a tutti noi domande alle quali è difficile e sarebbe forse prematuro rispondere con affermazioni categoriche. La separazione di Gaza favorisce la conclusione di una rapida pace fra Israele ed il governo palestinese fedele ad Abu Mazen o la allontana nel tempo? E’ utile ed opportuno lavorare per la stipula di una pace che escluda la Gaza dominata da Hamas? Sullo sfondo di queste domande se ne delineano altre che propongono scenari non decifrabili: il mondo arabo preferirebbe, senza peraltro manifestare apertamente questa speranza, una soluzione che escluda gli estremisti religiosi dal tavolo della pace? La conclusione di una pace monca tra Israele ed i palestinesi avrebbe la capacità di smascherare e disinnescare le pretestuose motivazioni anti-israeliane di Siria ed Iran?
In attesa che gli eventi comincino a fornire indicazioni più precise sull’immediato futuro possiamo limitarci ad elencare ed analizzare alcuni aspetti non secondari delle forze che esercitano una influenza sullo scacchiere.
Il legame fra internet e terrorismo è sempre più netto ed evidente. Internet è un veicolo di informazioni e di istruzioni di incomparabile utilità, del quale i terroristi e gli estremisti (non solo islamici: ma questi se ne sono impadroniti alla perfezione) si servono sistematicamente.
Il sito www.alhesbah.org, ospitato dalla texana RealWebHost, ha di recente pubblicato un documento di 60 pagine del 2003 che si intitola “L’eccellente riassunto delle regole dell’arte di rapire americani”.
Pochi riferimenti basteranno per delineare l’accuratezza delle istruzioni che questo manuale forniva in merito alla scelta ed alla cattura dell’ostaggio, al suo trasporto in un luogo sicuro, ed infine al modo di condurre i negoziati e di ucciderlo qualora dovessero fallire.
Innanzi tutto gli scopi che si potevano ottenere con un rapimento: il rilascio di prigionieri, l’ottenimento di informazioni, l’indebolimento del morale del nemico, la visibilità della propria causa, ma anche il provocare sentimenti ostili al governo nel paese del quale l’ostaggio è cittadino.
Il sequestro dovrebbe preferibilmente avvenire di notte, in un luogo isolato; per il trasporto si deve usare un veicolo comune che si confonda nel traffico, il luogo di custodia deve essere un appartamento con più uscite che abbia una stanza senza finestre. Dopo aver avanzato le richieste i rapitori dovranno fissare una scadenza, avendo sempre cura di usare un telefono cellulare registrato sotto falso nome o, meglio ancora, con carta prepagata. L’uccisione dell’ostaggio dovrebbe avvenire mediante avvelenamento od impiccagione, dato che l’uccisione con un’arma da fuoco oltre a far rumore è percepita come onorevole.
Un altro forum, www.al-ommh.net/vb, anch’esso ospitato da un server americano (ISP del New Jersey), il 2 luglio ha dato vita ad uno scambio di battute fra un visitatore (Al-Mustaquim) ed il webmaster. Questi ha spiegato che l’Inghilterra deve essere punita perché “gli inglesi hanno combattuto l’Islam...fin dall’alba della storia”, dal tempo delle Crociate all’era moderna in cui ha occupato Egitto, Palestina ed altri paesi islamici; inoltre l’Inghilterra “ha consegnato la Palestina agli ebrei su un piatto d’oro”, ha mosso guerra all’Egitto, alla Bosnia, all’Afghanistan, all’Iraq. “Proprio come loro uccidono il nostro popolo, così essi saranno uccisi; proprio come loro uccidono i nostri bambini, così i loro bambini saranno uccisi...Finalmente siamo diventati uguali”. Dopo questa agghiacciante affermazione il webmaster si è dilungato anche nell’illustrare che “il nostro attacco ...ha causato un serio crollo del mercato azionario globale: l’indice ha perso 200 punti in meno di 30 minuti”.
Non è solamente il terrorismo a rappresentare una minaccia globale ed ultimativa. Anche le scelte politiche di alcune nazioni contribuiscono a produrre una angosciosa instabilità e portano a formulare prospettive nefaste. Siria ed Iran sono, ora che la Corea del Nord si è piegata ad accettare soluzioni condivise, i due stati che maggiormente mettono in pericolo la pace.
Proprio Siria ed Iran, che hanno molti interessi economici e strategici in comune – dal Libano all’Iraq, percorso obbligato per una leadership regionale – hanno rafforzato mediante colloqui, trattati ed accordi settoriali questi legami.
Quando (febbraio 2007) il presidente Assad ha visitato l’Iran, Ali Khamenei ha affermato che Siria ed Iran costituiscono una profondità strategica reciproca, rafforzata dal fatto che essi “hanno comuni nemici”. Pochi mesi dopo, il 21 luglio, il corrispondente del quotidiano Al-Sharq Al-Awsat, Ali Nourizadeh, ha citato una fonte iraniana secondo la quale a Damasco, nel corso della visita di Ahmadinejad, era stato firmato un trattato segreto che prevedeva tra l’altro quanto segue:
L’Iran finanzierà l’acquisto di armi da parte della Siria in Russia, Belarus e Corea del Nord, ed investirà 1 miliardo di dollari nell’acquisto di 400 carri armati russi T-72, 18 aerei Mig 31, otto bombardieri Sukhoi-24 ed un rilevante quantitativo di elicotteri Mig-8. Inoltre la Siria riceverà missili iraniani C-801 e C-802, blindati Al-Barqa, carri armati Zolfaqar e l’aviazione iraniana costruirà in Siria una fabbrica per la produzione di missili a medio raggio.
Sotto il profilo politico nel medesimo documento Ahmadinejad si sarebbe impegnato ad aiutare i siriani nel rovesciare il governo libanese, a fronte dell’impegno siriano a non avviare trattative di pace con Israele.
In marzo una delegazione militare iraniana di alto profilo era stata a Damasco per uno scambio di informazioni e la visita si era conclusa con la dichiarazione che “le relazioni fra i due paesi sono strategiche”. Nello stesso periodo l’Iran si è anche impegnato ad ampliare la collaborazione con la Siria nei settori industriale, agricolo, scientifico, tecnologico, medico ed energetico. E’ anche prevista l’apertura di una sede universitaria iraniana in Siria. Nel 2006 gli scambi commerciali fra Siria ed Iran avevano toccato i 200 milioni di dollari a fronte dei 115 milioni del 2005; per il 2010 la previsione è che tocchino i tre miliardi di dollari.
Tuttavia, in una prospettiva non lontana nel tempo la causa principale di possibili conflitti nella regione sarà l’acqua.
La disponibilità media di acqua nel Medio Oriente è di 1200 metri cubi per persona all’anno, che si dimezzerà nel 2050. Per un utile raffronto si tenga presente che la disponibilità media mondiale è oggi di 8900 metri cubi per persona all’anno, ed è previsto che scenda a 6000 metri cubi nel 2050. Inoltre la qualità dell’acqua si sta gravemente deteriorando. Ciò significa semplicemente che già ora la maggior parte degli stati del Medio Oriente non sono in grado di soddisfare le esigenze di acqua nei diversi settori umani ed economici.
Inoltre il 60% dell’acqua di superficie disponibile nel Medio Oriente interessa una molteplicità di stati e scorre attraverso molti confini. Dipendono principalmente da risorse idriche rinnovabili originate fuori dai confini nazionali l’Egitto (al 96,9%), la Siria (all’80,3%), l’Iraq (al 53,3%), la Giordania (al 22,7%).
La maggior parte dell’acqua di superficie di cui dispongono tutti gli stati del Medio Oriente deriva da 4 fiumi: il Nilo, il Tigri, l’Eufrate ed il Giordano. Si tratta pertanto di aree di potenziali crisi e conflitti. Il Nilo suddivide le proprie acque fra 10 stati con un totale di circa 160-170 milioni di abitanti (fra 25 anni saranno 300 milioni). L’Eufrate viene utilizzato da Turchia, Siria, Iraq, il Tigri da Turchia ed Iraq. Ma la Turchia progetta di costruire entro il 2023 ben 13 dighe sull’Eufrate ed 8 sul Tigri, oltre che deviarne una parte delle acque mediante la costruzione di gallerie nel sudest del paese: il tutto a danno degli altri utilizzatori.
Diversa è la situazione del Giordano, che divide Israele dalla Giordania: i due stati confinanti hanno infatti sottoscritto nel 1994 un moderno ed intelligente trattato che ne regolamenta l’uso, indicato come modello dalle Nazioni Unite. Grazie a questo trattato, ad esempio, la Giordania può immagazzinare l’acqua in inverno nel Lago di Tiberiade, ed Israele può affittare diverse sorgenti d’acqua in Giordania. I palestinesi hanno uno dei più elevati tassi di scarsità d’acqua nel mondo, con un accesso pro capite a 320 metri cubi all’anno: la firma di un trattato di pace fra Israele ed Autorità Palestinese potrebbe risolvere anche questo problema sulla base degli accordi con la Giordania.
E Hamas? Dinanzi a questo scenario globale la domanda è legittima. Vi è qualcuno, in Europa, che ritiene possibile una pace solamente a condizione che ne sia parte attiva anche questa formazione fondamentalista, che vorrebbe imporre il dominio assoluto della sua interpretazione delle leggi divine ad una popolazione che tradizionalmente è laica, e la propria visione teocratica dell’Islam al mondo intero. Solo un mese fa, il 16 luglio, Al Jazeera ha trasmesso i discorsi del suo leader politico Khaled Mashaal e dello sceicco Yousef Al-Qaradhawi ad una conferenza che aveva lo scopo di onorare quest’ultimo.
Mashaal ha ricordato con gratitudine il contributo essenziale dato dalle direttive religiose emanate da Al-Qaradhawi alla prima ed alla seconda intifada, direttive che autorizzavano l’uso del terrorismo suicida. “Alcuni accademici religiosi hanno espresso opinioni di dissenso dalle operazioni di martirio – ha detto Mashaal – e ciò ci ha causato qualche imbarazzo” ma per fortuna “nella sua inequivocabile fatwa lo sceicco, Allah lo ricompensi, ha considerato le operazioni di martirio come il più nobile livello di jihad”. Per non lasciare spazio ad equivoci Mashaal ha concluso negando l’ampiezza della Shoah ed affermando che “quanto Israele ha fatto al popolo palestinese è molte volte peggio di quanto il nazismo ha fatto agli ebrei”.
Tutte le informazioni sono state tratte da analisi dei più eminenti studiosi internazionali, reperibili nel sito MEMRI.
Ma non tutto l’Islam è uguale. In questi giorni sarà in visita ufficiale in Israele una delegazione al massimo livello dei musulmani dell’India ( che sono 200 milioni, con circa mezzo milione di imam ). Questa visita fa seguito ad un incontro interreligioso avvenuto in India in febbraio, e sarà guidata dal capo carismatico di tutti gli imam indiani, Hazrat Maulana Jameel Ahmed Ilyasi. Poiché in India vi sono state manifestazioni e sono stati pubblicati articoli contrari a questa iniziativa, Ilyasi ha deciso di raggiungere la delegazione un paio di giorni dopo, per spiegare personalmente agli oppositori che “veniamo con un messaggio di pace e di buona volontà da parte dei musulmani indiani, che credono nella tradizione indiana di risolvere i conflitti per mezzo del dialogo e di mezzi pacifici”. In India vive il 40% della popolazione musulmana del mondo, pertanto questa apertura di dialogo avrà un significato storico. La visita si concluderà con la firma di una dichiarazione congiunta delle massime autorità religiose ebraiche e musulmane.